Libano, i militari italiani resteranno. Tajani: «La missione va potenziata»

Libano, i militari italiani resteranno. Tajani: «La missione va potenziata»

Il Quotidiano del Sud
Libano, i militari italiani resteranno. Tajani: «La missione va potenziata»

Mentre Ue e G7 restano spettatori inermi della guerra in Medioriente, l’Onu conferma che la missione Unifil continuerà a restare in Libano Tajani: «La missione va potenziata perché è chiaro che Unifil non è riuscita a sterilizzare l’area da entrambe le forze, Hezbollah e Israele»

Gli oltre mille soldati italiani restano nella fascia sud del Libano. Continuano a fare ciò per cui le Nazioni Unite nel 2006 mandarono là un contingente di oltre diecimila uomini a cui contribuiscono una cinquantina di Paesi: i gendarmi della Blue line, la forza di interposizione e la zona cuscinetto che in effetti per quasi vent’anni ha consentito a un paio di generazioni di crescere più o meno lontana dalle bombe.

L’ONU RESTA IN LIBANO

«La missione Unifil continuerà a restare in Libano»: così ha spazzato via ogni altra ipotesi Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. L’idea di un ritiro è cominciata a balenare negli ultimi giorni, via via che la situazione al confine tra Libano e Israele è degenerata con l’invasione di terra per quanto “mirata” e “temporanea” ordinata da Nethanyau.
L’idea ha preso corpo anche nei banchi del Parlamento italiano. «Fin dove e per quanto dobbiamo restare là?» ha chiesto ieri mattina il senatore Menia di Fratelli d’Italia. In maggioranza, anche tra i leghisti, è iniziata a serpeggiare l’idea di un possibile ritiro del contingente italiano.

«Non è sul tavolo in alcun modo l’ipotesi di un ritiro unilaterale del contingente italiano, ogni decisione è in mano alle Nazioni Unite» ha chiarito, prima ancora che parlasse Guterres, il ministero degli Esteri Antonio Tajani. Il governo, come ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto, ha chiesto al contrario di «potenziare» la missione e di rivedere le regole d’ingaggio perché «è assolutamente chiaro a tutti che Unifil non ha raggiunto l’obiettivo della risoluzione 1701 del 2006 – sterilizzare l’area da entrambe le forze, Hezbollah da una parte e Israele dall’altra – visto che i nostri soldati sono più o meno costretti a restare nei bunker. Ma è altrettanto chiaro che senza Unifil adesso lì ci sarebbe l’esercito e i carri armati di Israele. Dunque la missione continua ad avere un ruolo di pacificazione e proprio per questo va potenziata».
Una mission quasi impossibile, visto che ogni modifica delle missioni Onu deve passare dal Consiglio di sicurezza dove siede la Russia che non darà mai il via libera.

IMPOTENZA OCCIDENTALE

Lente, disorientate, impotenti. Così sembrano le democrazie occidentali di fronte al conflitto Iran-Israele che ormai interessa tutto il Medioriente in una escalation che nessuno sembra poter fermare. Neppure gli Usa che ci provano da un anno.
Martedì sera Teheran ha ordinato il lancio di oltre duecento missili balistici. Israele ha subito attivato il suo Iron dome, il sistema di difesa aerea, per neutralizzare l’attacco: al suo fianco si sono schierati gli Stati Uniti con la Casa Bianca che si è preoccupata di comunicare che «gli Stati Uniti sono al fianco dell’alleato Israele contro il regime degli ayatollah».

Immediata la risposta di Teheran: «Siamo in guerra, abbiamo pareggiato i conti (dopo gli attentati che il 30 luglio hanno ucciso il leader di Hamas Ismail Haniyeh e tre giorni fa il leader di Hezbollah Nasrallah, ndr), consideriamo la nostra azione conclusa se Israele non risponderà, altrimenti Tel Aviv finirà in cenere».
Ma Nethanyau ha parlato alla nazione e al mondo pochi minuti dopo: «L’Iran ha commesso un grosso errore e la pagherà cara. Siamo in guerra contro l’asse del male». Anche Londra e Parigi hanno rivendicato di «aver fatto il loro dovere al fianco di Israele».

