Come bloccare l’autonomia differenziata: Consulta e referendum, le due vie contro la secessione dei ricchi

RMAG news

L’iter di approvazione alla Camera della cosiddetta legge Calderoli per l’attuazione dell’autonomia differenziata dimostra la drastica forzatura dei tempi di esame parlamentare anche quando si tratti di temi particolarmente complessi che meriterebbero maggiore istruttoria. Le date sono lì a dimostrarlo: iter iniziato in commissione Affari costituzionali il 14 febbraio; audizioni dal 4 marzo al 10 aprile; indi esame in cinque sedute (11, 12, 23, 24, 26 e 27 aprile) con la nota vicenda del voto ripetuto due volte a distanza di 48 ore; discussione generale in Assemblea il 29 aprile, poi, dopo una pausa di ben un mese, esame in tre sedute (29 maggio, 11 e 12 giugno) con un’istruttoria peraltro solo formale, vista la chiusura della maggioranza anche solo per prendere in considerazione talune delle osservazioni degli auditi o dei gruppi di minoranza. Infine, improvviso rush finale con ricorso alla seduta fiume, proposta dalla maggioranza nella Capigruppo il 18 giugno alle 11 di sera e approvazione del disegno di legge all’alba del 19 giugno. Una forzatura procedurale di cui non c’era alcuna necessità procedurale (i tempi erano stati già contingentati) ma dipesa solo da un obiettivo meramente politico: approvare la riforma il giorno dopo del voto del Senato sul premierato.

2. Ora il disegno di legge è stato firmato del presidente della Repubblica, come sempre in questi casi “tirato per la giacca” da chi lo invita a rinviare il disegno di legge alle Camere per una nuova approvazione. Ma l’attuale Presidente, in scia ai suoi predecessori, ha più volte chiarito (v. speech del 26 ottobre 2017 e del 5 marzo 2024) che egli interviene solo nei casi di palese o manifesta incostituzionalità, per il resto lasciando il giudizio sulla costituzionalità delle leggi all’organo a ciò preposto, e cioè alla Corte costituzionale. Tant’è che in questi nove complessivi anni di mandato ha rinviato alle Camere una sola legge (il 27 ottobre 2017 sulle mine antiuomo). Al massimo, ci si poteva attendere una promulgazione con osservazioni in cui il Presidente avrebbe potuto rimarcare l’esigenza preliminare di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di prestazione (Lep).

3. Si potrebbe dunque fare ricorso diretto alla Corte costituzionale. Ciascuna Regione se ritiene che una legge statale leda la propria sfera di competenza può promuovere questione di legittimità costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Il ricorso in tal caso è promosso dal presidente della Regione, previa delibera di Giunta. È l’unico caso previsto dalla nostra Costituzione di giudizio astratto della Corte costituzionale, cioè su una legge prima della sua concreta applicazione, perché in tal caso prevale l’interesse delle Regioni di contestare immediatamente leggi lesive delle proprie competenze; tant’è che, prima della sentenza, la Corte potrebbe sospendere in parte o in tutto la legge Calderoli qualora ritenesse che la sua esecuzione «possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini» (art. 35 l. 87/1953). Ad impugnare la legge potrebbe anche essere la Giunta dell’Emilia Romagna, presieduta dal vice Presidente dopo le dimissioni di Bonaccini (art. 32.3 bis Statuto), visto che la Giunta è limitata a compiere atti di ordinaria amministrazione non a seguito delle dimissioni del Presidente ma solo in caso di annullamento dell’elezione dell’Assemblea legislativa o di suo scioglimento per dimissioni contestuali della maggioranza dei suoi componenti (art. 48 St.).

