Alle prossime Europee la scelta è tra il fascismo e l’internazionale di Spinelli

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Che Salvini attacchi frontalmente il presidente della Repubblica per le posizioni europeiste del Presidente, secondo me, non è un delitto. Il presidente della Repubblica non è una figura sacra.

È un esponente politico eletto a maggioranza alla massima carica dello Stato. Ma non è immune da critiche. E non è vero che rappresenta l’unità politica del paese.

Non sempre. Gronchi fu attaccato furiosamente dalla sinistra nel luglio del ‘60, per avere dato il governo a Tambroni che accettò i voti fascisti. E contro Gronchi e Tambroni tuonò Pertini, che poi, 18 anni più tardi, salì al Quirinale.

Napolitano attaccò ferocemente Cossiga, disse di lui che era incompatibile con la carica, e anche lui 15 anni dopo questa polemica, salì al Quirinale.

Anche Segni, Saragat, Leone, Scalfaro, tutti furono bersagliati dalle critiche. Furono divisivi. Le dimissioni di Mattarella, anzi l’impeachment, sono stati già chiesti dal Movimento 5 Stelle e da Giorgia Meloni.

Il problema non è la legittimità dell’attacco. Ma la sostanza dell’attacco. Salvini ha mosso l’offensiva contro Mattarella perché Mattarella è europeista.

E gli ha contrapposto gli stati nazionali, e il sovranismo, esattamente sulla linea di Marine Le Pen, capo dell’estrema destra francese, erede del maresciallo Petain.

Salvini ha svelato la verità. L’8 e il 9 giugno si vota per scegliere tra due ipotesi: quella nazionalista e quella europeista. Ed è del tutto evidente che se vinceranno i nazionalisti, che portano con sé un pesante fardello fascista, l’Europa cancellerà più di 80 anni di europeismo.

L’Europa politica nasce nel 1941 a Ventotene, quando nell’isola vivevano i confinati del fascismo. Alcuni di loro (Rossi, Colorni, Bauer, Ursula Hirschman, guidati da Altiero Spinelli) scrissero il manifesto nel quale delineavano l’architettura dello Stato Europeo.

Ne trascrivo il passaggio politicamente fondamentale perché sembra scritto oggi:
“La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale — e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità — e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.