Motovedetta pronta a salvarli ma non l’hanno fatta partire: così sono morte 21 persone in mare

RMAG news

Un esposto in tribunale perché si indaghi sul naufragio avvenuto il 2 settembre 2024 al largo di Lampedusa in cui sono morte 21 persone. Lo presenta oggi alla procura di Agrigento l’ong Sea-Watch insieme a tre sopravvissuti e al figlio di una delle vittime, Ibrahim Hsian. Il contenuto dell’esposto, le prove fotografiche e le consulenze forensi saranno illustrate, con la testimonianza di due delle persone salvate, durante una conferenza stampa alle tre del pomeriggio all’Associazione della Stampa estera, in via del Plebiscito a Roma, dall’avvocata che ha firmato il ricorso, Francesca Cancellaro, e dalla portavoce di Sea-Watch, Giorgia Linardi.

Il 2 settembre 2024 l’aereo Seabird 2 di Sea-Watch, uno di quelli che il governo Meloni sta tentando in ogni modo di lasciare a terra, ha individuato un’imbarcazione con a bordo 28 persone e ha segnalato immediatamente la situazione alle autorità competenti, incluso come sempre il Centro di comando delle capitanerie di porto, l’Mrcc di Roma cui spetta il coordinamento delle operazioni di soccorso. L’ultimo avvistamento è avvenuto quando l’imbarcazione era a 26 miglia nautiche da Lampedusa, una distanza che le motovedette della Guardia costiera italiana sull’isola avrebbero potuto coprire in circa un’ora. Nessuna operazione di soccorso è stata ordinata, fino alla mattina del 4 settembre, quando una motovedetta della Guardia costiera ha soccorso l’imbarcazione semi-affondata arrivata ormai a 10 miglia da Lampedusa all’interno delle acque territoriali italiane. Solo sette persone erano sopravvissute. Gli altri 21, compresi tre bambini, erano già cibo per i pesci. Sea-Watch ipotizza che si tratti della stessa barca. La stessa ipotesi la può formulare chiunque, dotato di buon senso, abbia in mano le foto dell’imbarcazione soccorsa quando ormai c’erano solo sette sopravvissuti e quella scattata dall’aereo Seabird due giorni prima, quando nello scafo chiaramente bisognoso di soccorso erano ancora tutti vivi.

Tra i molti elementi che inducono a ritenerlo – oltre alla forma e al colore dello scafo e a gli indumenti delle persone – c’è anche la rotta. I naufraghi hanno detto di essere partiti da Sabratha. Il 7 settembre scorso l’ammiraglio Vittorio Alessandro ha spiegato su l’Unità, carte alla mano, come, tracciando la rotta dalla località di partenza fino al punto di primo avvistamento da parte di Seabird (lunedì alle 12,57 in acque internazionali in area soccorso maltese), si ricavi una direzione precisa verso nord, ossia verso Lampedusa. Quel genere di barca con quelle condizioni meteo-marine poteva navigare a una velocità presumibile di sei, sette nodi. Il secondo avvistamento è alle 13:38, 40 minuti dopo, l’imbarcazione sembra aver aumentato la propria velocità. Il terzo ed ultimo monitoraggio, con la rotta sempre verso Lampedusa, avviene dopo circa un’ora, sempre in acque Sar maltesi: la velocità è tornata a sei nodi.

Ora, il punto è che una barca rovesciata non vola. I naufraghi, finiti in mare un giorno dopo la partenza, non possono essere arrivati a dieci miglia da Lampedusa volando. Sarà mica che il naufragio è avvenuto in acque di competenza italiana e nessuno lo dice perché ormai si deve tenere segreto tutto quel che accade nel Mediterraneo per non dispiacere al Viminale? Di certo, ovunque la barca si sia rovesciata, la si sarebbe dovuta andare a soccorrere prima. L’Italia aveva il dovere di intervenire prima. Perché l’Mrcc di Roma, avvisato di una situazione di emergenza in mare, ha il dovere di verificare se qualcuno sta provvedendo ad un soccorso e, visto che i maltesi non stavano avviando nessuna azione di soccorso (quasi mai lo fanno, spesso nemmeno rispondono al telefono) aveva l’obbligo di intervenire.

“Non sappiamo dove e quando sia avvenuto il rovesciamento della barca – ha scritto l’ammiraglio Alessandro – ma, dal momento dell’ultima immagine a quello (imprecisato) del soccorso in acque territoriali italiane, i naufraghi hanno trascorso due giorni di attesa in balia delle onde. Molti degli occupanti saranno morti cadendo in acqua (i bambini, soprattutto), altri si saranno via via lasciati andare alla presa del mare. Una barca rovesciata non fa vela e si sposta soltanto per effetto del moto ondoso e della deriva. La nostra non può, dunque, aver coperto una grande distanza dal luogo del capovolgimento a quello del soccorso e, di conseguenza, il sinistro si è, con ogni probabilità, verificato nella stessa area in cui è poi intervenuta la motovedetta”. Perché l’Italia ha aspettato che entrassero in acque territoriali italiane per far partire la motovedetta? Perché ne abbiamo lasciati morire 21 senza intervenire prima, quando erano tutti vivi?

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