“Date la cittadinanza ai figli degli immigrati”, il capo dei carabinieri Teo Luzi prende in contropiede la politica

RMAG news

Il comandante dei carabinieri Teo Luzi sostiene che se un bambino è nato in Italia è italiano. E che il problema delle periferie non è un problema solamente di sicurezza, ma è un problema sociale. Non si affronta con la repressione, si affronta con le scuole, le strade, le case, i diritti. Il comandante dei carabinieri Teo Luzi spiega che quel che lui dice è solo il frutto del suo lavoro e della sua esperienza. Spiega che i carabinieri sono quelli che più di chiunque altro conoscono il territorio. Stanno per strada. Per questo lui parla: le sue idee nascono dalle sue conoscenze.

Il comandante dei carabinieri Tito Luzi e la cittadinanza italiana: l’intervista

Queste cose il comandante le dice in un’intervista al Corriere della Sera, rilasciata, purtroppo, a solo un mese dal suo congedo dall’arma. Dico “purtroppo” perché avrei preferito che lui rimanesse al vertice dei carabinieri. Speriamo che il suo successore sia alla sua altezza. Intendiamoci, nell’intervista ci sono anche idee che noi non condividiamo. Soprattutto perché, almeno in parte, sono in contrasto con le idee del garantismo. Del resto lui è un carabiniere, non è un avvocato, e fa il suo lavoro da carabiniere. Sarebbe curioso se il suo pensiero coincidesse integralmente con la linea editoriale e politica dell’Unità. Leggete però cosa dice – nell’intervista – sulla cittadinanza:

«…Quello degli italiani con genitori stranieri, le seconde generazioni. È emerso specie al Nord, in maniera non virulenta come in Francia: ma è una questione su cui bisogna aprire una riflessione».
Cioè?
«Bisogna favorire quanto più possibile l’integrazione. Sono italiani».
Favorire con la cittadinanza?
«Sono italiani. Nelle periferie l’integrazione deve essere la regola. Non la fanno le forze di polizia. Si fa con la scuola, l’avviamento al lavoro».
Semplificando: se sono nato in Italia, faccio un certo numero di anni di scuola, devo averla o no la cittadinanza?
«Tutti i maggiori Paesi in Europa hanno un meccanismo di integrazione e anche l’Italia deve averlo. Quale sia, lo decide la politica. Ma il meccanismo di integrazione, con equilibrio politico, va trovato: si guardi alla Germania, alla Francia, all’Inghilterra».
Ma qui non c’è.
«Non c’è la legge. Ci vuole una legge. Tocca al Parlamento sovrano».
Per dirla chiara: la legge che oggi c’è, quella del 1992, è obsoleta?
«Non rispecchia più il cambiamento che c’è stato. Poi come debba essere la nuova, per tutelare la cultura italiana, tocca alla politica dirlo. La contrapposizione non porta da nessuna parte. Io personalmente sono molto aperto: occorre una normativa più moderna».

Tito Luzi: altruismo e integrazione

Prima di iniziare il suo ragionamento Teo Luzi aveva pronunciato una parola “magica” che già recentemente aveva adoperato in un discorso rivolto agli allievi ufficiali. Questa parola è : “altruismo”. Voi, recentemente, avete mai sentito questa parola far parte di un discorso politico? Non credo. È una parola quasi proibita. O usata soltanto come sinonimo di bontà, di generosità. Un po’ mielosamente. L’altruismo è una cosa molto più complicata. Contiene nella radice l’altro. L’altro è anche il titolo di un libro di Padre Balducci. Sia l’altro che padre Balducci sono entità completamente dimenticate. Non solo a destra. L’altro vuol dire, in termini assolutamente laici, quello meno vicino a noi. Lo straniero. Lo straniero, sì: anche il migrante, il naufrago.

L’altro è un concetto fortissimo nel cristianesimo, a partire dalla parabola del buon samaritano; è robusto – ma non nitido – nell’ideologia socialista. Però ha sempre fatto fatica a farsi largo nella cultura moderna occidentale. L’alter, l’altro, è in contrapposizione con l’ego. E per ego non si intende solo se stessi. Si intende la propria famiglia, il proprio quartiere, la propria classe, la propria nazione. L’altruismo e l’egoismo sono due idee opposte di civiltà e di vita. Una aperta, libera: l’altra sovranista. È curioso che a questa contrapposizione ci richiami non un esponente politico, o un rivoluzionario, ma un carabiniere. Per me anche il carabiniere è l’altro. Anche il ricco. Anche il fascista. E capisco che se la politica si limita a dire “prima io”, prima la mia classe, prima gli italiani, prima il mio partito, allora la politica non serve più a niente. Bastano gli istinti a guidarci. Basta il mito del merito o della concorrenza o della forza. Ho qualche riluttanza a scrivere questa frase. Ma sì, la scrivo (solo per oggi): viva i carabinieri.

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