Ciucci (ad Società Stretto di Messina): «Il Ponte è un’opera che collega territori e gente»

Ciucci (ad Società Stretto di Messina): «Il Ponte è un’opera che collega territori e gente»

Il Quotidiano del Sud
Ciucci (ad Società Stretto di Messina): «Il Ponte è un’opera che collega territori e gente»

I dubbi di fondo: serve l’enorme struttura? Le questioni poste da ambientalisti e “No Ponte”; le risposte dell’ad Ciucci sul Ponte sullo Stretto nella prima parte di questa intervista

«Il Ponte sullo Stretto è prima di tutto un’idea e un oggetto straordinario che metterà in collegamento tutta l’Europa con la Sicilia attraverso la Calabria». Pietro Ciucci amministratore delegato della Società Stretto di Messina spa è forse l’uomo che da più tempo (almeno vent’anni) si occupa di Ponte. Il Quotidiano l’ha intervistato in una sala del resort Altafiumara (fra poche settimane vi si svolgerà il G7) con una vista mozzafiato sullo Stretto. Non facile pensarlo attraversato dal Ponte e, per una decina d’anni, impattato dai lavori per costruirlo.

MA IL PONTE SULLO STRETTO SERVE DAVVERO? RISPONDE CIUCCI

Ciucci, ovviamente, ci crede. Noi l’abbiamo ascoltato con attenzione. In questa intervista (la prima parte, oggi, è sui temi generali; in una seconda parleremo di più dell’impatto sul territorio circostante) riportiamo le sue risposte a decine di domande. Se dobbiamo dare una nostra impressione su quello che ci ha detto, potremmo dire che è stato piuttosto esauriente su tutti gli aspetti tecnici, costruttivi, ambientali ecc… Ha spiegato che si aspetta ancora domande, interrogativi e indicazioni dal Ministero dell’Ambiente. E che, alla fine, sarà il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) a dare (se lo riterrà giusto) il via libera alle fasi finali di progettazione e all’eventuale inizio della costruzione. Tempi probabili? Fine 2024, inizio 2025.

Alla fine, al di là dell’ottima impressione umana sulla persona di Ciucci, e alla sua indiscutibile capacità tecnica, ci è rimasta in testa una domanda di fondo: «Ma il Ponte sullo Stretto serve davvero? Qualcuno, finora, ha mai pensato di non recarsi in Sicilia o non andare dalla Sicilia al Continente perché non c’era il ponte?» A nostro parere, la risposta resta negativa. E l’idea del Ponte che Ciucci ci ha descritto con passione è certamente affascinante sia dal punto di vista “filosofico” che ingegneristico, ma non risponde compiutamente a quella domanda. Ecco, dunque, l’intervista al dottor Pietro Ciucci.

Quali sono le prossime tappe e l’impegno finanziario dell’opera?

«Con il Cipess che approverà il progetto definitivo, ci sarà la convalida del piano finanziario che accerta l’intera copertura del fabbisogno: non solo quello del contraente generale, ma anche l’aggiornamento del corrispettivo per gli altri ruoli, gli espropri e gli interventi compensativi di tipo ambientale. Attualmente 13,5 miliardi è il numero che rappresenta una buona approssimazione di quello che sarà l’investimento complessivo. Noi riteniamo che il progetto, da un punto di vista tecnico, sia stato studiato a fondo e che, a livello di progettazione esecutiva, sarà ancora più approfondito. Alla fine, grandi varianti non dovrebbero essercene, a meno di un fenomeno inflattivo importante. Oltre al Cipess le prossime scadenze, insieme al progetto definitivo, saranno il piano economico e finanziario, le opere anticipate, la dichiarazione di pubblica utilità e il via alla fase operativa degli espropri».

Se il Ponte non si farà ci saranno penali o costi a carico dello Stato?

