Netanyahu prepara l’attacco contro l’Iran, ma intanto 130 soldati dell’Idf si rifiutano di combattere a Gaza

RMAG news

Attacco all’Iran. Alle sue strutture militari. Nel lungo vertice dell’altra notte, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha preso decisioni chiave sulla risposta da dare all’attacco missilistico iraniano del primo ottobre. Lo riferisce il Times of Israel, citando un funzionario iraniano secondo cui l’attenzione di Israele sarebbe rivolta alle strutture militari iraniane, anche se questo – prosegue il giornale – potrebbe cambiare. Anche la tv Kan sostiene che la riunione è stata “una discussione decisiva sulla questione iraniana”.

Il colloquio telefonico tra i due leader

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha parlato al telefono con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i due leader avrebbero discusso i piani israeliani per un attacco di ritorsione contro l’Iran. Secondo quanto riferito dall’emittente pubblica israeliana Kan, il colloquio è durato 50 minuti e ha partecipato anche la vicepresidente Kamala Harris. Netanyahu era affiancato dal consigliere diplomatico Ophir Falk, dal segretario militare Roman Gofman, dal capo dello staff Tzachi Braverman e dal vicecapo del Consiglio per la sicurezza nazionale Gil Reich. Il Medio Oriente è in attesa della risposta di Israele all’attacco missilistico effettuato la scorsa settimana da Teheran come rappresaglia per l’escalation militare israeliana in Libano. L’attacco iraniano alla fine non ha ucciso nessuno in Israele e Washington lo ha definito inefficace.

Netanyahu ha promesso che il suo acerrimo nemico, l’Iran, pagherà per il suo attacco missilistico, mentre Teheran ha affermato che qualsiasi ritorsione sarebbe accolta con vaste distruzioni, sollevando timori di una guerra più ampia nella regione produttrice di petrolio che potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti. La Casa Bianca non ha risposto a una richiesta di commento. «C’è solo una forza al mondo che sta combattendo l’Iran in questo momento. C’è solo una forza al mondo che ostacola la conquista dell’Iran. E quella forza è Israele». Così Netanyahu a una delegazione della Conferenza dei Presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane presso l’ufficio del Primo ministro a Gerusalemme. «Se non combattiamo, moriamo. Ma non è solo la nostra lotta, è la lotta del mondo libero, e direi la lotta del mondo civilizzato», ha detto Netanyahu. «Vogliono soggiogare il mondo e riportarlo ai tempi bui».

Da un attacco annunciato, a una guerra in corso

Per chi crede ancora alla favola delle “incursioni mirate”, di “operazioni limitate”, si consiglia la lettura del report di Rid (Rivista italiana difesa), una “bibbia” in materia. Scrive Tommaso Massa: “Proseguono senza sosta le operazioni di terra israeliane nel sud del Libano, con altre due divisioni dell’Idf mobilitate nei giorni scorsi. Sale così a 4 il numero di divisioni impegnate nel sud del Paese: alla 98esima e 36esima si sono infatti aggiunte due divisioni della Riserva, la 91esima e la 146esima. Per quanto riguarda quest’ultima, sono sicuramente impiegate la seconda Brigata di fanteria Carmeli, la 288esima Brigata di fanteria, la 205esima Brigata corazzata Iron fist, e la 213esima Brigata di artiglieria, mentre per la 91esima divisione si ha al momento contezza dello schieramento dell’ottava Brigata corazzata e della terza Brigata di fanteria. Inoltre, nelle operazioni del sud del Libano è coinvolta anche l’unità 504 dell’Aman, il Servizio segreto militare. Il numero di truppe schierate da Israele dovrebbe aver superato le 15mila unità.” Ma la resistenza di Hezbollah è tutt’altro che debellata.

Due civili israeliani, un uomo e una donna sui 40 anni, sono stati feriti mortalmente da un razzo lanciato dal Libano su Kiryat Shmona, nel nord di Israele. Lo riferiscono i soccorritori di Magen David Adom (la Croce rossa d’Israele), citati da Times of Israel. Le forze aeree israeliane hanno “colpito e distrutto” la base di lancio da cui erano partiti “i proiettili” che hanno colpito Kyriat Shmona, uccidendo una coppia. Lo rende noto l’Idf. Sono 2.141 le persone uccise e 10.099 quelle rimaste ferite in Libano dall’inizio dell’“aggressione” israeliana. Lo ha comunicato il ministero della Salute pubblica libanese. Netanyahu martedì ha minacciato i libanesi di una distruzione simile a quella di Gaza se non libereranno il loro paese da Hezbollah. «Liberate il vostro paese da Hezbollah in modo che questa guerra possa finire», ha dichiarato il Premier israeliano in un video in lingua inglese rivolto ai libanesi. Se non lo fanno, avverte il premier israeliano, i libanesi andranno incontro alla «distruzione e sofferenza come quelle che vediamo a Gaza». «Abbiamo eliminato Nasrallah e il sostituto di Nasrallah e il sostituto del suo sostituto», ha continuato Netanyahu. L’ufficio di Bibi ha riferito che l’ex presidente americano Donald Trump ha telefonato al Primo ministro israeliano la settimana scorsa per congratularsi per le sue azioni “determinate e potenti” contro Hezbollah. Lo riferiscono i media israeliani. Anche il senatore repubblicano Lindsey Graham ha partecipato alla conversazione, aggiunge Ynet.

Ma c’è chi dice “signor no”. Il coraggio dell’obiezione. Si rifiutano di combattere a Gaza per non “sottoscrivere la condanna a morte” degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Un gruppo di 130 soldati dell’esercito israeliano si sono opposti alla continuazione dei combattimenti nella Striscia poiché rappresentano una “sentenza capitale” per i 101 ostaggi ancora nell’enclave palestinese.
“È chiaro che la continuare la guerra a Gaza non solo ritarda il ritorno degli ostaggi, ma mette anche in pericolo la loro vita” si legge in una lettera inviata alle autorità israeliane. “Molti di loro sono stati uccisi dai bombardamenti dell’Idf, molti di più di quelli che sono stati salvati nelle operazioni militari”. “Noi, che abbiamo servito e continuiamo a servire con dedizione, rischiando la vita, annunciamo che se il governo non cambia immediatamente rotta e non si adopera per raggiungere un accordo per riportare a casa gli ostaggi, non saremo in grado di continuare a combattere”, prosegue il testo. Una rivolta morale. Ma per il “piromane di Tel Aviv”, al secolo Benjamin Netanyahu, è alto tradimento.

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