Cosa è il diritto all’amore e perché i detenuti protestano: “Rispettate la sentenza della Consulta”

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Sessantotto suicidi di reclusi dall’inizio dell’anno (l’ultimo due giorni fa a Benevento), aggressioni, rivolte: la situazione nelle nostre carceri è sempre più esplosiva ma la questione è uscita dai radar della politica. «Un dramma, una strage di Stato che si consuma nell’indifferenza della politica e della società civile», ha detto il garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello.

Al momento non si sa neanche quando il ministero della Giustizia comincerà i colloqui per sostituire il presidente del Collegio del garante dei Diritti delle persone private della libertà personale, Felice Maurizio D’Ettore, scomparso il 22 agosto. Proprio quest’ultimo stava preparando un progetto di legge per la concessione dell’indulto triennale. Una soluzione che avrebbe dato respiro agli istituti di pena dove al momento, secondo i dati di via Arenula aggiornati al 31 agosto 2024, ci sono 61.758 detenuti per 50.911 posti disponibili, senza contare quelli inagibili. Eppure c’è chi, come il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha sostenuto ieri: «Non penso che questo governo possa permettersi, sul piano del consenso popolare ed elettorale, di pensare a un indulto. Sento parlare anche a livello parlamentare di indulti e amnistie, ma sono argomenti pericolosi. Uno dei motivi delle rivolte» nelle carceri «è che quasi quotidianamente c’è questo annunciare, parlare di cose che poi non si realizzeranno».

A queste si aggiungono le tesi – possiamo dire complottistiche? – di Federico Pilagatti, segretario del Sappe, per cui «Fa riflettere la tempistica di questi episodi (rivolte, ndr): Roma, Torino, Milano e ora Bari. Quello che sta accadendo nel carcere minorile di Bari sembra frutto di una regia occulta». E se, invece di pensare a questi retroscena difficili da condividere, non si offrisse ai detenuti una vita intramuraria migliore, visto che comunque questo governo non è intenzionato ad adottare provvedimenti clemenziali? Ad esempio, facendo rispettare la sentenza della Corte costituzionale sull’affettività in carcere? Qualche mese fa il ministro Nordio, rispondendo ad una interrogazione del deputato di +Europa Riccardo Magi, aveva assicurato: «Dovranno essere create – e stiamo già iniziando a farlo, ma non è una cosa che si possa fare dall’oggi al domani – all’interno degli istituti penitenziari degli appositi spazi. Ovviamente, anche il personale deve essere addestrato su questo, perché anche questa è una novità. Quello che posso dire – aveva concluso il Guardasigilli – è che il governo, e chiaramente questo ministero, è perfettamente consapevole dell’importanza della questione ed è deciso a dare pienissima attuazione a quella che è la sentenza della Corte costituzionale».

Ma per ora ancora nulla ed è per questo che a seguito di un reclamo sottoscritto da 55 detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia (Roma), il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Lazio, Stefano Anastasìa, e la Garante di Roma capitale, Valentina Calderone, hanno scritto alla direttrice dell’istituto, Maria Donata Iannantuono, per raccomandare l’immediata individuazione di spazi idonei all’effettuazione di colloqui intimi tra i detenuti e i propri partner, così come stabilito dalla Consulta a gennaio. «Numerose sono state le richieste di detenuti pervenute alla direzione dell’istituto che chiedevano di poter effettuare colloqui intimi con la propria moglie o convivente, ma, con un avviso del 6 giugno scorso, la direzione aveva comunicato alla popolazione detenuta che la questione era stata posta all’attenzione del superiore ufficio dipartimentale che, a sua volta, aveva informato di avere istituito un gruppo di studio “per verifiche e organizzazione”», spiegano i due Garanti in una nota.

«Trascorso più di un mese e mezzo da tale avviso, 55 detenuti inoltravano lo scorso 31 luglio un reclamo (datato 22 luglio), ex articolo 35 dell’op, al capo del Dap, Giovanni Russo, alla direttrice dell’istituto, Iannantuono, alla presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, Marina Finiti, e ai Garanti Anastasìa e Calderone, denunciando la mancanza di operatività della sentenza della Corte costituzionale 10/2024, e chiedendo “alle S.V. reclamate che si possano avere notizie e date precise di attuazione della legittima richiesta confortata dalla sentenza della Corte delle leggi”». In attesa di notizie da parte dei destinatari, non si è fatta attendere la risposta di Anastasìa e Calderone, indirizzata ai reclamanti, alla direttrice dell’istituto e, per conoscenza, al capo del Dap e alla presidente del Tribunale di sorveglianza.

«Considerato che il modello decisorio scelto dalla Corte in questa pronuncia è quello della sentenza avente efficacia erga omnes, “immediatamente applicativa, determinando l’esistenza di un diritto soggettivo di ciascuna persona in stato di detenzione a svolgere colloqui riservati (senza controllo a vista da parte degli operatori di polizia) con il/la propria partner”, Anastasìa e Calderone, rilevato tra l’altro che “l’attuazione della sentenza della Corte costituzionale non sia procrastinabile e che di conseguenza il quesito dei reclamanti riguardo al quando della sua attuazione sia assorbito dalla vigenza normativa di quanto da essa disposto, che configura un obbligo di garanzia in capo all’Amministrazione penitenziaria”, raccomandano alla direzione della Casa di reclusione di Roma-Rebibbia la immediata individuazione di spazi idonei all’effettuazione del colloquio senza controllo visivo e – in assenza di determinazioni ministeriali – la definizione con proprio ordine di servizio della regolamentazione dell’accesso al nuovo istituto, tenuto conto di quanto stabilito dalla Corte costituzionale nei punti 6 e seguenti delle considerazioni in diritto della sentenza 10/2024 e della necessità di garantire a tutti gli aventi diritto la sua fruizione in maniera omogenea quanto ai tempi e alla frequenza dei colloqui di che trattasi».

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