«Dopo l’approvazione del Cipess entrano in vigore i contratti con il contraente generale a condizione che ci sia la rinuncia totale al contenzioso che la Società del Ponte aveva aperto in seguito alla decisione del governo Monti di stoppare la costruzione del Ponte. Contenzioso che, come ho già spiegato al presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Busia, riguarda unicamente la chiusura di quei contratti, secondo come la legge aveva stabilito. Dal punto di vista del danno erariale, nel frattempo, non succede nulla perché secondo la legge il contraente generale fino a quel momento lavora a titolo gratuito.
A mio avviso, comunque, il danno ci sarebbe, se non altro in termini di tempo e di energie sprecati. Inoltre, a quel punto, il contraente generale avrebbe il diritto di riprendere le proprie posizioni nel contenzioso. In caso l’Opera non venga realizzata dopo l’approvazione del Cipess, dipenderà dal testo dell’atto integrativo e dalle motivazioni del blocco dell’opera. Inoltre, sarà disciplinata l’applicazione di penali per l’eventuale mancato raggiungimento di determinanti termini contrattuali da parte del Contraente generale».

C’è chi ritiene che senza il Ponte le risorse stanziate rimarrebbero sul territorio e verrebbero dirottate su opere più fondamentali. Cosa ne pensa?

«È una domanda che mi fanno spesso e io vado con la memoria a quello che è successo in passato. La prima volta che è stato bloccato il progetto, nel 2006 con il governo Prodi, c’erano delle risorse che ammontavano a 2 miliardi di euro (venivano dalla liquidazione dell’Iri) che sono stati versati al ministero dell’Economia e delle Finanze sotto forma di dividendo straordinario. La legge stabiliva che quell’importo dovesse essere ripartito tra Calabria e Sicilia.
Si sono fatte tante riunioni con l’idea di rifare le reti stradali per poi accorgersi che erano pochi soldi e alla fine quelle somme non sono mai state date alle due regioni. Quindi io non so che fine faranno eventualmente le risorse destinate al Ponte in caso di mancata costruzione, ma se devo immaginarlo in base all’esperienza passata mi sembra difficile che rimangano sul territorio. Ci sono degli investimenti che spingono gli altri e anticipano i tempi e il Ponte è uno di questi».

Il peso della politica ha influenzato sull’accelerazione del progetto?

«In tutta onestà i nostri tempi non sono stati condizionati dalla politica. Avevamo una legge del Parlamento che ci ha indicato un percorso da seguire, cosa che abbiamo fatto nei tempi che abbiamo ritenuto necessari. C’è sempre una posizione critica che parte dal presupposto che qualunque cosa facciamo noi sbagliamo: in particolare, veniamo accusati di aver fatto troppo presto».

C’è qualche passaggio che avreste potuto rallentare per dare maggiore sicurezza e trovare meno opposizioni?

«L’errore che si commette è anche pensare che tutti i problemi si debbano affrontare in contemporanea dal giorno zero, in realtà molti problemi come gli espropri o la cantierizzazione, gli impatti sulla circolazione, saranno graduali e avremo la possibilità di gestirli nel tempo cercando di minimizzare al massimo il loro impatto».

Riuscirete a rispondere alle 239 richieste avanzate dal ministero dell’Ambiente entro i tempi previsti?

«Riguardo alle richieste del Mase si tratta del normale svolgimento della procedura, tutti i progetti hanno quella fase e decine e centinaia di osservazioni sono nell’ordinario; neppure su due chilometri di strada si potrebbe avere un’approvazione facile e rapida. Tuttavia, considerando che alcune integrazioni richiedevano ulteriori indagini sul campo (come i monitoraggi sulle acque, l’approfondimento sui maremoti o su alcuni aspetti che riguardano la fauna) e che per avere dei dati significativi era necessario disporre di alcuni mesi, abbiamo scelto di richiedere la sospensione dei tempi prevista dalla procedura. Noi abbiamo chiesto i 4 mesi sulla base di un programma di lavoro, ma a molte delle richieste noi potremmo già rispondere domani. Tuttavia, dobbiamo consegnarle tutte insieme, quindi, l’ultimo vagone stabilisce l’arrivo in stazione e il 12 settembre saremo pronti a presentare la documentazione».

