Cambiamento climatico e crisi idrica: l’agricoltura è in difficoltà, servono strategie di prevenzione

RMAG news

Siccità e crisi idrica non possono essere confinate nel solo contesto agricolo, anche se il maggior utilizzo dell’acqua avviene proprio in questo comparto. Bisognerebbe di contro partire dalla questione principale: i mutamenti climatici.

La straordinarietà climatica interviene direttamente sul ciclo dell’acqua. Da una parte l’aumento di frequenza ed intensità di eventi meteo, con conseguenze drammatiche in molti territori – come abbiamo visto -, e dall’altra la scarsità di precipitazioni per lunghe fasi, che produce periodi di scarsità estrema dell’acqua visto che nei nostri “magazzini” non ce n’è a sufficienza per tutti, non solo per l’agricoltura ma anche per l’uso civile. L’anno scorso il nostro Paese ha trattenuto appena il 40% del volume totale delle precipitazioni. Meno acqua, rispetto alla media storica 1951-2023, ha ricaricato gli acquiferi. E molta più risorsa idrica è andata persa per l’evapotraspirazione, direttamente legata alle temperature: il 59% contro un valore medio storico del 52%.

Politiche e strategie di prevenzione

Di fronte all’assenza di politiche e di strategie di prevenzione, di resilienza, di mitigazione e di contrasto, che sommate avrebbero dovuto portare all’uscita dall’era dei combustibili fossili e alla neutralità climatica entro il 2050, la realtà dinanzi a noi è tutt’altra. Se il trend rimane quello di tagliare 2 milioni di tonnellate di gas serra all’anno, ci vorrà ancora un secolo – o forse due – per raggiungere l’obiettivo. D’altronde i dati sono drammatici, oltre che evidenti, per quello che sta succedendo e sono sotto gli occhi di tutti. La temperatura del nostro Paese è di tre volte superiore rispetto alla media mondiale, avendo a riferimento il diciannovesimo secolo. In maniera ottimistica, anche se la macchina organizzativa “taglia-emissioni” produrrà qualche effetto, c’è la possibilità che la temperatura possa salire ulteriormente, raggiungendo picchi ingestibili per le attività produttive e ancor di più nelle città, dove per forza di cose le temperature sono ancora più alte.

Per questo servirebbe maggiore risolutezza nell’affrontare la crisi del nostro secolo, ma nel governo, impegnati come sono sul ponte sullo stretto o anche sull’attivazione di nuove centrali nucleari, c’è solo l’idea che “addà passà ‘a nuttata” e che Parigi, è una meta turistica, capitale della Francia, e non certo il luogo dove venne firmato un accordo di grande responsabilità e lungimiranza nel 2015, che già conteneva misure che, se attuate, ci avrebbero fatto fare dei passi in avanti significativi. Tutti però sanno che la “nuttata” non passerà senza interventi strategici e strutturali. Se non intervieni a monte, ti ritrovi a valle con l’effetto trascinamento su mille altre questioni, tra le quali la tenuta idrogeologica dei nostri territori, dove si continua a consumare anziché rigenerare, e – appunto – la scarsità della risorsa idrica dove apparentemente si vive un paradosso. Da una parte siamo il Paese che, con circa 130 miliardi di m/cubi ogni anno, è il terzo Paese europeo con maggiore disponibilità di acqua. Dato apparentemente rassicurante visto che in maniera costante e verticale questa disponibilità, al contempo, si riduce e di molto. Per il cattivo uso che ne facciamo, in particolare. Di contro siamo il Paese che consuma più acqua di tutti. Quasi 40 miliardi di m/cubi all’anno e questo enorme consumo, che è anche spreco e dispersione, e produce l’effetto che siamo anche il Paese con i più alti livelli di incertezza idrica.

Il ruolo dell’agricoltura

In questo contesto l’agricoltura fa la sua parte – ovviamente – visto che il consumo di acqua da parte dell’agricoltura vale un 40% dell’utilizzo totale. Un consumo destinato ad aumentare, visti i cambiamenti climatici e l’immobilismo del governo per contrastare tali fenomeni. Insomma, ci troviamo di fronte alla situazione del cane che si morde la coda. Siccome però vogliamo bene al cane e ci piacerebbe che le sue attenzioni fossero rivolte altrove, magari ad una pallina con la quale giocare, crediamo che ben altra strada in questo nostro Paese si dovrebbe percorrere. Lo stesso Pnrr che avrebbe potuto essere una grande occasione si è limitato in larga misura ad occuparsi di grandi invasi (inutilizzati in gran parte sul territorio, con l’aggravante che quelli esistenti sono in precarie condizioni per mancanza di manutenzione e quindi inutilizzabili) anziché per esempio intervenire, tra l’altro come proposto da Legambiente, per l’attuazione delle opere necessarie per sistemare il sistema fognario e di depurazione e ripristinare efficienti sistemi di distribuzione dell’acqua che ne garantiscano la potabilità e minimizzino l’annoso problema delle perdite di rete, favorendo una minore concorrenza tra i differenti usi idrici (civile, industriale, agricolo), oppure intervenendo nel settore edilizio favorendo il giusto utilizzo di acqua potabile.

