Parla Benifei: “L’Ue sospenda gli accordi con Israele”

RMAG news

Brando Benifei, europarlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico: Il Medio Oriente in fiamme chiama in causa l’Europa. Ma l’Europa latita, balbetta, incapace di una efficace iniziativa diplomatica.
Quanto sta accadendo ai confini dell’Europa richiederebbe un’istituzione diversa da quella che ancora vediamo, dove il posizionamento in politica internazionale del blocco comunitario ancora dipende da veti di singoli Paesi, come abbiamo visto accadere spesso anche recentemente con le azioni interdittive in particolare della Ungheria di Orban. Perciò è certamente giusto partire da quello che unisce, come è stato ribadito in un confronto avuto col gruppo socialista e democratico in questi giorni con la futura Alto Rappresentante Kaja Kallas, per esempio dalla richiesta del cessate il fuoco a Gaza, dal rilascio degli ostaggi e dagli aiuti umanitari, ma questo non basta: serve che un nucleo di governi europei si sforzi di un maggiore coordinamento e iniziativa per fermare l’escalation, perché quanto si riesce a fare nel formato a ventisette evidentemente non è sufficiente. E io mi auguro che anche l’Italia, con la responsabilità che ricopre in questo momento alla guida del G7, faccia la sua parte e non sia nelle retrovie, ma piuttosto contribuisca come è proprio della sua storia alla costruzione della pace e di un nuovo equilibrio.

Riconoscere lo Stato di Palestina. Se non ora, quando?
È una scelta che l’Italia non deve ulteriormente ritardare, seguendo l’esempio di diversi Paesi europei. È un segnale di speranza da lanciare a un popolo stremato non solo dai bombardamenti a Gaza ma anche dalle crescenti violenze in Cisgiordania avallate dai Ministri del governo Netanyahu, alcuni dei quali andrebbero sanzionati in quanto incitatori di violenza terroristica, come giustamente sottolineato da Josep Borrell negli ultimi mesi. Senza un reale impegno della comunità internazionale a stabilire un percorso chiaro che comprenda una conferenza di pace e una roadmap verso la nascita dello stato palestinese e al contempo il pieno riconoscimento della legittimità dello stato ebraico anche da parte dei vari soggetti politici regionali, allora rimarrà la formula vuota dei due Stati per due popoli che chiaramente oggi appare velleitaria di fronte alla situazione sul terreno. L’esplosione del conflitto in Libano non deve far sparire Gaza e la necessità del cessate il fuoco dal dibattito pubblico, lo sottolineo perché con l’allargarsi del numero dei fronti di conflitto il rischio esiste.

Essere amici d’Israele significa avvalorare ogni sua politica o avventura militare?
Assolutamente no. In queste ore stanno arrivando notizie inquietanti che andranno verificate accuratamente: il ministro degli Esteri libanese afferma che l’attacco contro il bunker di Nasrallah è arrivato nel momento in cui era stata accettata la tregua negoziata anche dagli Stati Uniti e da alcuni governi europei. In linea generale, di fronte a esplosioni di apparecchiature elettroniche a distanza, invasione di Paesi sovrani, violazioni ripetute del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario, per l’Europa la bussola deve rimanere la Carta delle Nazioni Unite e le risoluzioni a partire da quelle del Consiglio di Sicurezza. Nei confronti di organizzazioni terroristiche come Hamas ed Hezbollah e anche nei confronti dello Stato iraniano ci sono giustamente sanzioni e isolamento internazionale, questo non significa accettare che si travolga ogni diritto e legalità attraverso l’uso della forza da parte di chi non sta in questo novero. L’Unione Europea non può avere doppi standard e perciò deve discutere una temporanea sospensione dell’Accordo di Associazione con Israele come strumento di pressione sul governo di Netanyahu, che oggi appare animato principalmente dalla volontà di garantire la sua sopravvivenza politica prolungando i conflitti e facendo di fatto il gioco di chi vuole mantenere uno sconto permanente con Israele e con i Paesi occidentali.