Dottor Ciucci, a cosa servirà davvero il Ponte sullo Stretto? È così necessario? Le sembra che ci sia in Italia e in Europa una domanda di Ponte così impellente?

«La Sicilia è un bacino chiuso e non conviene investire in un bacino chiuso, ma se lo apri e connetti i 5 milioni di siciliani ai 2 milioni di calabresi diventano 7 milioni di cittadini, per non parlare della connessione con il resto dell’Europa. C’è, quindi, un collegamento tra due regioni che insieme hanno 7 milioni di abitanti che potranno godere di scambi economici e interpersonali, in pratica della libertà. Qual è piuttosto il motivo di non unire Sicilia e Calabria? L’attuale collegamento navale è discontinuo, ha i suoi orari e le sue frequenze che costringono a una dilatazione delle tempistiche per chi si sposta da un lato all’altro dello Stretto. Con un ammodernamento progressivo da Roma della linea ferroviaria si può arrivare in 4 ore a Messina, quindi perché a quel punto dovrei prendere l’aereo?»

Sul Ponte, dunque, non solo passeranno certamente i treni ma è il collegamento ferroviario a costituirne il nucleo essenziale della sua utilità.

«Il Ponte si collega alla rete ferroviaria in Calabria, arriva in Sicilia alla nuova stazione di Gaze. Il tutto con collegamenti in buona parte in galleria. Ci sono 20 chilometri di strada ferrata per portare i treni sul Ponte. Lato Calabria, ad esempio, si lavorerà in quota e in galleria. Nessun impatto sulla costa. L’Alta velocità diventerà sostenibile se verrà realizzato il Ponte, perché significherà portare sul mercato i 5 milioni di abitanti della Sicilia. Noi stiamo spingendo per la realizzazione del sesto lotto dell’AV che arriverà a Reggio Calabria, intanto, Rfi sta lavorando sull’ultimo tratto di collegamento così come sulla progettazione della nuova stazione di Messina.
La Metropolitana dello Stretto, poi, è stato qualcosa che abbiamo aggiunto facendo un ragionamento abbastanza banale: il Ponte, per quanto possa essere utilizzato, ha la capacità di trasportare 200 treni al giorno e quindi perché non usarlo anche per i collegamenti regionali e locali? Le due sponde dello Stretto si collegheranno con tre ulteriori stazioni interrate (Papardo, Europa e Annunziata) che si connetteranno con quelle già presenti di Messina, Villa San Giovanni e Reggio Calabria».

La questione delle faglie attive e capaci che insistono sui luoghi della costruzione potrebbe avere un impatto decisivo sul Ponte?

«Io ho letto con attenzione l’elaborato dell’ingegner Nuvolone prodotto per il Comune di Villa San Giovanni e nelle conclusioni non ha detto che il Ponte non si fa, non ha mai richiamato una norma di legge che non c’è, ma ha fatto riferimento alle linee guida del 2015 e all’archivio Ithaca dell’Ispra dove si legge in sostanza che non si assumono responsabilità su eventuali progettazioni fatte sulla base di questa documentazione. Questo perché si tratta in larga parte di un lavoro basato su elementi di letteratura scientifica e bibliografica di un livello che gli specialisti non ritengono sufficientemente approfondito.
Noi abbiamo detto e ripetiamo che le torri e i blocchi di ancoraggio non sono posizionati su faglie attive e gli studi che abbiamo condotto sono del livello 3 della Microzonazione sismica e persino più approfonditi di quanto richiesto dalla normativa, quindi molto avanti. Più significativi sono i documenti dell’Ingv dove c’è la mappa della pericolosità sismica che conosciamo bene e probabilmente avvieremo una formale collaborazione con l’Istituto perché le attività che svolgono sono per noi un riferimento fondamentale».

Per quanto riguarda l’occupazione si è parlato di numeri assai diversi tra di loro, ma c’è da considerare anche la perdita di posti di lavoro, come quelli legati ad attività commerciali o turistiche?

