Così il pacchetto sicurezza costituisce una odiosa sfida alla vita civile

RMAG news

Il ddl Sicurezza approvato alla Camera, e ora in attesa di voto al Senato, costituisce una sfida odiosa alla nostra vita civile. Il governo, che contava fra i suoi programmi la mitigazione dei reati e delle pene, li moltiplica, invece, rivolgendosi con particolare accanimento verso le fasce più deboli della società. Nel disegno di legge risaltano in modo particolare le norme che puniscono severamente le manifestazioni di protesta, anche quando espresse in forma di resistenza passiva, cioè senza alcun uso della violenza.

Il ddl sicurezza e le proteste non violente

Da più parti si è levato l’allarme nei confronti di questa previsione che cancellerebbe un modo di vivere nella comunità radicata nel primo cristianesimo, nell’opposizione indiana al dominio britannico, nelle lotte per i diritti civili. Ha detto Luigi Manconi a Il Cavallo e la Torre: «Si tratta di una involuzione autoritaria e illiberale. La resistenza passiva è un’acquisizione di intelligenza, di maturità, di libertà». La nuova norma, insieme alle pacifiche contestazioni nelle strade, nelle piazze o davanti ai cancelli delle fabbriche, punisce anche la protesta nelle carceri dove, per ragioni che nessuno rimuove, dall’inizio dell’anno abbiamo già contato ben 72 suicidi.

A tal proposito, chi nutrisse dubbi sulla valenza detentiva dei centri di permanenza per i migranti potrà considerare, ad esempio, quello da poco istituito a Porto Empedocle per la reclusione in attesa del rimpatrio. Lì, un numero consistente di forze dell’ordine è impegnato a contenere qualche decina di migranti e vi girano intorno perfino più che nelle prigioni di massima sicurezza. Chi, poi, non fosse convinto che i migranti siano carcerati come gli altri – e, come loro, reietti, per giunta senza processo – troverà nel nuovo decreto due previsioni interessanti.

La prima, articolo 18, prevede una pena da due a otto anni per chi, negli istituti penitenziari, partecipi a una protesta (anche usando la resistenza passiva); la seconda, immediatamente successiva, commina da uno a sei anni per analoghe proteste nelle “strutture di contenimento e accoglienza per i migranti”. In entrambe le disposizioni, lo stesso intento persecutorio.

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