Nessuno Tocchi Caino, la storia dell’associazione non-violenta: cosa sono i laboratori Spes contra Spem

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I laboratori Spes contra Spem di Nessuno tocchi Caino sono una miniera di valori preziosi. In otto anni di “lavoro” collettivo e cooperativo tra detenuti e detenenti, tra liberi e semiliberi, tra persone al di qua e al di là delle sbarre, il “fatturato” in termini di umanità nuova, cambiamento interiore ed elevazione della coscienza, è inestimabile, e incomparabile rispetto a ogni altra impresa umana. Soprattutto il Laboratorio di Opera, il primo a essere istituito, ogni mese regala storie come quelle di Antonio e Gioacchino che qui proponiamo. Storie che testimoniano che il cambiamento è possibile anche tra i condannati che per la legge del “fine pena mai” sono gli immutabili dell’universo carcerario, gli irredimibili per sempre.

Caro Sergio, non è facile raccontarmi al di fuori dei nostri laboratori. Quel prendere la parola ogni volta, la paura di non riuscire a parlare, troppi anni nei quali non ho avuto la possibilità di parlare, racchiuso nel mio mutismo di persona ristretta al 41 bis. La condanna è una pena, ma se questa lunga pena non ti porta – a te che la sconti – a poter riflettere se avrai o meno un futuro, allora, ecco che la maturazione non avviene ma si manifesta nella sua terribile regressione.

Io conosco poche parole, la mia cultura è disorganizzata, ma grazie ai laboratori e soprattutto a Nessuno tocchi Caino, sto ampliando il mio vocabolario. Dopo aver frequentato per cinque anni un corso di agraria senza poter conseguire il diploma, sono dovuto arrivare a Opera. Dopo 29 anni di carcere espiato, mi sono iscritto al V. Benini e, in quattro anni, ho conseguito l’agognato diploma di ragioneria con 81 centesimi. Oggi sono una matricola universitaria alla Statale di Milano. Dopo aver riflettuto a lungo con il mio tutor, ho scelto il corso di Storia. Lo scorso 20 giugno ho sostenuto il primo esame universitario: età moderna, 1454, pace di Lodi; Napoleone e il blocco continentale, 1805-1810, patto rotto dalla Russia. Mi sono preparato a lungo per questo esame. Era il primo e ci tenevo tantissimo a fare una bella figura. Non sentivo salire l’arrivo, e non capivo se fosse normale. A un certo punto ho detto a me stesso: “Antò, vai avanti, perché non stai facendo nulla di male”. Confesso che ho scelto l’aula nella quale esibire la mia straordinaria oratoria. D’altra parte giocavo in casa, perché era l’aula dove ho trascorso gli ultimi quattro anni, più di 800 giorni, a studiare, 3.200 ore.

Da circa un mese, nell’area pedagogica, hanno realizzato un pollaio nel quale sono internati due galli che cantano giorno e notte. Il rituale della presentazione inizia con la discussione a bassa voce. Ad alzare il volume ci pensano i galli che si trovano all’esterno dell’aula. Una situazione surreale nella quale spesso perdevo la concentrazione; eppure sono stato un pastore, ho sempre avuto a che fare con gli animali, ma mai avevo sentito cantare dei galli ininterrottamente. Dopo alcune esitazioni si rompe il ghiaccio. La prima domanda: “7 ottobre 1571”. Risposta: “Battaglia di Lepanto. Comandante Don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, fratellastro di Filippo II di Spagna, a sua volta fratello di Margherita d’Austria, anch’essa figlia naturale di Carlo V”. È stato un susseguirsi di date e risposte, lunghe, troppo lunghe, tanto che, alla fine, per il mio solito divagare, ho perso la lode.

Le mie risposte sono state un po’ prolisse, ma ricche di particolari. Parliamo dell’infanta Caterina Micaela d’Asburgo, figlia di Filippo II, moglie di Carlo Emanuele I di Savoia. La domanda: “Chi è la Cantona?” La risposta è molto semplice, per me che sono un ricamatore. “La Cantona è una ricamatrice di Milano, VI secolo, che esegue i suoi lavori con il ‘punto raso’ di cui l’infanta aveva regalato alcune stole fatte con le sue mani alla chiesa di Mondovì. Tecnicamente il punto raso viene eseguito con una fila di punti lanciati lunghi e corti alternati, per poi eseguire la fila successiva al contrario”. Dopo quasi 100 minuti, 6mila secondi, terminate tutte le domande, alle 16, la professoressa si è alzata dicendo: “Va bene 30? Non le do la lode perché lei ha divagato”. Naturalmente ho accettato il voto promettendo a me stesso di imparare dagli errori. D’altronde ho deciso di studiare per imparare. Non ho altri obiettivi, amico mio, che la conoscenza fine a sé stessa.

*Ergastolano detenuto a Opera

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