Parla Ethan Hawke: “Fare cinema vuol dire catturare la poesia nella vita di tutti i giorni”

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Dopo una felice parentesi alla Mostra d’arte Cinematografica di Venezia dove ha consegnato il premio alla carriera al regista Peter Weir che lo ha lanciato ne L’Attimo fuggente, l’attore e regista americano Ethan Hawke è tornato in Italia, al Lucca Film Festival. Omaggiato con il Golden Panther Award, l’attore ha presentato il suo ultimo film, Wildcat realizzato con la figlia Maya ed ha dialogato con il pubblico in una masterclass di un’ora e mezza. Hawke ha descritto cosa cerca nelle storie che racconta quando è dietro la macchina da presa ed ha elogiato i registi che lo hanno fatto crescere come attore e come artista. Uno tra tutti, Richard Linklater, regista di due perle della storia del cinema, che vedono Ethan Hawke protagonista: la trilogia Before (Prima dell’alba, Prima del Tramonto, Prima della Mezzanotte) e Boyhood, un film girato nell’arco di 12 anni.

Carpe Diem, è stato l’insegnamento de L’attimo fuggente, del 1989. Come guarda a quel “cogli l’attimo” oggi?
Dal momento in cui uscì L’attimo fuggente, ho iniziato vedere questa scritta ovunque tra tatuaggi e t-shirt, è stata un’espressione molto abusata in giro per il mondo. Io l’ho sentita per la prima volta grazie a quel film e in realtà quel tipo di lezione fa parte di un’esperienza legata a Peter Weir stesso e al modo in cui lui ci spiegava come trovare la poesia nella vita di tutti i giorni e come vivere a pieno. Solo ora mi rendo conto di quanto abbia interiorizzato quell’espressione e probabilmente la porterò dentro per sempre.

Qui a Lucca l’anteprima italiana del suo nuovo film da regista, Wildcat, sulla vita della scrittrice Flannery O’Connor, interpretata da sua figlia Maya. Qual è la genesi del film?
L’idea è stata di mia figlia Maya, che ci ha chiesto di aiutarla a realizzare un film su quella che è un’autrice che per lei significa molto. La sfida nel fare Wildcat non era far conoscere Flannery O’Connor al pubblico ma farlo concentrare sugli ostacoli della sua esistenza, dai problemi di salute al mancato appoggio della famiglia, dal mondo della letteratura gestito da uomini alle critiche di chi riteneva che il modo in cui vedeva il mondo fosse pericoloso. Si tratta di un film sul potere dell’immaginazione, ma anche sulla Fede, che ha accompagnato la vita di questa scrittrice.

Un altro biopic nella sua cinematografia, dopo Blaze o The last movie stars. Lei sembra “usare” i racconti di vita degli altri per interrogarsi su questioni che la premono, è così?
Assolutamente sì. Io odio i biopic, ma ne sembro ossessionato, lo so. È perché non amo il modo in cui vengono fatti. La mia ambizione è infrangere il solito schema che racconta la vita di un personaggio in modo lineare. In questo caso, nella vita di Flannery, ho rivisto la possibilità di riflettere sull’idea che la creatività umana sia, di fatto, un atto di fede.

Come si è approcciato al rapporto della scrittrice con la fede?
La fede è stata la ragione per cui è stato fatto questo film. Può essere rappresentata al cinema in due modi principali: come devozione oppure prendendosi gioco della Chiesa. Flannery era un personaggio estremamente devoto, ha tratto nutrimento dalla fede e ha creato anni di arte. L’ho ammirata proprio per questo. Io sono cresciuto con un patrigno cattolico e una madre episcopale, ho letto molti libri su entrambe le fedi e ho sempre portato un grande rispetto per coloro che cercano di rispondere alle grandi domande della vita.

