Parla Silvia Stilli: “La guerra in Libano è l’impunità di Israele”

RMAG news

Silvia Stilli, presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), che rappresenta più di 500 organizzazioni non governative, interne e internazionali: il Libano è una nuova Gaza? Bombardamenti a tappeto, centinaia di vittime, tra cui decine di bambini, migliaia di sfollati, assassinii mirati.
Ad oggi in Libano si contano più di 210.000 persone sfollate, oltre 1.540 morti e 5.140 feriti. Da molti mesi, soprattutto nel periodo estivo, il Sud del Libano è bombardato dall’esercito israeliano in maniera molto più massiccia e costante di quanto è successo nell’ultimo anno, dopo il 7 ottobre. Coinvolta è anche la Bekaa, altra area governata dal partito Hezbollah. E si arriva alle esplosioni dei cercapersone dello scorso 17 settembre, durate 3 lunghi giorni, da Beirut Sud a tutto il Paese, addirittura fino in Siria, provocando decine di morti e oltre quattromila feriti tra cui molti minori, la gran parte dei quali ha perso la vista. Non sono soltanto esplosioni di dispositivi in dotazione a massimi dirigenti del partito Hezbollah accusati di vari crimini, tra cui alcuni coinvolti in attentati terroristici internazionali di anni fa. Basta essere un sindaco, un componente di un consiglio comunale, un semplice dirigente locale di Hezbollah per diventare obiettivo da eliminare. Hezbollah in Libano è un partito legalmente riconosciuto e formalizzato. Chi ha congegnato questa modalità di eliminazione del nemico che richiama pagine di romanzi di spionaggio, ha purtroppo piena consapevolezza delle vittime civili innocenti che provoca. D’improvviso martedì scorso sulla capitale gli aerei israeliani, che da tempo la sorvolano periodicamente, sono scesi a bassissima quota, generando terrore tra i civili. Sono arrivate sui cellulari del personale delle ong immagini di fiumi di persone in fuga da Beirut e di ospedali collassati per l’arrivo di ambulanze e mezzi con un numero inimmaginabile di feriti a causa delle esplosioni. Chi si trovava là in quei due giorni maledetti della scorsa settimana ha visto l’Apocalisse.

C’è un futuro per il Libano?
Il Libano è sull’orlo del baratro, questi attacchi israeliani lo stanno condannando a non aver futuro. È un Paese in default economico e finanziario da anni, con governi che di fatto non vedono mai riunirsi il Consiglio dei Ministri, perché generati da spartizioni di ministeri tra fazioni che non dialogano, figuriamoci se amministrano insieme. Hezbollah ne fa di volta in volta parte da anni insieme a partiti di orientamento politico e religioso del tutto differente. I poli laici democratici sono debolissimi; le giovani generazioni scese nelle piazze dal 17 ottobre 2019 fino al 2020, manifestando contro la corruzione della classe dirigente e dei potentati economici, non hanno trovato la forza, gli spazi e il sostegno per diventare un movimento capace di generare il cambiamento. Ricordiamo le violente repressioni delle forze di polizia libanesi. Oggi il Paese dei Cedri conta poco più di 5 milioni di abitanti, di cui quasi 2 milioni sono profughi, non solo i palestinesi presenti dal 1948 ‘segregati’ all’interno di 12 campi nelle varie località del Libano: tantissime sono le persone provenienti dalla Siria dall’inizio del conflitto nel 2011, molti irakeni e anche yemeniti. Assistiamo agli attacchi israeliani, all’orrore e alla conta delle vittime civili libanesi, siamo testimoni del rischio di vita che corrono le persone rifugiate: tutto questo nella piena liberalità assoluta con cui il Governo di Netanyahu si muove. Israele ha superato ogni limite colpendo uno Stato sovrano che non le ha dichiarato formalmente guerra: perché Hezbollah non è il partito unico in Libano. Non mi convince dire che il Libano sarà un’altra Gaza, perché questa chiave di lettura delinea un confine geografico di intervento che chi governa Israele non ha più. Ha ragione l’Arci quando nel suo comunicato stampa dei giorni scorsi afferma che il governo israeliano vuole la guerra globale, oltre Beirut e Gaza, perciò va fermato.

Sugli attacchi con i cercapersone, l’ex capo della CIA, Leon Panetta, ha parlato di terrorismo di Stato d’Israele. Condividi? C’è qualche prospettiva di intervento da parte dei governi mondiali per fermare questa espansione del conflitto?
Beirut è stata per decenni la “capitale dei servizi segreti”, sede di rappresentanza delle agenzie di intelligence internazionali, in quanto punto di incontro di centri di potere e di osservazione strategica sul Medio Oriente, come Leon Panetta ben sa. Colpire il Libano per Israele significa trasmettere un segnale di forza e impunità alla diplomazia mondiale. Lo fa, ripeto, senza regole e pudore, senza rispetto alcuno dei diritti umani, con l’intento di destabilizzare l’area regionale per procedere nel disegno di supremazia. La strategia del terrore convertendo il cercapersone in uno strumento di morte incide fortemente nella psicologia della gente e la rende insicura e quindi vulnerabile. Condivido l’affermazione di Panetta. Con un’aggiunta…

