Da Napoli a Bamako, il sogno di Roberta d’Amore divenuto realtà tra le donne i bimbi del Mali

Da Napoli a Bamako, il sogno di Roberta d’Amore divenuto realtà tra le donne i bimbi del Mali

Brillavano gli occhi di Roberta d’Amore, quando giorni fa al Vernissage di Napoli, ha presentato i suoi progetti solidali per le donne e i bambini del Mali. L’evento, organizzato da Apologize Agency ha permesso agli ospiti di ammirare gli scatti fatti nel paese africano, dalla giovane fotografa napoletana. Appassionata di fotografia e moda, Roberta ha trasportato queste sue passioni nel volontariato, riuscendo a creare due piccole realtà aziendali nel cuore della capitale Bamako. La stessa determinazione, le stesse emozioni, Roberta le ha comunicate alle persone presenti all’evento. Ma è bastato guardare le sue foto, per percepire l’amore e l’impegno che ci sono voluti per realizzare un piccolo grande sogno.

Perché in Mali

Ho sempre desiderato fare un’esperienza del genere, nel mondo del volontariato – ha raccontato Robertal’Unità – Ho avuto la fortuna che mio marito, lavorando in una Ong, ha sempre viaggiato spesso. Un giorno ho deciso di creare un progetto che potesse tramutarsi in un’attività, stabile, nel paese in cui avrei provato a realizzarla ma soprattutto scalabile e quindi realizzabile altrove. E da tre anni, a settembre saranno quattro, vivo a Bamako, capitale del Mali“. Così è nato ‘Dambè‘, una sartoria il cui obiettivo è quello dell’indipendenza e dell’emancipazione economica delle donne di Bamako tramite il lavoro. Un piccolo laboratorio che sta diventando uno spazio di aggregazione e crescita personale per quattro donne e ragazze maliane.

Da Bamako a Napoli, dalla fotografia al volontariato

L’idea – ha spiegato Roberta – l’ho avuta guardando i vestiti indossati dalle donne in Mali. Così belli, particolari e soprattutto con colori meravigliosi. All’inizio ho dovuto auto finanziarmi ed usare i miei risparmi: ho comprato una prima macchina per cucire ma non ero abbastanza brava. Avevo bisogno di aiuto, così fin da subito è nata in me l’esigenza di coinvolgere altre donne. L”esca’ perfetta per farlo è stato il cibo. Ho iniziato a cucinare classici piatti della tradizione napoletana e li portavo in giro alle vicine. Qualcuna ha iniziato a chiedere questi piatti a pagamento e con i primi guadagni ho acquistato i tessuti e iniziato a retribuire le prime ragazze“. Ma l’inizio non è stato facile.

‘Dambè’

La lingua e la difficoltà di inserirsi in un contesto sociale e culturale così diverso dal suo, hanno rappresentato dei piccoli ostacoli che però Roberta è riuscita a superare con tenacia. Per questo, la sua voce, l’abbiamo sentita ricca di emozione, quando ha descritto gli incontri con AminatàOumouClarisse, le tre colonne di Dambè. Le donne che hanno collaborato con Roberta, aiutandola a trasformare quello che era un laboratorio casalingo in una piccola realtà aziendale. Oggi la sartoria ha una propria sede e delle lavoratrice regolarmente assunte e pagate. “Non dimenticherò mai i primi incontri con Aminatà – ha ricordato Roberta – All’inizio ci vedevamo alla presenza del marito. Lei aveva lo sguardo basso e parlava poco. Poi abbiamo rotto il ghiaccio, io sono stata chiara fin dall’inizio rispetto al progetto femminile che avevo in mente. E l’apoteosi del nostro rapporto c’è stata quando mi ha inviato al suo compleanno, a casa sua. Per arrivarci ho dovuto fare un viaggetto a bordo di una piroga che imbarcava acqua. Essere stata invitata alla loro tavola ha significato che ero entrata nei loro cuori, avevo conquistato la loro fiducia. Ed ora Aminatà è una sorella, una persona di famiglia“.

L’emergenza istruzione per i bambini

Così Dambè è diventata una realtà che attraverso particolari commesse, sta riuscendo a garantire lavori di lungo termine alle donne che ci lavorano. La vendita avviene sul posto e anche online. Le lavorazioni dei tessuti sono fatte a mano e con l’aiuto dei telai, in modo del tutto artigianale. Con Dambè, le donne che hanno preso parte al progetto, sono state in grado – non solo di conquistare autonomia ed emancipazione (Clarisse è riuscita a pagarsi un corso da infermiera) – ma anche di aiutare la propria famiglia, figli compresi. Anzi, soprattutto loro. E qui veniamo a un tasto dolente del Mali, quella dei tanti – troppi – bambini senza istruzione e ‘abbandonati’ in strada. “Una mia cara amica conosciuta a Bamako, Bernadette, mi ha spiegato il terribile sistema scolastico del Mali – ha detto Roberta. Ci sono le scuole pubbliche, dove ogni aula comprende dai 60 ai 70 bambini che praticamente non fanno nulla. Semplicemente perché non ci sono insegnanti. Il motivo? Non sono pagati. Poi ci sono gli istituti semi pubblici che costano per ogni bambino dai 60€ ai 200€ all’anno, dove sono garantite delle attività. Dalla sera alla mattina, ho iscritto in una di queste scuole quattro bambini a mie spese, per poi organizzare una raccolta fondi per mantenergli la retta. Ed è stato un successo, la risposta in termini di solidarietà e partecipazione è stata straordinaria“.

‘Projet Bamako’

Così è nato Projet Bamako che ad oggi conta ben 20 bambini iscritti regolarmente a scuola. Tra loro c’è una ragazzina sordomuta, la cui retta è pagata per metà dall’Unicef. “Vado spesso in queste scuole a verificare che i bambini svolgano le dovute attività – ha raccontato Roberta – I genitori dei piccoli mi tengono informata, io porto loro i dovuti accessori, come penne, colori, quaderni, libri e poi scrivo un report per informare dettagliatamente chi ci aiuta contribuendo economicamente. Mi sembra doveroso renderli partecipi, in fondo se tutto questo è accaduto è anche grazie a loro. Ora ho un obiettivo, c’è un bambino che ho conosciuto, si chiama Ibrahim e vende braccialetti per strada. È una delle persone più in gamba che abbia mai incontrato: devo assolutamente riuscire ad iscrivere a scuola anche lui“.

Le foto di Roberta d’Amore


























Please follow and like us:
Pin Share