Guerra a 5 Stelle, Grillo seppellisce il Movimento: “Vi tolgo il simbolo”

RMAG news

Tra Beppe Grillo e il Movimento che non è più suo sarà guerra. Guerra feroce, di quelle nelle quali non si fanno prigionieri. Dal carro funebre che ha scelto come location per disseppellire definitivamente l’ascia di guerra, bruciandosi gli ultimi ponti alle spalle, il fondatore messo alla porta lo dice chiaramente, nell’ultima parte e più sprezzante parte del suo messaggio diffuso sui social: “Andate a votare, se volete andare a votare, altrimenti andate per funghi. Io non mi offendo, non vi conosco neanche più. Però cercate di pensare che questo Movimento avrà un altro decorso e meraviglioso che ci siate o no”.

Ma sulla loro strada, i reprobi, non si porteranno il nome e il simbolo del Movimento che per l’ex garante hanno tradito: “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un certo senso di disagio. Fatevi un altro simbolo, andate avanti e fate le vostre cose. Il Movimento è stramorto, ma è compostabile. L’humus che c’è dentro non è morto. Questo Movimento avrà un altro decorso”. Che cosa abbia in mente Grillo non lo dice, promette di farlo sapere a breve. Si dice “ottimista” sull’esito delle votazioni che, dopo essere stato sconfitto nell’Assemblea costituente, ha preteso fossero ripetute e che si svolgeranno a partire da domani sino all’8 dicembre. In realtà le possibilità di vittoria sono vicine allo zero assoluto e l’Elevato lo sa perfettamente. Potrebbe significare scissione ma è più facile a dirsi che a farsi.

Il fondatore non ha il carattere e la costanza per costruire dal nulla un nuovo partito. Non è Armando Cossutta, l’organizzatore instancabile che riuscì a creare un partito dalla spaccatura dell’ex Pci, e non è neppure Gianroberto Casaleggio. Per tentare l’azzardo dovrebbe poter mettere in campo figure carismatiche, capaci di parlare alla pancia del Movimento, agli elettori che, delusi, hanno già abbandonato le Cinque Stelle: ma Di Battista e Virginia Raggi, i soli che potrebbero provare a trascinare la base, non sembra siano disponibili. Dunque sarà battaglia legale. Saranno avvocati, giudici e tribunali. Grillo impugnerà la sentenza del 2009 che lo conferma proprietario e padrone del simbolo e del nome. Conte risponderà sventolando la scrittura privata di due anni fa nella quale il suddetto proprietario si impegna a non portarsi via simbolo e nome ove mai succedesse quel che sta ora effettivamente succedendo, il divorzio senza appello. Il comico negherà di aver firmato quel documento. L’Avvocato del popolo e in questo caso di se stesso asserirà il contrario. Difficile immaginare fine più mesta per un Movimento nato sbandierando ideali altissimi.

La bega da tribunale sostituirà la politica ma non gli scambi di insulti. Volano gli stracci e voleranno in quantità sempre maggiore. L’Elevato, pur scegliendo toni sobri – anzi dolenti – è andato giù pesantissimo. Conte è “il mago di Oz”, cioè un piccolo e misero illusionista che riesce a farsi credere un terribile gigante, ma soprattutto uno straniero arrivato per caso. Conte è il “sottopassaggio” che guarda dal basso in alto e accusa Grillo di essere quel che lui vuole essere e anzi forse già è: un despota. Il Movimento è morto, trasformato in una piccola Dc impegnata in “giochini e giochetti che neanche la Dc di vent’anni fa”: con tanto di allusione non esplicita ma molto chiara alla candidatura di Fico in Campania. Al disprezzo Grillo accosta una quantità di vittimismo degna della peggior Meloni: altro che padre padrone, lui come garante non ha mai imposto niente. Ha fatto proposte, questo sì, ma tutte cadute nel vuoto. Conte aveva promesso un incontro al mese per discutere il percorso del Movimento: poi non si è mai fatto trovare (questo, per chiunque conosca il modus operandi dell’ex premier, è più che credibile).

Il Mago ieri sera non ha risposto, lasciando che a contromitragliare fossero i parlamentari e quelli non si sono fatti pregare. Lo farà oggi in tv ma nello stato maggiore dei 5S la valutazione è che Grillo abbia dimostrato solo la propria disperazione e che il suo sia solo un bluff. Se si guarda al braccio di ferro interno al Movimento, Conte e i suoi, cioè praticamente tutto il ceto politico, hanno ragione. La partita è già chiusa e Grillo l’ha persa rovinosamente. Se si guarda agli effetti a lungo termine, all’impatto sui consensi, i rischi sono però molto più alti. Per un partito niente è tanto devastante quanto le risse in tribunale, il mix venefico di carte bollate, insulti e rinfacciamenti.

Con o senza scissione, l’impatto sull’elettorato non fidelizzato, che è maggioritario tra chi ancora vota 5S, potrebbe essere devastante. E chi se ne preoccupa di più è il Pd. Già prima dell’intemerata di ieri la paura del Nazareno era che i 5S non raggiunsero percentuali tali da permettere di vincere le politiche, neppure con un Pd in pienissima salute. Da ieri quella paura è ancora più profonda e soprattutto più giustificata.

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