Dal Medio Oriente all’Ucraina. La stampa mainstream ha annoverato la grande maggioranza degli europarlamentari del PD tra i “filoputiniani italiani” per il recente voto su una risoluzione sulle armi a Kiev. Lei si sente vicino al generale Vannacci?
In questi giorni ho incontrato i rappresentanti del Partito socialdemocratico ucraino SD Platform non presente nell’attuale parlamento ma tra le principali forze progressiste del Paese, movimento che vuole guardare oltre l’orizzonte del conflitto per capire come ricostruire un’Ucraina più giusta e impegnata sulla strada dell’integrazione europea. Ho confermato anche in quella occasione la volontà di continuare a sostenere la difesa ucraina, posizione che è quella del Partito Democratico e che non è cambiata. Ciò che non abbiamo voluto supportare è l’idea che il Parlamento Europeo prima ancora che i governi europei prendano qualunque intendimento al riguardo si esprima per spingere a sbloccare l’uso delle armi occidentali per colpire in profondità nel territorio della Russia. Se l’Europa vuole avere una funzione nel costruire una via d’uscita dal conflitto che sia giusta e sostenibile deve capire che ruolo giocare e quindi personalmente se da una parte non mi sento di condannare né che l’Ucraina colpisca obiettivi fuori dal suo territorio né che si possa ragionare di un utilizzo anche delle armi europee per rispondere ad attacchi provenienti dal territorio russo immediatamente confinante, un via libera generalizzato invece come previsto da quel passaggio della risoluzione non mi è parso una scelta saggia e per questo anche io ho votato come la maggioranza dei parlamentari democratici per una strada di maggiore prudenza. Mi pare del tutto evidente che tutte queste riflessioni siano sideralmente distanti dal malcelato putinismo del collega Vannacci.

A proposito di votazioni. Come si muoverà la delegazione PD sulla vicepresidenza Fitto?
Lo esamineremo senza pregiudizi per il lavoro che dovrebbe svolgere rispetto al tema dei fondi di coesione, pur coscienti della sua non brillante prova come ministro delegato proprio ad occuparsi di questo. Come Socialisti e Democratici siamo preoccupati dall’equilibrio complessivo della Commissione: deleghe molto frammentate, poca chiarezza sull’agenda sociale e sulla delega all’uguaglianza, rischio di ritorno indietro sul tema della transizione ecologica. Le audizioni saranno decisive per portare dei cambiamenti nella distribuzione degli incarichi e per eliminare se necessario qualche Commissario proposto, come accaduto in passato, ad esempio, nei confronti delle prime figure indicate da Orban e Macron cinque anni fa. Dunque, la storia è ancora da scrivere e gli esami dei Commissari inizieranno soltanto dal 4 novembre, la discussione andrà avanti in queste settimane ma una cosa è certa: a luglio noi abbiamo dato un primo via libera parziale a Von der Leyen per comporre una proposta che rispecchi la maggioranza che l’ha votata, che non include i nazionalisti. Vogliamo essere certi che il nuovo governo europeo sia rappresentativo del compromesso trovato fra le famiglie politiche pro-europee e non abbia sbandamenti a destra. Se non riuscissimo ad apportare miglioramenti e ottenere chiarimenti nel senso che ho indicato potrebbe diventare difficile sostenere la Commissione, ma sono fiducioso che nessuno voglia arrivare a questo punto.

Due anni di governo delle destre in Italia. Quale bilancio visto da Bruxelles.
Il governo italiano mantiene un consenso significativo nelle rilevazioni e anche nei risultati ottenuti alle elezioni europee, l’opposizione e in particolare il Partito Democratico hanno ritrovato slancio e forza con battaglie comuni come quelle per il salario minimo, per la sanità e contro l’autonomia differenziata, ottenendo un risultato forte alle elezioni europee certamente per il PD guidato da Elly Schlein ma anche per quanto riguarda AVS. Ora prosegue questo impegno nel confronto sulla finanziaria ma anche con proposte innovative come quella depositata sul diritto alla disconnessione dei lavoratori frutto dell’attenzione al lavoro svolto dall’associazione romana L’Associata. Le difficoltà dell’area centrista e del Movimento 5 Stelle si riflettono nel conflitto in atto fra gli esponenti di spicco, ma allo stesso tempo vediamo come il tema dell’autonomia stia lacerando i rapporti fra Forza Italia e Lega e metta in fibrillazione quotidiana la maggioranza. In questo quadro un’alternativa al governo è possibile nel segno della chiarezza e per questo credo che l’impegno a concentrarsi sui temi e il tentativo di avere coalizioni ampie nelle regioni al voto sia giusto, nell’attesa di capire quali saranno i veri soggetti che emergeranno per tirare le fila, con l’unica certezza delle due donne leader dei due schieramenti, Meloni e Schlein. Un’alternativa di cui c’è bisogno perché i risultati del governo appaiono deludenti e si può immaginare che possano presto iniziare a incidere sul consenso, penso al tema dell’occupazione, della lotta all’inflazione, del ritardo nell’uso dei fondi comunitari per supportare le transizioni. Ma la strada è certamente ancora molto lunga e richiede l’impegno a parlare al Paese con verità e con proposte coraggiose.

Please follow and like us:
Pin Share