Geolier per sempre: al Maradona è nata una popstar, si è tolto gli schiaffi dalla faccia: “Non incolpate il rap”

RMAG news

A Geolier gli hanno spesso detto quello che doveva fare e come lo doveva fare: quello che doveva scrivere, come lo doveva scrivere, il modello e lo stile di vita e di musica che doveva trasmettere e ispirare. Allo stadio Maradona, dopo tre date sold out il 22, 23, 24 giugno, Emanuele Palumbo non solo si è consacrato popstar, ha officiato un rito di comunione con il suo popolo e ha portato uno spettacolo potente, si è tolto anche “gli schiaffi dalla faccia” come si dice a Napoli. “Non date la colpa al rap per le cose brutte che succedono, noi non abbiamo la responsabilità di educare. Noi raccontiamo il bene e il male delle nostre vite”.

Era successo dopo l’onorificenza del Comune di Napoli al rapper del Rione Gescal: venne associato all’assassinio di Giovanbattista Cutolo, ucciso a colpi di pistola lo scorso agosto nel corso di una lite tra giovani esplosa a tarda notte per futili motivi a Piazza Municipio. Era stato definito impresentabile per il look, la maniera di parlare, quella parte di città e di atmosfera cui rimanderebbero la sua musica e la sua postura. Paranze di bambini, machismo partenopeo, kalashnikov spianati nel video di Narcos – cantatissima peraltro allo stadio. Geolier andò al funerale di Giogiò, per la sua fama fu invitato a parlare, a dire qualcosa ai suoi fan, a prendere le distanze dal modello.

“Raccontiamo di quello che è successo, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, per strada – ha detto dal palco – A volte purtroppo la strada ha vinto sui nostri fratelli e noi ci rimaniamo male perché la musica ci ha salvato dalla strada. Non ascoltate chi dà la colpa di tutto al rap però. Non togliete a noi rapper la possibilità di raccontare e raccontarci”. Dio lo sa è un album con un piede, se proprio fuori, almeno puntato fuori dal ghetto. Sull’autenticità, sull’amore più che sulla periferia. A Emanuele Palumbo continua a riuscirgli meglio tutto quando va verso l’uomo, l’essere umano, più che verso il popolo, “laggente”, massa indefinita.

Anche al Maradona, per esempio, un pensiero costante: e se fosse tutto passeggero, soltanto un fenomeno del momento, destinato a eclissarsi, a tramontare, a spegnersi un giorno all’improvviso così come rapidamente tutto è nato e cresciuto e decollato? Lui dice di esserne cosciente, che la musica è ciclica, che “TUTTO PASSA” come detta quel tatuaggio sul petto dell’anziano napoletano diventato virale, che oggi lui è El pibe de oro del rap italiano, che domani non è detto. Alle quasi 150mila persone in tre date ha ricordato le 600 al Duel Beat di qualche anno fa. Dice di scattare foto con tutti perché il padre gli rcette che oggi tutti vogliono un selfie con lui ma che domani chissà, forse non lo vorranno più, che di lui si dimenticheranno. E per questo chiede, ripetutamente, alla sua città di tenerlo vicino, dentro, di alluccargli in cuollo qualora dovesse sbagliare, come si fa con un figlio.

Napoli, io non cambierò mai. Per un semplice motivo: tutto questo non lo abbiamo mai avuto, tutto questo non potrà mai cambiarci. Ma il giorno in cui sbaglierò, voglio che voi mi riprendiate. Io sono vostro figlio”. È questa città a tenerlo su, a “mantenerlo” come canta in Per sempre, a sostenerlo com’è successo al Festival di Sanremo in una spedizione paragonabile a quelle delle Nazionali in gara all’Europeo di calcio. Una rappresentanza. E Napoli? Si sente rappresentata da Geolier? Napoli, per quanto continuino a tirarla per tutti i lati, per quanto possa essere raccontata, continua a sfuggire, a non farsi acciuffare.

E però a vedere il delirio puro esploso sulle note di P Secondigliano viene da pensare a quei napoletani che vedevano come i barbari gli altri napoletani in arrivo dalle periferie quando la metropolitana cominciò a collegarle direttamente con i quartieri Bene: quel ritornello si è preso tutto intero l’ex San Paolo. Se gli scugnizzi delle canzoni di LIBERATO – altro fenomeno made in NA di questi anni – guardano storto, quelli di Geolier minacciano o addirittura ti pestano. È un’altra realtà, cruda e cinica, con i suoi sogni e le sue degenerazioni. A tratti, quando non scade nel cliché e nella promozione, è letteratura.

Al Maradona la mise principale è stata la maglietta del Napoli – un po’ cliché. Geolier ha cantato per due ore e mezza a sera, è sceso in mezzo al pubblico, si è tatuato le date sul corpo – che originalità, ha ospitato “fratelli” – sempre tutti “fratelli”, ha mandato sugli schermi immagini di Napoli e di napoletani – poco cliché ancora, ha fatto brutto su Campioni d’Italia, ha mostrato un fisico irrobustito da palestra e piscina, ha cambiato abito spesso, ha cantato quasi tutto l’ultimo album che in neanche due settimane di vita si è fatto cantare da quasi tutto il pubblico singalong, ha mandato le immagini in cui da bambino rappava e che sono un’epifania del talento come quelle di Maradona che palleggia a Villa Fiorito, ha consacrato un percorso nel rap paragonabile a quello di Pino Daniele nel Neapolitan Power. Continueranno ad addossargli responsabilità più grandi di quelle che può avere, intanto lui ha raccontato, si è trasformato in popstar.

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