È tornato a girare un film con Richard Linklater, come annunciato a Venezia?
Sì, si chiama Blue Moon, lo abbiamo girato questa estate in Irlanda. Una delle migliori sceneggiature a cui ho lavorato. Il film sarà pronto per la fine dell’anno ed è uno dei film che amo di più in assoluto. Sognavamo di farlo da circa 11 anni e siamo riusciti finalmente a farlo. Non riesco ancora a crederci. Con Richard abbiamo iniziato a lavorare insieme con Prima dell’Alba – Before Sunrise, trent’anni fa ed è una delle amicizie più forti che ho nella mia vita. 4 film su 10 proiettati a questo festival sono suoi.

Sulla trilogia Before realizzata con Linklater e scritta da lei e la co-protagonista Julie Delpy, si sono lette critiche sull’ultimo capitolo, definito troppo realistico. Che ne dice?
Dopo i primi due film ci siamo sentiti un po’ irresponsabili, stavamo generando troppe proiezioni romantiche rispetto alla realtà. Così abbiamo deciso di tenere i piedi per terra. Nel terzo film c’è una scena in cui, mentre parlo con Celine, guardo il sedere a una donna che passa. L’operatore di macchina greco mi ha detto con le lacrime agli occhi ‘Non puoi farlo! Non puoi guardare un’altra donna. Pensa se lo facesse Jack del Titanic mentre parla con Rose?’. Lì abbiamo capito che quella di Prima della Mezzanotte sarebbe stata un’impresa difficile. La forza di Linklater sta nel raccontare l’amore in modo realistico: le storie d’amore, di solito, vengono raccontate o dal punto di vista femminile o da quello maschile. Linklater si approccia a quei film come uno scienziato. Ha invitato me e Julie a scrivere con lui perché voleva un punto di vista imparziale. La telecamera non ha genere, uomini e donne comunicano e si provocano e questo dà energia ai film, tutto sembra più reale.

Tra i suoi film ci sono La notte del giudizio e Sinister, frutto della sua collaborazione con il produttore Jason Blum, fondatore della Blumhouse, che ha rivoluzionato la scena del cinema horror contemporaneo.
Pochi sanno che, quando avevamo vent’anni, io e Jason abbiamo messo su una compagnia teatrale. È un produttore eccezionale, ama appoggiare artisti di qualsiasi tipo. Nella sua vita ha trovato questa passione per l’horror e il miglior film di Blumhouse per me rimane Scappa – Get Out di Jordan Peele. Il mio primo insegnante su questo genere è stato però Joe Dante, regista del mio primo film, Explorers. Lui mi ha insegnato che non esiste un’arte di basso e di alto livello, esiste solo l’arte, da qualsiasi film può nasce una metafora.

Paul Schrader, suo regista in First Reformed e Premio alla Carriera qui a Lucca, ha dichiarato che lei è come un artista rinascimentale, può fare tutto, forse anche il cardiochirurgo, se lo volesse. Concorda?
Ovviamente accetto qualsiasi complimento provenga da Paul Schrader. Quando ero giovane e alla ricerca del college ho visitato molti campus, di matematica, di storia, fino a scegliere quello dedicato all’arte. Quando mi dicono che posso fare qualsiasi cosa, io dico che invece posso farlo solo dentro quell’edificio, quello che riguarda l’arte, io vivo solo lì. Mia moglie confermerà che so esclusivamente raccontare storie. Mentre andavo in bici con lei questa mattina sulle mura di Lucca, si è staccata la catena e non ho saputo rimetterla. Non sapevo dove mettere le mani, figuriamoci fare il cardiochirurgo.

Leggiamo che in cantiere c’è un suo nuovo film da regista, Camino Real, che ci può dire?
È affascinante come funziona il mondo di Internet e come girano tante notizie. Camino real è una storia che sogno di fare da molto tempo e credo che abbia un po’ un mood felliniano. Se lo farò, cercherò di portare un po’ di Fellini in Tennessee Williams.

 

 

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