«Noi abbiamo fornito sempre gli stessi dati che sono stati di volta in volta diversamente interpretati. Mediamente il cantiere richiederà 4500 impiegati con delle punte di 7000 annui; con il moltiplicatore dell’occupazione indiretta per gli anni di realizzazione dell’infrastruttura si arriva alle famose 120mila unità di lavoro. Questa attività sarà più che compensativa rispetto a qualche attività minore che potrà essere intralciata sul territorio. Per quanto concerne l’aspetto turistico, prendendo come punto di riferimento altre esperienze analoghe, dobbiamo ricordare che il Ponte sarà un’attrazione durante la costruzione: esiste uno specifico interesse a riguardo, che non stentiamo a immaginare, perché la costruzione di un ponte sospeso è uno degli spettacoli più straordinari che si possano immaginare.
L’ho constatato personalmente nella costruzione del più lungo ponte sospeso d’Europa (lo Storebaelt, dalla Danimarca alla Svezia) dove ho visto come avviene il lancio dei cavi da una sponda all’altra e ho potuto scendere personalmente nel cuore del blocco d’ancoraggio. C’è un turismo per questo tipo di infrastrutture che non è solo di curiosi, ma anche di tipo scientifico. E comunque, ripeto, non sarà solo un monumento perché il Ponte sullo Stretto unirà due sistemi stradali e ferroviari».

I protocolli previsti per scongiurare il rischio delle infiltrazioni mafiose potrebbero non essere sufficienti a tenere a bada le intenzioni della criminalità organizzata. Ad esempio, le attività dell’indotto potrebbero potenzialmente attirare gli appetiti criminali così come potrebbero farlo le importanti cifre destinate agli espropri.

«Bisogna affrontare questa questione in tanti modi diversi, partendo dal presupposto che, quando si muovono un sacco di soldi, gli appetiti della criminalità organizzata si allertano. Ci sarà la massima collaborazione con le forze di polizia, con l’Antimafia (in particolare le Dda di Reggio e Messina), i sindacati, e utilizzeremo consolidati protocolli di legalità. Inoltre, ci sarà un controllo assoluto di tutte le presenze in cantiere. Tuttavia, la questione non è tanto la realizzazione del Ponte nei suoi aspetti più sofisticati e complessi. Il rischio, piuttosto, si nasconde in altre attività come: catering, mense, trasporti, cave, depositi, lavanderie, e così via. La cosa più importante sarà, dunque, seguire i movimenti finanziari. Attualmente, in base ai protocolli antimafia tutte le movimentazioni devono essere fatte su conti e mezzi di pagamento tracciabili.
I movimenti finanziari, in altre parole di tutti gli introiti e i pagamenti relativi alla realizzazione dell’Opera, saranno completamente tracciati con un apposito flusso informativo tra la Stretto di Messina, il Contraente Generale, gli affidatari ed i sub-affidatari e la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) quale organo di analisi ed investigazione finanziaria. Tutto questo è già stato sperimentato. Proprio da noi della Stretto di Messina, quando circa 20 anni fa firmammo con il Prefetto. L’abbiamo poi fatto qui a Cannitello con il lavoro che viene ricordato come l’“ecomostro” ferroviario, dove abbiamo testato sia le procedure di difesa contro le infiltrazioni criminali, sia il controllo dei costi, sia la tracciabilità dei pagamenti».

Il caso del terreno (una cava destinata a raccogliere i materiali di risulta) sotto esproprio a Limbadi, risultato appartenere a famiglie vicine ai clan, rappresenta un precedente che ha messo molti in allarme.

«Nell’ambito del protocollo di legalità che stipuleremo e per cui siamo già in contatto con il ministero degli Interni, ci sono focalizzazioni anche per evitare movimenti sospetti come qualcuno che acquisisce terreni o che fa l’operazione inversa e magari divide il terreno per rendere tutto più complicato. Tutto questo fa parte dell’attività che abbiamo già avviato con i due prefetti. Quella cava era stata inserita nel 2012 come rinaturalizzazione di una cava esaurita, un’operazione suggerita dal ministero dell’Ambiente come elemento di compensazione».

Sono emerse anche numerose criticità rispetto all’utilizzo delle banchine del Porto di Gioia Tauro a discapito delle concessioni già in essere.