Quale?
La fame di guerra e potere di Netanyahu è un problema per il Governo statunitense e quindi per i democratici in vista della scadenza elettorale; lo è anche per un’Europa confusa e divisa, senza strategia in termini di politica internazionale, chiamata a dover affrontare il perdurare della guerra in Ucraina e allo stesso tempo l’escalation nel Medio Oriente allargato. Si parla di un piano franco-statunitense per far cessare il fuoco con una tregua che avvii trattative di pace tra Israele ed Hezbollah, costringendo Hamas a condividerne gli esiti. Il Ministro delle Finanze israeliano, il radicale Bezael Smotrich, leader del Partito Sionista Religioso indispensabile a Netanyahu per tenere la maggioranza, uomo noto per aver ufficialmente negato l’esistenza di “un popolo palestinese”, ha detto che la guerra in Libano continuerà finché Hezbollah non si dichiarerà sconfitto. Fonti arabe sostengono che il piano franco-statunitense non è gradito ad Hamas; quindi, Hezbollah si vedrà costretto a declinare l’invito. Nelle ultime 48 ore Israele sta colpendo strade, passaggi e attraversamenti tra il Nord della Bekaa e la Siria, così da impedire qualsiasi possibilità di supporto e rifornimento di armi nelle aree controllate da Hezbollah. Gran parte di quelle zone sono attraversate ad ogni ora da file di vetture e mezzi di civili disperati in fuga oltre il confine libanese. A Beirut si continua a insistere con i bombardamenti nella zona Sud e nelle vicinanze. Qualche opinionista più informato sostiene che Netanyahu sente che sarà comunque chiamato a sedersi ad un tavolo di trattativa e ci vuole arrivare con il Libano in ginocchio. No so se questo sia vero o valga invece quanto dice Smotrich. Certo è che nessuna potenza mondiale sta veramente andando oltre le dichiarazioni di sconcerto e le generiche accuse di violazioni dei diritti umani. Non si vuol bloccare il governo israeliano in questa follia di allargamento del conflitto, nonostante le accuse chiare e l’appello accorato di Guterres per bloccare il conflitto.

A Gaza e ora anche in Libano tra le vittime c’è il personale umanitario delle Agenzie Onu, ci sono giornalisti e operatori media, Ong. Testimoni scomodi? Cosa chiede il mondo solidale al Governo italiano e cosa all’opposizione?
Come da copione, appena circola la notizia di personale umanitario ucciso in contesti di guerra, escono titoloni di stampa e si sentono affermazioni di sdegno della politica mondiale. Poi il silenzio. Dei giornalisti e operatori dell’informazione vittime in zone di guerra si parla ancora meno: l’opinione pubblica pensa talvolta che se si trovano là è perché forse sono “compromessi” con una parte in conflitto, in questo caso con Hamas ed Hezbollah. Noi del mondo delle Ong, sempre presenti nell’emergenza umanitaria, abbiamo grande rispetto per i giornalisti che incontriamo nei percorsi accidentati. In questi giorni di esplosioni e bombardamenti in Libano è stato dato ampio spazio nel mondo dell’informazione italiano alle testimonianze di cooperanti e personale locale delle ong. Nel silenzio della politica, siamo diventati protagonisti con il racconto di quello che facciamo volontariamente per il sostegno a popolazione e profughi nei luoghi bombardati e agli sfollati. Questo permette di capire cosa provoca la guerra e chi sono le vere vittime. Testimoni scomodi lo siamo perché mettiamo al centro le persone in alternativa agli interessi.

Il Governo italiano ne è consapevole?
I ministri Crosetto e Tajani il 2 ottobre parteciperanno ad un’audizione congiunta delle Commissioni Esteri e Difesa di Senato e Camera dei Deputati sulla situazione in Libano. Ci auguriamo che il Vicepremier e Ministro degli Esteri Tajani formalizzi l’impegno per sostenere le azioni umanitarie immediate delle agenzie ONU e delle ong italiane tramite l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e illustri quali misure diplomatiche il Governo intende proporre per bloccare l’escalation in atto. Il Ministro Crosetto deve dare notizie su come si intende gestire la presenza UNIFIL al Sud del Libano, sotto comando italiano dal 2 agosto scorso, e anche sugli accordi nel commercio di armi con Israele. La politica deve esprimere posizionamenti chiari e trasparenti sul tema della guerra e sulle violazioni gravi della Convenzioni internazionali per la tutela dei Diritti Umani. Ciò che Israele sta continuando a fare a Gaza, in Cisgiordania e in Libano non è atto di legittima difesa. Per un’efficace azione di tutela delle vite umane serve un’interlocuzione chiara e continuativa tra mondo solidale e politica. Oltre le sensibilità di singoli parlamentari, vogliamo sapere quali siano gli alleati sinceri nella ricerca di soluzioni di pace.

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