Manovra finanziaria 2025: dalle pensioni al bonus mamme, sarà lacrime e sangue

RMAG news

I dati Istat diffusi ieri li aspettavano tutti con una certa trepidazione: nel Piano strutturale di bilancio che verrà approvato domani, passerà poi alle Camere all’inizio e partirà per Bruxelles a metà di quel mese, era rimasta in bianco una colonna non proprio secondaria: quella delle cifre. Per aggiungerla bisognava attendere appunto i risultati registrati ieri, relativi in base alle nuove regole europee a tutti gli ultimi anni.

Il responso è arrivato e si tratta del classico bicchiere pieno o vuoto a metà a seconda dei punti di vista. Il Pil del 2023 è un po’ più basso di quanto avesse previsto il governo nel Def dello scorso marzo: non arriva allo 0,9% ma si ferma allo 0,7%. Il governo però si ritrova con qualche soldo in più invece che in meno perché, in compenso, le stime dei due anni precedenti sono migliori del preventivato. Nel 2022 il Pil è al 4,7% invece che al 4%. A quei sette decimali se ne aggiungono 5 relativi al 2021, con un miglioramento dall’8,1% all’8,6%. Di conseguenza lo stato disastroso del deficit scende anche se di poco, dal 7,4% al 7,2%. Più significativa la rilevazione sul debito che sta al 134,6% e non al 137,3% come certificavano sia il Def che lo stesso Istat in aprile.

Qualcosa cambia e cambia in meglio ma non di molto, per quanto riguarda la manovra. Il ministro Giorgetti lo chiarisce subito: “La revisione è di lieve entità, non cambiano i princìpi e il quadro generale del Piano strutturale di bilancio”. Giorgetti prosegue però affermando che “Il Psb sarà rifinito”: una piccola dote da adoperare per la manovra comunque c’è. Però non basta a coprire le spese, intendendo quelle indispensabili che dovrebbero ammontare a 25 miliardi ma non è detto che bastino. Servono di sicuro a confermare il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro ma il governo spera di portare il tetto a 60mila, per la riduzione a tre aliquote l’Irpef e per il bonus mamme, ma è essenziale trovare qualcosa anche per la voragine della Sanità. Lo scontro in atto sul prelievo sugli extraprofitti delle banche, al quale si oppone fieramente Tajani perché “in uno Stato democratico e liberale non si può porre limiti ai guadagni e non è lo Stato a decidere cosa è profitto e cosa extraprofitto” è il primo atto di questa guerra interna alla maggioranza su chi penalizzare e certo non sarà l’ultimo.

Anche guardate in prospettiva, le stime Istat rispettano la regola del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Quel traguardo del Pil all’1% che la premier ha definito pochi giorni fa di fronte a Confindustria “a portata di mano” lo è ancora. Però un po’ di meno e i dati sulla produzione industriale in calo lo allontanano ulteriormente. È vero che gli altri grandi Paesi europei stanno messi anche peggio ma questa non è affatto una buona notizia perché per l’Italia, ormai Paese produttore soprattutto di componentistica e fortemente integrato all’industria tedesca, la crisi della Germania non è un’occasione ma un guaio. Il dato sul debito, dovuto anche alle politiche di austerità operate da questo governo sin dal suo primo vagito, aiuterà invece la trattativa con Bruxelles sul Piano strutturale dei bilancio. Il Psb infatti non è una Nadef con altro nome. Con Bruxelles stavolta non bisogna trattare solo la manovra come in passato ma anche, anzi soprattutto, le condizioni che la nuova Commissione imporrà per accogliere il Piano di rientro su deficit e debito in 7 invece che in 4 anni.

È una trattativa nella quale si intrecciano elementi di natura diversa. Dal punto di vista politico, certamente rilevante, l’aspetto più utile al governo di Roma non è il ruolo del commissario Fitto, che non è particolarmente rilevante e non lo sarebbe stato comunque, ma l’ingresso di FdI e forse dei Conservatori nella maggioranza, che sarà sancito dal voto tricolore a favore della nuova Commissione. Con la destra radicale e sovranista che avanza ovunque come il Brandeburgo ha confermato, la sponda di una destra sempre radicale però europeista e atlantista come quella di Giorgia Meloni per Bruxelles è fondamentale e questo avrà il suo peso nelle trattative su deficit e debito. L’altro fattore di assoluta importanza è appunto l’austerità: il miglioramento sensibile delle stime sul debito e la mano austera e ferma di Giorgetti saranno senza dubbio utili. Ma al prezzo di una politica non più di austerità ma di rigore per una fase molto lunga.

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