Parla Marco Tarquinio: “Il Pd contro di me e la Segretaria Schlein: io ospite non gradito dei Dem”

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Marco Tarquinio, neoeletto al Parlamento europeo: Dall’Ucraina a Gaza, le elezioni passano ma le guerre no…
Non sempre. E ora forse no. A volte le guerre si fermano nella loro fase più acuta e rischiosa per l’umanità. Finalmente, forse, comincia a succedere in queste ore. In Israele emergono crepe sempre più pronunciate nel governo Netanyahu e il premier appare più solo nella sua guerra senza quartiere contro Gaza. E tra Ucraina e Russia, mentre i portavoce del “partito della guerra” a oriente e a occidente continuano a tuonare, si riannoda quasi inopinatamente il filo del dialogo. Ho sempre detto che una Conferenza di pace è tale se tutte le parti – Ucraina e Russia in Europa, Anp, Hamas e Israele nel Vicino Oriente– siedono al tavolo. Forse sta per accadere. Era ora.

Ma le tragedie umanitarie – leggi: migranti deportati o morti in mare – continuano.
Il dramma è proprio questo: le guerre, quando cominciano, non finiscono mai bene e dal 1945 in poi, purtroppo, non finiscono più del tutto. Gaza e il Donbass ce lo ricordano ancora ogni giorno. Le tragedie umanitarie che spingono alle migrazioni forzate sono sia una conseguenza diretta delle guerre sia il frutto amaro delle disuguaglianze che sempre generano conflitti. La terribile, inaccettabile situazione del popolo ucraino aggredito e il massacro a cui sono condannati i soldati russi mandati al fronte dal Cremlino, il dramma del popolo palestinese e la disperante condizione degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, gridano una volta di più in faccia al mondo l’ingiustizia della guerra. I campi di concentramento per immigrati irregolari e richiedenti asilo respinti, negoziati e pagati dall’Italia di Meloni con l’Albania, sono un’odiosa conseguenza di tutto questo e una specifica e cinica forma di guerra: contro l’umanità.

Un rush finale per andare da Roma a Bruxelles. Un bilancio umano, oltre che politico dell’esperienza elettorale?
Cominciamo dallo strano effetto che fa a un giornalista passare dal rapporto con i lettori a quello con gli elettori. Una vocale in più, la “e”, e cambia quasi tutto. Tranne per una cosa: la prova di fiducia. Stavolta superata grazie al libero voto di oltre 43mila donne e uomini. Un successo insperato dopo la prima settimana di una corsa che – lo ammetto – ho affrontato contando con qualche fiduciosa leggerezza sul fatto che essere invitato nel Pd, come io ero stato, significasse anche essere accolto.

Bilancio in chiaroscuro, dunque?
No, molto positivo sul piano umano. Dentro e fuori il Pd di base ho incontrato, ritrovato e scoperto bellissime persone. In maggioranza semplici cittadini, ma anche non pochi dirigenti di circolo e candidati sindaci. Ho visto grandi energie, sentito speranze e ho toccato di nuovo con mano le ferite aperte nella nostra società avanzata e diseguale, sempre più inquieta per la guerra dilagante e per l’economia di guerra incombente. Sul piano politico, il bilancio è complesso. Innanzitutto, pur nell’allarme per la crescente astensione dal voto, c’è la gioia per il limpido successo delle liste del Pd di Elly Schlein, il miglior risultato politico dell’ultimo decennio. Un ricominciamento in corso, spero. Poi c’è una realistica lettura della mia vittoria personale dentro il gran successo del Pd e dei suoi big. Un amico, con una storia importante nel sindacato e nella sinistra, mi ha detto di non aver mai visto un “cordone sanitario” come quello che mi era stato imbastito intorno…

Addirittura, un “cordone sanitario”?
Racconto solo una cosa, apparentemente innocente e persino divertente: nel mio Centro Italia ho incontrato molte persone alle quali dirigenti del Pd si erano impegnati a spiegare che non ero votabile perché candidato “in un altro collegio”…

E dopo questa dura campagna elettorale è arrivato l’happy end, ma non sono mancati colpi bassi, interni ed esterni, contro “Tarquinio il pacifista”.
Non mi ci è voluto molto a capire che non ero un candidato “civico” come gli altri, anzi le altre – le mie amiche Cecilia Strada e Lucia Annunziata – che erano state annunciate con me da Schlein. Da “civico” sono diventato subito soltanto un “indipendente”, che per qualcuno voleva dire un ospite, richiesto ma non gradito. Me l’hanno ricordato a gran voce, mettendomi a volte in coppia con Cecilia e molte altre volte no. Ne ho preso atto: indipendente è una bella parola e uno splendido concetto. Così come ho preso atto del fatto che, a parte Paolo Ciani e Goffredo Bettini, sono stati largamente ignorati dai media coloro che invece mi hanno dato il benvenuto. I dem di base che ho potuto incontrare e, insieme a loro, il consigliere regionale laziale Mario Ciarla. E personalità di rilievo nazionale: da Gianni Cuperlo ad Andrea Orlando, da Graziano Delrio a Roberto Speranza e Arturo Scotto sino a Pier Luigi Bersani, a Ugo Sposetti, a Vannino Chiti, a Beppe Vacca e Francesca Izzo. Do, infine, un posto speciale a Rosy Bindi, che oggi non è nel Pd, ma che nel campo di centrosinistra è amatissima, e alle amiche e agli amici di Demos e di Per, giovani e generose reti di ispirazione cristiana lontane e fuori da ogni vecchia logica di corrente. Infine, da cattolico quale sono, ho preso atto che critiche aspre e stilettate pubbliche e no sono venute soprattutto dalla cosiddetta area “riformista” popolata da esponenti che a parole si richiamano al cattolicesimo democratico.

