Asse Meloni-Weber, dai Popolari la sponda al governo sulle nomine: ma va isolato Salvini

RMAG news

Il senso politico dell’escursione romana di Manfred Weber era già molto chiaro. Ma per dissipare ogni eventuale dubbio il presidente del Ppe ha scelto di andare giù con la clava. Nell’unica intervista che ha concesso al termine della giornata romana si allarga in elogi e complimenti per il governo italiano, garantisce appoggio e sostegno del Ppe alla richiesta italiana di occupare una posizione di vertice nella prossima commissione, lancia una frecciata al curaro verso socialisti e liberali ricordano che Meloni ha preso alle europee molti più voti di Macron e Scholz, i veri sconfitti. Solo che neppure una volta per caso cita la premier senza accostare al suo nome quello del popolare Antonio Tajani e anzi non fa mistero di considerare il governo un “Meloni-Tajani”.

In compenso riserva i toni più sprezzanti alla Lega, componente europea di quei Patrioti che non contano niente nelle decisioni importanti su industria, commercio e agricoltura. Il messaggio non poteva essere più chiaro: le porte per un riavvicinamento della premier alla maggioranza sono aperte, anzi spalancate. Purché la premier si appoggi a Tajani, cioè al Ppe, e bruci i ponti con i Patrioti, cioè con Salvini. Quando stamattina alle 10 i tre leader del centrodestra si vedranno per l’atteso vertice di maggioranza e quando poi, nel pomeriggio, si ritroveranno intorno al tavolo del cdm il piatto forte della discussione sarà la legge di bilancio ma lo sfondo politico sarà quello delineato, senza diplomazia e anzi con una certa brutalità da Weber.

La partita politica essenziale, insomma, sarà con una Lega che rischia di finire sbattuta ai margini del campo e lo sa. Certo, buona parte dei discorsi verteranno su spese e risparmi, anche se per ora cifre precise non dovrebbero essere presentate. Il ministro Giorgetti frenerà gli appetiti di quanti vorrebbero azzardare passi inconciliabili con la necessaria austerità e si tratta in primissimo luogo proprio della Lega. Le due richieste principali, quota 41 per le pensioni ed estensione della Flat Tax ai redditi sino a 50mila euro, troveranno i cancelli del Mef blindati. A meno che non saltino fuori idee geniali sulle coperture. Solo che quello è per il Carroccio un altro capitolo doloroso. Già il previsto intervento sugli sconti fiscali, che sono circa 600 e scusate se è poco, se fosse preso sul serio sarebbe inconcepibile per la base elettorale di Salvini ma in realtà dell’intera destra. Infatti nessuno pensa che si tratterà di una cosa seria, giusto una smussatina che porterà in cassa poco più di mezzo miliardo a essere ottimisti. Dunque resterà il rovello di dove trovare i soldi per coprire i circa 27 miliardi necessari per la manovra.

La querelle che si è scatenata ieri sull’assegno unico, da questo punto di vista, non incide. L’opposizione accusa il governo di voler rimaneggiare la misura introdotta da Draghi per renderla omogenea alla sua non precisamente progressista visione della famiglia. Il Mef e un nutrito coro di esponenti della destra negano, smentiscono, gridano al mendacio. Ma in termini di fondi anche la revisione denunciata e paventata dall’opposizione non cambierebbe nulla. Per fare cassa il Mef considera l’ipotesi di raddoppiare le finestre per chi va in pensione con 42 anni e passa di contributi. L’introito sarebbe cospicuo. L’ira della Lega è già funesta solo al sentirne parlare. La terza deindicizzazine consecutiva delle pensioni rispetto all’inflazione è già certissima: per il Carroccio è un’ulteriore pessima notizia. La realtà è che Giorgia Meloni intende inserire nella colonna del dare una sola voce in più: il bonus mamme esteso alle lavoratrici autonome. Tutto il resto, cioè l’intero corposo pacchetto dei desiderata di Salvini, rischia forte di finire nel cestino della carta straccia.

Non che ci siano solo le cifre. Una delle condizioni che andranno assolte per siglare la pace con la Ue, la presidente von der Leyen è risolvere la questione delle concessioni balneari. La proposta italiana sulla quale è in corso la trattativa con Bruxelles prevede una proroga da 1 a 5 anni prima della messa a gara a seconda di quanta percentuale di spiaggia sia già occupata nelle varie Regioni. Quelle che costituiscono il grosso della base elettorale della destra, cioè quelle con meno del 25% di spiaggia libera, disporrebbero di un solo anno prima della messa a gara. È uno smacco per Salvini ma in realtà anche per FdI. Il bersaglio grosso, però, riguarda solo la Lega e prende di mira la questione più vitale che ci sia per il Carroccio: l’autonomia differenziata. L’intera campagna estiva allestita da Tajani mirava proprio a stringere d’assedio l’autonomia, con il primo obiettivo, ma non necessariamente l’ultimo, di evitare la concessione dell’autonomia sulle materie che non devono per legge aspettare i Lep già in ottobre. Lo scontro tra Salvini, che in questo caso ha dalla sua la legge, e il partito azzurro, minaccia di essere il più frontale all’interno della maggioranza dalle elezioni del 2022 a oggi. Il Ppe, con tutta la notevole potenza di cui dispone nella Ue, ha già fatto sapere da che parte sta.

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