«Il Porto di Gioia è senz’altro quello più adeguato alla movimentazione di quelle che sono le componenti dell’impalcato. Nei contatti sia con l’Autorità portuale che con la Capitaneria di porto sono state evidenziate alcune problematiche, ma stiamo cercando una soluzione e potrebbe esserci anche un piano b oltre Gioia. Ma non dobbiamo perdere di vista che si tratta di un’opportunità per il porto. Per quanto riguarda il traffico da Gioia Tauro alla Sicilia e viceversa non ci saranno effetti sul traffico navale, e anche per quanto riguarda l’altezza del ponte, l’opera risponde alle norme internazionali e il franco navigabile è persino più alto di quello che sta nel Canale di Suez. Riducendo il traffico dei traghetti che attraversano lo Stretto si avrà invece una maggiore facilità e sicurezza di attraversamento in direzione sud-nord».

C’è qualcosa che condivide delle istanze dei No Ponte?

«L’ambiente è un valore condiviso. Sul monitoraggio ambientale ante-opera abbiamo investito 100 milioni, il monitoraggio notturno è qualcosa che abbiamo fatto noi. Che l’ambiente sia un valore è qualcosa che condividiamo pienamente tant’è vero che durante tutta l’attività costruttiva continueranno i monitoraggi per capire come e cosa possa impattare sui parametri aria, acqua, habitat e quant’altro e gli stessi proseguiranno per due anni anche dopo che il Ponte sarà aperto. Ci sono dei temi sui quali non si può mai dire “ok è sufficiente” e l’ambiente è uno di quelli. Proprio per questo abbiamo rifatto lo studio d’impatto ambientale e d’incidenza ambientale applicando le nuove norme concordate a livello europeo».

Se vi trovaste davanti a criticità insuperabili cosa fareste?

«Quello che farebbe qualsiasi persona responsabile: probabilmente ci fermeremmo, ma questa mi sembra un’ipotesi abbastanza fantasiosa perché l’insuperabilità di cui talvolta si parla è un certo modo di intendere l’ambiente. Tecnicamente questo ponte è più che fattibile, sono stati realizzati ponti analoghi anche dalle nostre imprese e quindi non vedo perché non dovrebbe essere fattibile. A livello normativo, poi, non c’è nulla che ne impedisca la realizzazione, semmai esistono norme non cogenti che costituiscono semplicemente delle linee guida che richiamano l’attenzione per suggerire il tipo di attività da praticare.
Rimane l’aspetto ambientale e noi siamo in questa fase. Quindi dovranno dirci perché l’impatto non dovrebbe essere né compatibile, né mitigabile attraverso una serie di opere che piuttosto porterebbero un miglioramento per l’ambiente. Le cose note sono quelle più semplici perché sono quelle maggiormente studiate (dalle rotte di migrazione dei volatili, al percorso dei cetacei, al rischio sismico), tra queste c’è il tema vento, questo è talmente delicato per l’opera che diciamo che il Ponte è “disegnato” dal vento, ossia ha forma e caratteristiche che superano questa criticità».

A quanto si prevede che ammonterà il pedaggio? Quanti mezzi si prevede che passeranno al giorno?

«Per le previsioni dell’andamento della mobilità nel periodo 2023-2032, ci si è basati sull’andamento osservato degli ultimi anni: per la componente passeggeri si ipotizzato un tasso medio annuo di crescita futura dell’1,5%, per la mobilità merci si è ipotizzato tasso medio annuo di crescita futura dell’2,0%.
La definizione del costo del pedaggio rientra nell’ambito dello sviluppo del Piano Economico Finanziario dell’opera, che è, allo stato attuale, ancora in via di sviluppo. Saranno certamente previste agevolazioni per il traffico locale – come peraltro previsto attualmente per i traghetti – che si andranno a sommare agli importanti vantaggi per gli utenti e per i residenti in termini di miglior livello di servizio e di minor tempo di attraversamento (circa un’ora) consentiti dalla realizzazione dell’Opera»

(1 – continua)

Il Quotidiano del Sud.
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