“Biden unico capace di aggregare elettorato diverso, ora chi trovano i Dem al suo posto?”, parla Massimo Teodori

RMAG news

Biden, è stato un vero disastro il suo confronto televisivo con Donald Trump? Ed ora la partita della Casa Bianca ha già un risultato scontato? L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti del “pianeta americano”: Massimo Teodori. Professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti, ha insegnato in università italiane e americane. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Maledetti americani. Destra, sinistra e cattolici: storia del pregiudizio antiamericano (Mondadori), Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio); Obama il grande (Marsilio); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori) e Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino).

Professor Teodori, il faccia a faccia televisivo tra Joe Biden e il suo sfidante Donald Trump, sena il crepuscolo del presidente in carica?
Ormai il crepuscolo è molto chiaro. Lo fotografa bene il titolo di prima pagina del New York Times che dice che i Democratici devono pensare a rimpiazzare Biden. E il NYT è un giornale che sostiene apertamente i Democratici. Una cosa simile l’ha scritta il Washington Post, il che significa che quello che prima veniva mormorato, a questo punto viene detto apertamente da tutti i suoi sostenitori: Biden non ce la fa. Quel dibattito è stato una triste, per certi versi drammatica, impietosa prova del nove per Joe Biden.

A proposito del New York Times. “Ho guardato il dibattito Biden-Trump da solo in una camera d’albergo di Lisbona e mi ha fatto piangere. Non riesco a ricordare un momento più straziante nella politica della campagna presidenziale americana nella mia vita, proprio per ciò che ha rivelato: Joe Biden, un brav’uomo e un buon presidente, non può candidarsi per la rielezione. E Donald Trump, un uomo malvagio e un presidente meschino, non ha imparato e non ha dimenticato nulla”. E’ l’incipit dell’editoriale di Thomas Friedma sul NYT. Per poi concludere: “Finora ero pronto a concedere a Biden il beneficio del dubbio, perché nelle occasioni in cui mi sono confrontato con lui a tu per tu, l’ho trovato all’altezza del compito. È chiaro che non lo è più. La sua famiglia e il suo staff dovevano saperlo. Da giorni sono rintanati a Camp David per prepararsi a questo importante dibattito. Se questa è la migliore performance che sono riusciti a ottenere da lui, è ora che Joe mantenga la dignità che merita e lasci il palco alla fine di questo mandato. Se lo farà, gli americani di tutti i giorni acclameranno Joe Biden per aver fatto ciò che Donald Trump non farebbe mai: mettere il Paese prima di se stesso. Se insisterà a candidarsi e perderà contro Trump, Biden e la sua famiglia – e il suo staff e i membri del partito che gli hanno permesso di farlo – non potranno mostrare la loro faccia. Meritano di meglio. L’America ha bisogno di meglio. Il mondo ha bisogno di meglio”.
Vi sono due ragioni perché siamo arrivati fin qui: la prima è politica. Biden era, almeno quest’anno perché non sono emersi altri con la stessa forza, l’unico capace, in campo democratico, di mettere insieme una coalizione di settori elettorali che poteva aspirare alla vittoria nelle presidenziali di novembre. Lui ha presa sulle minoranze di colore, sui bianchi democratici di centro e di sinistra, che già è una cosa difficile, sulle donne, con tutta la storia del diritto all’aborto. Biden riusciva a mettere insieme tutti questi segmenti elettorali, e per vincere un presidente deve cementare una coalizione. A questa coalizione vanno aggiunti i sindacati. Nei quattro stati oscillanti – Illinois, Wisconsin, Pennsylvania e Michigan- Biden riusciva a mettere assieme tutta questa capacità di attrazione. All’ultimo momento, chi è che trovano?

Un nome alternativo che circola sempre più insistentemente è quello di Gavin Newsom, il governatore della California.
Ci sono due-tre governatori che sembrano sulla rampa di lancio. Il problema, però, è della legittimazione di costoro. Bene o male, alle primarie democratiche hanno votato milioni di persone. A questo punto che fai, alla Convenzione dici ai milioni di persone che hanno mandato lì i loro delegati, quel voto, quell’indicazione non valgono più niente…Quello dell’investitura della candidatura, è un problema di legittimazione del candidato a livello federale. Finché era una cosa per cui si mettevano d’accordo le burocrazie di partito, tutto era più semplice, facevano una riunione e si mettevano d’accordo. In questo caso, con la diffusione generalizzata delle primarie, con la gente che viene chiamata a votare, con la mobilitazione degli attivisti che dura tutto un anno, è molto difficile dire, ad agosto, guardate abbiamo scherzato, quello più votato non è più il candidato. E poi c’è il fatto che Biden dovrebbe rinunciare apertamente. Non è che può essere destituito.

Come definirebbe Gavin Newsom?
Un democratico californiano. La California è uno stato a parte, con una storia, sono 40milioni di abitanti, non è uno stato qualsiasi. È uno stato con una personalità grossa, importante. In più, ormai la California è uno stato bilingue. Se è diventato governatore, significa che lui esercita anche una forte attrazione verso i latinos, il che non è cosa da poco.

Professor Teodori, che Trump è stato quello del dibattito televisivo?
Il solito Trump, aggressivo nei confronti dei democratici, martellante sui suoi mantra, mobilitante dell’agguerrito movimento Maga.