Sembra che quest’ultimo colpo pesi ancora…
Non più tanto, grazie all’esito del voto. Continuo a pensare che in questa vicenda elettorale europea non avrebbe dovuto essere motivo di dialogo tra sordi e persino di scandalo parlare di geopolitica, di alleanze militari e di federalismo europeo, di solidarietà sociale, ma anche di temi come aborto e scelta femminile, “donne in affitto”, unioni civili. Sui giornali di destra questo martellamento infatti continua, è questo ha un senso. Ma nel Pd e nei suoi dintorni, compresi partiti potenzialmente alleati, mi ha fatto capire che i veti politico-mediatici e le caricature ostili delle mie posizioni per la pace e per la demilitarizzazione del confronto sui cosiddetti temi sensibili non mettevano nel mirino solo me…

Chi sarebbe stato messo nel bersaglio?
Certe polemiche e deformazioni, a mio parere, sono state una frazione non irrilevante del tentativo di dimezzare e imbrigliare la segretaria Schlein e la novità che sta portando. Era stata Elly, infatti, a chiedermi insistentemente di candidarmi ed era ovviamente lei che si stava spendendo per portare programmaticamente ed elettoralmente il Pd fuori dalla china del declino e della riduzione a circoscritto arcipelago di correnti e potentati. La reazione a tutto ciò si è manifestata chiaramente nel gioco delle preferenze… Forse da “indipendente” si vede meglio, perché ho avuto a lungo la sensazione di “leggere” in solitudine questo processo politico durante la mia molto solitaria campagna.

Ma ne avete parlato con Elly Schlein?
Non c’è stato modo né tempo. Ma mi ha fatto piacere che Schlein negli ultimi giorni di campagna mi abbia regalato un comizio insieme a Frosinone oltre a un paio di paragoni con il grande Altiero Spinelli (tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento candidato da Enrico Berlinguer come indipendente nelle liste del Pci, ndr). Parole che mi hanno emozionato e fatto arrossire e che avranno fatto sorridere, spero, la sua straordinaria figlia, e mia amica, Barbara Spinelli che mi ha donato una frase di suo padre che tengo solo per me.

Quale Europa esce da questa tornata elettorale?
Un’Europa a grave rischio di sbandamento a destra, per l’aumentata forza dei partiti “neri” e anche a causa dei calcoli sbagliati di un pezzo del centro che ha vinto queste elezioni. Quel centro che coincide con il Ppe e che, in una sua parte e alcuni esponenti, premedita l’alleanza con formazioni delle due estreme destre, meloniana e lepenista, che marciano divise per colpire unite e sconvolgere in maniera nazionalsovranista il cantiere dell’integrazione europea. Nel dato c’è, però, la tenuta della maggioranza di centrosinistra Ppe-Pse-Renew, e c’è il rafforzamento del Pd, prima delegazione, nel gruppo dei Socialisti e Democratici. Un argine serio al vagheggiato e, ripeto, premeditato deragliamento a destra della Ue. Credo che la via maestra per dare stabilità e orientamento solidale alle politiche europee passi per l’allargamento di quella grande coalizione ai Verdi.

La sinistra porta all’Europarlamento una nutrita pattuglia pacifista. Non era scontato, a fronte di una campagna politico-mediatica demonizzante.
No, non era scontato. Ma è successo. Ed è significativo, anche se personalità importanti, lucide e coraggiose come Pietro Bartolo e Massimiliano Smeriglio non potranno purtroppo, almeno per ora, continuare il loro lavoro a Strasburgo e a Bruxelles. Tuttavia, il “partito” della demonizzazione delle parole e delle iniziative di pace non ha trionfato. E non solo nel mio caso si è rotta la tenaglia costruita da chi irride la spinta per il “cessate il fuoco” in tutti gli scenari di guerra, a Gaza come in Ucraina, e da chi disprezza come “cosa da bambini” il lavoro per sostenere soluzioni politico-diplomatiche dei conflitti in atto. Basterebbero già le scelte e l’atteggiamento del presidente russo Putin a rendere questa fatica assai dura, ma nei nostri occidenti c’è chi ci mette un sovrappiù… Con umiltà e determinazione ognuno farà ora la sua parte. Io credo che nel Dna della sinistra democratica ci sia il rifiuto della logica e della pratica della guerra. Lo ripeto: l’elmetto sfigura e rende irriconoscibile il volto dei progressisti.

Lo chiedo a Marco Tarquinio giornalista di lungo corso ed ex direttore: che figura ha fatto la comunicazione in queste elezioni?
Sul piano generale non ho visto cose molte diverse dal racconto di altre campagne elettorali: cose belle, interessanti e profonde alternate a superficialità imbarazzanti. Ma questo è il tempo anche mediatico che viviamo. Sul piano personale, ho subito attacchi con approssimazioni e illazioni insultanti e invenzioni di sana pianta: come l’epiteto scagliatomi contro da una penna avvelenata del Giornale e che mi sarebbe stato riservato dai miei “vicedirettori ad Avvenire”. Peccato che non abbia nemmeno avuto vicedirettori nei tanti anni alla guida di quel giornale! Infine, ammetto di non aver mai visto grandi quotidiani e agenzie di stampa, oltre che alcuni giornalisti sui loro canali digitali privati, precipitarsi a diffondere la falsa notizia della sconfitta di qualcuno a spoglio dei voti ancora in corso… Con me è successo. Mi consola, voglio dirlo, la stima di tante colleghe e di tanti colleghi giornalisti incontrati, in diverso modo, in 44 anni di lavoro. Non tutti hanno votato per me, ma molti sì e, comunque, si son fatti sentire in amicizia prima della mia elezione. E questo conta infinitamente.

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