Sul fronte agricolo non c’è dubbio che ci troviamo, come attestano i dati, di fronte a due fattispecie: grande consumo e grande vulnerabilità per le siccità prolungate. Si continua ad intervenire solo in emergenza, ma in realtà la malattia è oramai cronica. Servono gli invasi, soprattutto vanno fatti funzionare, ma non sono la panacea di tutti i problemi. Sarebbe illusorio pensarlo. Se realmente, come io credo, pensiamo che l’agricoltura sia settore economico e sociale che deve assumere centralità nella fase della transizione ecologica, devono essere trovate le modalità e le procedure più fattibili ma senza mai perdere di vista l’obiettivo. Non è evidentemente la stessa opinione della destra e del governo che, a cominciare dall’Europa, cercano di smantellarlo, anche ritardando, la via maestra del Green new deal. Invece, è proprio in quella sede europea, prima ancora che in Italia, che vanno riscritte le regole di gestione e conservazione dell’acqua. Obbiettivo, come sostiene anche l’Anbi (Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue), è di affermare la funzione ecosistemica di pratiche irrigue, ottimizzate attraverso la ricerca: dall’utilizzo di acque reflue certificate alla ricarica delle falde anche attraverso la realizzazione di nuovi piccoli e medi invasi per lo stoccaggio idrico per raccogliere l’acqua quando è in abbondanza e redistribuirla quando scarseggia.

Determinante per il futuro dell’agricoltura è il tema del trasferimento dell’innovazione in campo, accompagnata dalle necessarie infrastrutture idrauliche, la cui realizzazione va programmata e finanziata dal nord al sud del Paese. In Italia i Consorzi di bonifica ed irrigazione stanno realizzando interventi per oltre 4 miliardi di euro; bisogna però accelerare i tempi delle scelte politiche per prevenire e non solo gestire le emergenze. Vanno cambiate le politiche dello Stato e nessuno deve sentirsene escluso. Occorre realizzare invasi che possano anche produrre energia assolutamente pulita con il sistema dei pompaggi. Oggi recuperiamo appena l’11% dell’acqua piovana ma potremmo arrivare a raccoglierne il 50%. In particolare, riusciremmo a dare una doppia risposta: recuperare acqua e garantire energia.

In assenza della neve, tutte le precipitazioni di questo periodo, se non intercettate e fermate attraverso gli invasi, corrono verso il mare e, non solo rischiano di causare danni e vittime sul territorio, ma non saranno disponibili nei mesi estivi, quando le coltivazioni andranno in sofferenza. La funzione dei ghiacciai viene sempre meno, basti pensare agli ultimi dati del Servizio glaciologico lombardo, ripresi dall’Università Bicocca di Milano, che hanno evidenziato come il ghiacciaio dell’Adamello, il più grande in Italia, abbia perso, solo negli ultimi 3 anni, ben 174 metri di fronte e 18 metri di spessore e, negli ultimi 33 anni, 4 chilometri quadrati di superficie, pari a 570 campi da calcio. Se l’acqua non viene trattenuta a monte dai ghiacciai e resa disponibile nei mesi successivi con lo scioglimento degli stessi, è necessario intervenire con invasi anche per smorzare gli eventi catastrofici collegati alle bombe d’acqua, trattenere questa risorsa e tesaurizzarla per i periodi siccitosi.

Dentro questo quadro anche il comparto agricolo deve accelerare rispetto al lavoro che ha già attuato in molte aree, immergersi a pieno titolo nella transizione e adottare sistemi produttivi che siano sempre più sostenibili anche sul fronte dell’utilizzo della risorsa idrica, a cominciare dalla riduzione dei consumi di acqua con sistemi di irrigazione più efficienti. A tal riguardo, voglio citare il progetto “Gocciaverde” promosso da Anbi che è una certificazione privata volontaria sull’uso dell’acqua e di tutela quali-quantitativa della risorsa idrica per migliorarne la sostenibilità ed aumentare la competitività delle produzioni italiane sui mercati di tutto il mondo. La frontiera su cui collocare lo sviluppo della nuova agricoltura deve essere l’agricoltura di precisione, con l’uso delle nuove tecnologie e con gli investimenti in ricerca su alcune tipologie di produzione e l’individuazione di colture che a temperature crescenti richiedono minore disponibilità di acqua e che siano maggiormente resilienti.

Mi verrebbe da dire che servirebbe un progetto che si accompagna ad una visione. Ma capisco che queste due parole nell’attività del governo sono state abolite e sostituite da emergenza e presente.
È evidente che non c’è la bacchetta magica, ma serve provarci. Per le risorse necessarie a finanziare i progetti per il miglior utilizzo dell’acqua basterebbe attingere da quel fondo che ogni anno impegna 22 miliardi di euro circa per i sussidi ambientalmente dannosi, invertendo così la proporzione con i sussidi ambientalmente favorevoli. Rimanere fermi è davvero da irresponsabili. Occorre metterci la faccia e non partecipare acriticamente alla fiera degli spalleggiatori interessati. All’agricoltura non servono elemosine di sopravvivenza ma prospettiva di futuro. L’utilizzo razionale della risorsa idrica è una grande battaglia che va affrontata e percorsa fino in fondo.

Please follow and like us:
Pin Share