Caccia all’uomo nel vibonese: Gaetano Emanuele sfuggito al blitz della Dda

Caccia all’uomo nel vibonese: Gaetano Emanuele sfuggito al blitz della Dda

Il Quotidiano del Sud
Caccia all’uomo nel vibonese: Gaetano Emanuele sfuggito al blitz della Dda

Dopo il blitz degli scorsi giorni continuano le ricerche di Gaetano Emanuele sfuggito ai carabinieri che hanno avviato una vera e propria caccia all’uomo

VIBO VALENTIA – Uccel di bosco da venerdì scorso. Da quando, cioè, il gip distrettuale di Catanzaro ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti con l’accusa di concorso in omicidio aggravato dalle modalità mafiose.

I carabinieri lo stanno cercando in lungo e in largo, scandagliando ogni centimetro dell’area delle Preserre e non solo. Un territorio per molti versi inaccessibile, caratterizzato da casolari isolati, spesso nascosti dalla vegetazione, da abitazioni che sembrano disabitate ma che in realtà non lo sono. Senza considerare i possibili bunker (come quello rinvenuto anni addietro proprio in quella zona). Il luogo ideale, soprattutto per la sua ampi conoscenza, per il 49enne Gaetano Emanuele per prolungare la sua irreperibilità. Le ricerche si stanno sviluppando, come detto, anche al di fuori del territorio delle Preserre con l’impiego dei cacciatori di Calabria e del personale dell’8° Nucleo elicotteri di Vibo.

Colui il quale è ritenuto, insieme al fratello ergastolano, Bruno,  ai vertici dell’omonima consorteria mafiosa originaria di “Fago Savini”, nel comune di Sorianello, ma con influenza in tutta l’area montana circostante, aveva concluso la detenzione in carcere circa un anno fa a seguito dell’accoglimento della richiesta di scontare il residuo della pena rimediata nel processo “Luce nei Boschi”, risalente al 2012, contro i clan delle Preserre. L’imputato era stato condannato con sentenza passata in giudicato a 15 anni . Nel 2021 la Cassazione, accogliendo, la richiesta della procura generale, aveva riconosciuto per Emanuele la continuazione con reati precedenti al procedimento penale “Luce nei boschi”, risalenti al 2008, rideterminando la pena definitiva a 16 anni, 11 mesi e 10 giorni di reclusione. Era invece stato assolto dal concorso nell’uccisione dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo, del 22 aprile 2002, che si inseriva nella lotta per la supremazia nella zona montana di influenza del clan.  Sempre nel 2021, però, era finito al centro di un’altra indagine, ma anche questa volta per concorso in omicidio, quello di Bruno Lazzaro (4 marzo 2018) avvenuto ad opera del cugino Gaetano Muller, per via della relazione avuta dal primo con la figlia del presunto boss a cui era legata sentimentalmente con il secondo. II questa occasione, secondo le risultanze della Dda, Emanuele sarebbe stato il mandante insieme ad altre persone.

Adesso però, la nuova contestazione di essere – anche in questo caso – mandante della cosiddetta “Strage dell’Ariola” avvenuta la mattina del 25 ottobre del 2003 in cui vennero uccisi Francesco e Giovanni Gallace nonché Stefano Barilaro, mentre si salvò Ilario Chiera. I tre si trovavano a bordo di una Mitsubishi Pajero in località “Ponte dei cavalli”, quando furono investiti da una pioggia di fuoco. Per quell’episodio che si innesta nella guerra di ’ndrangheta per il predominio della zona tra i Maiolo, appoggiati dagli Emanuele, da un lato e i Loielo dall’altro, sono indagati anche i fratelli Angelo e Francesco (cl.’79) Maiolo, il cugino Francesco Maiolo (Cl.’83) e Francesco Capomolla.

Il Quotidiano del Sud.
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