Migranti in Albania, Meloni inizia la deportazione: ma la Corte di giustizia Ue mette a rischio l’intero progetto

RMAG news

Dopo mesi di proclami e successivi ritardi, entra nella fase operativa l’operazione voluta dal governo Meloni per il trasferimento dei migranti in Albania.

È infatti diretta verso il “Paese delle aquile”, partita dall’isola di Lampedusa, la nave Libra della Marina militare italiana, che porterà nei centri allestiti in Albania il primo gruppo di migranti che dovranno essere sottoposti alle procedure per la richiesta di asilo.

Donne, minori e malati sono stati invece riportati a Lampedusa dalle motovedette della Guardia di finanza: da qui verranno immessi nel normale circuito di accoglienza, in attesa che la loro richiesta di asilo venga vagliata.

Il patto Italia-Albania

Un primo “screening” è stato effettuato già a bordo della Libra per verificare i requisiti previsti per poter essere spediti in Albania, nelle due basi di Schengjin e Gjader: provenienza da Paesi “sicuri”, ossia quelli dove secondo il governo italiano l’ordinamento democratico e i diritti della popolazione vengono rispettati, genere maschile e appartenenza a categorie “non vulnerabili”.

L’accordo stipulato tra il governo italiano e quello albanese del premier Edi Rama prevede che le richieste di asilo vengano gestite entro quattro settimane: in caso di esito positivo le persone potranno essere trasferite in un centro d’accoglienza in Italia, altrimenti verranno rimpatriate nel paese d’origine, una procedura quest’ultima notoriamente complicata.

Dopo mesi di ritardi e polemiche, anche per i costi schizzati alle stelle e per procedure d’appalto poco trasparenti, i centri per migranti sono alla fine sorti in due località albanese: uno è l’hotspot di Shengjin, una città costiera a un’ora di auto dalla capitale Tirana, dove le persone verranno fatte sbarcare per poi essere identificate; c’è poi il centro di prima accoglienza per richiedenti asilo da 880 posti a Gjader (ma ad oggi ne sono pronti meno della metà), nell’entroterra albanese, dove è stato costruito anche un Cpr, un Centro permanenza e rimpatrio, da 144 posti. Sempre a Gjader c’è un piccolo carcere organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti, nel caso in cui qualche migrante dovesse essere messo in custodia cautelare mentre è trattenuto nei centri.

I limiti del “progetto Albania”

È in queste strutture che i migranti saranno trattenuti in stato di detenzione amministrativa firmato dal questore di Roma e che va convalidato entro 48 ore dai giudici della sezione immigrazione di Roma, in attesa che nel giro di quattro settimane si decida sul via libera o meno della richiesta di asilo.

Ad oggi gli esami delle richieste di asilo impegna ben più delle quattro settimane previste dal governo: scaduto questo termine i migranti dovrebbero esser riportati in Italia, non potendo essere lasciati liberi in territorio albanese. Le udienze per i migranti “ospiti” in Albania saranno principalmente in videoconferenza, così come i colloqui delle persone trattenute con i loro legali, d’ufficio o di fiducia: sono molti i dubbi sulle modalità con cui verrà effettivamente garantito il pieno diritto di difesa.

“Operazione albanese” su cui grava poi l’impressionante costo messo in cantiere dal governo: un “baraccone” utile alla propaganda di governo, molto meno alle casse disastrate dello Stato.

La sentenza della Corte di giustizia Ue

Ma la vera spada di Damocle è la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea della scorsa settimana, che di fatto mette in discussione l’architrave del progetto.

L’Italia infatti considera “Paesi sicuri” nazioni come Tunisia, Egitto e Bangladesh, con eccezioni per gruppi vulnerabili come le comunità Lgbt o per gli oppositori politici. Per la Corte Ue invece questa distinzione non può essere fatta: i paesi o sono interamente considerabili sicuri oppure non possono rientrare nella definizione di “Paesi sicuri”.

Un requisito che quasi nessuno dei 22 “Paesi sicuri” (Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Tunisia) soddisfa, rendendo di fatto nullo l’intero “progetto albanese”.

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