4. C’è un’altra strada per contestare la legge Calderoli: il referendum abrogativo che può essere chiesto da 500mila elettori o da cinque Consigli regionali. Nel caso specifico, se si vuole votare tra il 15 aprile e il 15 giugno dell’anno prossimo la richiesta va presentata e le firme raccolte entro il prossimo 30 settembre; altrimenti si slitta al 2026. Qui si pongono due questioni. La prima riguarda la possibilità dell’Emilia Romagna di unirsi alle altre quattro regioni governate dal centro sinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) per presentare richiesta di referendum; ciò perché le dimissioni del presidente Bonaccini per incompatibilità con la carica di parlamentare europeo (art. 122.2 Cost.) determineranno il contestuale scioglimento anticipato dell’Assemblea regionale. Sul punto lo Statuto dell’Emilia Romagna, che ha competenza riservata in materia di prorogatio (C. cost. 196/2003), pare chiaro: il Consiglio regionale cessato dalle sue funzioni può compiere adempimenti urgenti e improrogabili (come la richiesta di referendum entro il 30 settembre) solo in caso di scadenza naturale della consiliatura e non quindi in caso di scioglimento anticipato dovuto, come in questo caso, a dimissioni del Presidente (art. 27.7 St.; v. in tal senso il dossier curato nel 2006 da quella Assemblea legislativa, pp. 39-43). Né si può ipotizzare che Bonaccini possa ritardare le sue dimissioni, visto che deve presentarle al massimo entra trenta giorni dall’avvenuta proclamazione (art. 6 l. 18/1979); e infatti ha già annunciato che si dimetterà in settimana in vista della prima seduta del Parlamento europeo fissata per il prossimo 16 luglio. Insomma, a causa di questo intrecciarsi di date l’Assemblea regionale non potrebbe riunirsi per chiedere il referendum; un bel pasticcio per l’opposizione, cui forse non è estraneo l’accelerazione impressa dalla maggioranza all’approvazione della legge Calderoli.

5. Salvo imprevisti (ovvero improbabili ricorsi da parte di regioni governate dal centro destra), l’unica strada percorribile, comunque non alternativa ma complementare, è la raccolta delle firme. Iniziativa prematura e viziata da pregiudizio, visto che la legge non sarebbe stata ancora applicata? No. Chi conosce la storia dei referendum del nostro paese sa che essi hanno un significato d’indirizzo politico che va ben oltre il testo normativo oggetto del giudizio (si pensi a quello sul nucleare, se non si vuole andare troppo indietro su divorzio e aborto). Ed è evidente che con il referendum si permetterebbe agli elettori – e sarebbe l’unica possibilità – di pronunciarsi subito su tale riforma, senza bisogno di attendere alcunché. Ciò posto, anche su questo versante vi sono due obiezioni. Il referendum sarebbe ammissibile? Premesso che la giurisprudenza costituzionale sul punto è ormai indecifrabile e, dunque, imprevedibile, mi pare che i due argomenti contrari sono superabili: a) la legge Calderoli è una legge procedurale che non è né costituzionalmente necessaria, né a contenuto costituzionalmente vincolato perché né prevista e né richiesta dall’art. 116.3 Cost., anche se vi dà attuazione; l’autonomia differenziata si potrebbe fare anche senza di essa tant’è che, essendo una semplice legge ordinaria, potrebbe essere contraddetta dalle successive che daranno attuazione alle intese tra Stato e regioni; b) la legge Calderoli non è nemmeno collegata alla legge di bilancio, su cui non si possono chiedere referendum (art. 75.2 Cost.) perché contiene un mero richiamo formale, senza esplicita variazione di spesa. Altrimenti, sarebbe troppo comodo inserire strumentalmente in una legge un richiamo al bilancio per sottrarla al referendum.

Piuttosto, la vera incognita del referendum è il raggiungimento del quorum, visto che i sostenitori della legge punteranno sull’astensionismo elettorale. Preoccupazione certo fondata anche se non è inutile ricordare che l’ultimo referendum in cui si è raggiunto il quorum fu quello sul servizio idrico. A dimostrazione del fatto che quando si toccano temi che riguardano (in modo peraltro irreversibile) la vita quotidiana delle persone – e l’autonomia differenziata lo è – queste vanno a votare. L’interrogativo sarà dunque se la maggiore partecipazione degli elettori del Sud compenserà le defezioni di quelli del Nord. Un’ultima considerazione: la maggioranza sostiene di voler rafforzare con il premierato la volontà popolare. Eppure sono due anni e mezzo che il governo deve attivare la piattaforma digitale per la raccolta delle firme per i referendum. Eppure lo scongelamento del referendum abrogativo, ad esempio correlando il quorum agli elettori effettivi e non agli aventi diritto al voto, sarebbe un necessario contrappeso al rafforzamento del governo. Oppure per l’attuale maggioranza la volontà del popolo conta solo una volta ogni cinque anni?

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