Chi era Ottaviano Del Turco, compagno di lotte demolito da pm e giornalisti: nessuno l’ha difeso del linciaggio

RMAG news

Non lo hanno difeso. Mai. Né quando è finito nel tritatutto di una magistratura assatanata – che si era messa a ruota dei grillini, dei girotondini, degli intellettuali anti casta – e neppure quando ormai era chiaro a tutti che era innocente, e però una muta di cani arrabbiati – politici e giornalisti – si scatenarono addirittura per togliergli via la pensione. Manigoldi. Lo volevano in miseria, a boccheggiare in attesa della morte. Era già malatissimo Del Turco quando subì l’ultimo linciaggio. Chiuso in silenzio nella sua casa nella campagna abruzzese. Dov’erano i suoi? Dov’era il suo partito? Dov’era il sindacato nel quale aveva militato e combattuto per una vita intera? Erano rincantucciati da qualche parte, terrorizzati da Travaglio, da Conte, dai giornali del patibolo, dai Pm.

Del Turco come Tortora? Sì, come Tortora, però ancora più solo, non trovò nemmeno un Pannella, un Biagi, un Montanelli, un Feltri a difenderlo (forse Feltri lo difese ma era solo solo). In quei giorni ho visto un video che in quaranta secondi spiegava chi era Del Turco. Nel video lui sta seduto davanti a un tavolo. Guarda nel vuoto. È sconquassato dalla malattia che gli aveva fatto perdere la lucidità. Poi qualcuno dietro di lui fa partire una musica, forse un vecchio quarantacinque giri sul grammofono, che Ottaviano conosce bene. Comincia così: “Compagni avanti il gran partito, siamo dei lavoratori…”. Lui improvvisamente alza la testa, si ridesta, forse sorride e inizia a fischiare rumorosamente, e perfettamente intonato, l’“Internazionale”.

Del Turco era socialista, era sindacalista ed era un combattente. Fu segretario del Psi e poi fece il parlamentare, il ministro e il presidente della Regione. Ma l’anima era quella del ragazzo venuto a Roma dall’Abruzzo. Ottaviano era sindacalista. Si era formato nelle lotte infuocate dell’autunno caldo, anno 1969, e poi era arrivato, da socialista, ai vertici della Cgil ed aveva affiancato un paio di giganti come Luciano Lama e Bruno Trentin. Se fossero stati ancora vivi, Lama e Trentin, quando Ottaviano fu portato sul Calvario non l’avrebbero abbandonato. Ma loro non c’erano più quando una mattina all’alba gli agenti della Guardia di finanza lo vennero a prendere a casa e lo portarono al carcere di Sulmona. Bruno era morto da pochi mesi.

Lo sfregio contro Del Turco – il più grave sfregio commesso nel dopoguerra ai danni di un uomo del movimento operaio – è stato commesso da una forza che aveva tre componenti, le quali lavorarono in perfetta sintonia: i boss della sanità – cioè gli interessi economici – la Procura, e una orrenda cordata di giornali e giornalisti. Se fosse mancato uno solo di questi tre elementi l’operazione sarebbe andata a gambe all’aria. Ci sarebbe da ragionare un attimo su questa alleanza. Perché il caso Del Turco non è un unicuum. È così dai tempi di Tangentopoli. Perché fu possibile Tangentopoli? Perché agli albori dell’inchiesta, dopo qualche sbandamento, fu stipulato un patto di ferro tra Procura, Fiat e giornali. Costruirono un fortino inespugnabile. Una vera e propria macchina da guerra, invulnerabile, che spedì in prigione molti innocenti, mandò a morte Craxi, travolse la politica e l’impianto democratico che aveva governato l’Italia fino a quel momento.

È ancora così. In Italia esistono tre poteri, ma non sono quelli immaginati da Montesquieu. Lui credeva di dividere il potere in tre segmenti, indipendenti ma anche interdipendenti: rappresentativo-legislativo, esecutivo e giudiziario. E supponeva che i tre poteri potessero controbilanciarsi e controllarsi a vicenda. Oggi i tre poteri sono l’economia, la magistratura e il giornalismo. Per essere più precisi: un pezzo di economia, un pezzo di magistratura e un pezzo di giornalismo. E questi tre poteri non si controllano tra di loro, ma – uniti – esercitano il potere assoluto perché si garantiscono a vicenda il non-controllo.

Ottaviano è stato vittima di questa orrenda trimurti. Ha pagato negli ultimi anni della sua vita l’impegno che aveva dato nei primi anni. Da sindacalista prima di tutto, e poi da amministratore che si opponeva ai ras della sanità. Del Turco era un uomo del popolo. E ai diritti del popolo ha dedicato se stesso. Dico di più: era un uomo del movimento operaio. Il popolo era quello. Il popolo si radunava attorno al movimento operaio. Volete sapere qual è la differenza tra populismo e lotte per il popolo? Facile facile: prendete uno qualunque dei dirigenti della Lega, o dei 5 Stelle, o di qualche giornale delle manette (ce ne sono tanti, non uno solo…) e confrontatelo con Ottaviano. Ecco qui: dei miserabili opportunisti e un combattente. Come Lama, come Trentin, come Benvenuto, Carniti, Di Vittorio, Santi, come Bruno Buozzi fucilato dai nazisti. Una lacrima e un abbraccio. Al ricordo di lui e ai suoi figli e alla sua compagna. Siatene fieri: avete conosciuto bene un socialista vero. Addio, compagno Del Turco.

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