SOLUZIONE LONTANA

Guerra, appunto. Gli analisti concordano su un punto: siamo solo alla fine del primo tempo di una lunga partita iniziata anni fa. Israele vuole abbattere il regime degli ayatollah e di tutti i suoi proxi, Hamas, Hezbollah, Houti, e sa di poterlo fare anche grazie all’appoggio della popolazione civile iraniana e dei Paesi arabi sunniti, per chiudere la stagione delle guerre e dare finalmente respiro economico a tutta l’area. Anche il popolo libanese, in ginocchio per l’inflazione, chiede pace e stabilità. Sulla Palestina il discorso è un po’ più complicato.

In questo quadro, che è ancora ben lontano da una tregua e da una soluzione diplomatica l’Europa, le Nazioni Unite, il G7 sono disarmati. Ursula von der Leyen, ancora senza Commissione e senza l’arma di una difesa comune europea, non può che fare il solito appello: «Condanno con la massima fermezza l’attacco missilistico dell’Iran contro Israele. Esorto tutte le parti a proteggere la vita di civili innocenti. La Ue continua a chiedere un cessate il fuoco al confine con il Libano e a Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da quasi un anno».

Il minimo sindacale. Giorgia Meloni, dopo aver convocato il suo gabinetto di crisi martedì sera, ieri pomeriggio, venti ore dopo l’attacco, ha convocato «d’urgenza» – sottolinea Palazzo Chigi – una conferenza telefonica dei leader dei G7. Il risultato è quasi una fotocopia di altre riunioni: «Ferma condanna dell’attacco iraniano»; «rigorosa applicazione delle risoluzioni 2735 a Gaza e della 1701 in Libano»; «un conflitto su scala regionale non conviene a nessuno» (peccato che lo sia già); una «soluzione diplomatica è ancora possibile».

Il finale è un capolavoro: «I leader hanno concordato di mantenersi in stretto contatto». In mattinata, per fugare ogni dubbio anche solo interpretativo, la premier ha precisato all’inizio della riunione del Consiglio dei ministri che «non esiste alcuna ipotesi di ritiro del nostro contingente dal Libano». Sarebbe una scelta unilaterale. Saremmo bollati di codardia per l’eternità. Neanche si fanno queste ipotesi.

MISSIONE DA POTENZIARE

Piuttosto, ed è questa l’intenzione di Meloni con cui concordano Tajani e Crosetto, la missione va potenziata. «Non servono più truppe, ciò che manca – dice ad Askanews Andrea Tenenti, portavoce della missione Unifil in Libano – è la volontà di prendere passi decisivi e coraggiosi per riuscire a implementare la risoluzione già in vigore». Per esempio un «aumento delle forze armate libanesi» con maggiore sostegno a livello finanziario e di training.

In questi anni di finta quiete Teheran ha riempito di armi Hezbollah e il sud del Libano. Un fenomeno costante avvenuto sotto gli occhi dei militari Unifil che però non potevano in alcun modo intervenire. Potevano segnalare al governo di Beirut che poi sarebbe dovuto intervenire. Ma il governo libanese è un mix tanto difficile quanto bilanciato tra cristiani, sunniti, sciiti e persino hezbollah che esprime ben due ministri e garantisce, tramite l’Iran, il welfare della popolazione del sud. Si fa presto a dire Libano. Ma non è facile capire cos’è il Libano. Come tutta la regione.
La diplomazia è oggi l’unica arma disponibile. Per l’Italia e per l’Europa. Ed è importante, come ha detto ieri il ministro Ciriani, che «Israele ci chieda di tenere aperto il canale con l’esercito libanese che dovrà prendere il controllo del territorio dopo l’offensiva».

Il Quotidiano del Sud.
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