Così il federalismo fiscale arricchisce ancora il Nord

Così il federalismo fiscale arricchisce ancora il Nord

Il Quotidiano del Sud
Così il federalismo fiscale arricchisce ancora il Nord

Il federalismo fiscale non garantisce ancora un’equa distribuzione di risorse. Critiche dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio anche su Lep e autonomia finanziaria

IN UN Paese ancora diviso a metà, con un solco ancora profondo a dividere le due Italie in termini di diritti sociali e di cittadinanza, dotazione infrastrutturale – che zavorrano anche le potenzialità di sviluppo dei territori meridionali – c’è un Nord che ancora trae vantaggio dal criterio della spesa storica, che resta lontana dal completo superamento. Complice la mancata piena attuazione delle perequazione in ambito comunale, svolta dal Fondo di solidarietà comunale (Fsc), e l’adozione di meccanismi di sterilizzazione delle perdite subite da alcuni Comuni con l’avanzare del meccanismo di perequazione che redistribuisce le risorse dai piccoli e dalle grandi città a quelli di medie dimensioni e dal Nord al Sud.

L’obiettivo è quello di riequilibrare la distribuzione delle risorse dai Comuni storicamente con maggiori disponibilità verso quelli con fabbisogni maggiori rispetto alla propria capacità fiscale. Da una parte i correttivi per attenuare le variazioni negative dell’Fsc, dall’altra la “sopravvivenza” di flussi finanziari significativi ancora distribuiti sulla base di criteri storici, fanno sì che i Comuni del Nord continuino a godere di una condizione privilegiata, con una disponibilità di risorse maggiori rispetto a quelli del Sud, con la possibilità di assicurare ai propri cittadini servizi più efficienti. È quando emerge dall’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) del consigliere Giampaolo Aracri sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale in Commissione parlamentare per l’Attuazione del federalismo fiscale che ha indicato la mancata piena attuazione della perequazione basata su fabbisogni standard e capacità fiscale tra le criticità che frenano l’avanzamento del federalismo fiscale.

Le altre riguardano la fiscalizzazione dei trasferimenti, dati i limitati progressi per il superamento della finanza derivata nelle materie diverse dalla sanità di competenza delle Regioni a statuto ordinario – un nodo da sciogliere con una certa urgenza, dal momento che il completamento del federalismo regionale è una delle milestone del Pnrr da centrare entro il primo trimestre del 2026 -; l’autonomia finanziaria degli enti locali che “hanno esaurito gli spazi disponibili di sforzo fiscale” e deve quindi necessariamente essere rafforzata; e soprattutto la frammentarietà del quadro dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, che come è stato rilevato, “dovrebbero costituire il riferimento per determinare i fabbisogni e ripartire i fondi perequativi”. I Lep rivestono un ruolo centrale anche per la riforma dell’autonomia differenziata, dal momento che alla loro determinazione è subordinata il trasferimento delle funzioni nell’ambito delle competenze di cui si chiede il trasferimento dallo Stato alle Regioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziari.

A questo proposito, nel sottolineare la necessità di un coordinamento tra il processo per l’attuazione del federalismo fiscale e dell’autonomia differenziata, l’Upb evidenzia come si sia prodotta una separazione tra i Lep che hanno maggiore rilevanza ai fini del regionalismo differenziato – che, si sostiene, “godono di una corsia privilegiata” – e gli altri. Avvertendo che un eventuale ritardo nella determinazione di quest’ultimi “costituirebbe un ostacolo al completamento del federalismo regionale simmetrico perché – si rimarca – sono necessari per la costruzione del fondo perequativo”. Lep e fondo perequativo, ampliando la visione, costituisco la base, quindi, del processo che dovrebbe allineare le due Italie. Torniamo ai numeri che misurano la distanza ancora da colmare. E la sperequazione nella dotazione di risorse a vantaggio del Nord ancora da sanare. E torna centrale la perequazione svolta dal Fondo di solidarietà comunale. Alla componente redistributiva è affidato il compito di perequare le risorse comunali.

Il processo, avviato nel 2015, che dovrebbe portare nel 2030 all’affermazione di una perequazione interamente basata su fabbisogni standard e capacità fiscali è ancora a metà strada: ad oggi la quota di risorse perequata secondo questi criteri ha raggiunto il 52,5%. Il progredire della perequazione standard, spiega l’Upb, “tende a redistribuire le risorse dai piccoli Comuni e dalle grandi città ai Comuni di medie dimensioni e dal Nord al Centro e al Sud. Questo effetto si verifica perché la perequazione standard sostituisce flussi perequativi ‘storici’ fotografati nel 2015 al momento della sua introduzione. La componente storica è il risultato del sovrapporsi di modifiche che dal 2012 hanno teso a sterilizzare per i singoli Comuni l’impatto delle riforme sui tributi immobiliari. L’avanzamento della componente standard riequilibra la distribuzione delle risorse dai Comuni storicamente più dotati verso quelli che mostrano fabbisogni relativamente più elevati rispetto alla capacità fiscale o capacità fiscale inferiore alla media”.

La messa in campo di meccanismi correttivi e, soprattutto, l’utilizzo della parte incrementale del ristoro del taglio disposto dal DL 66/2014 fa sì che le variazioni finali siano tutte positive. L’azzeramento delle variazioni annuali negative del Fsc, avverte l’Upb, non è sostenibile nel tempo e appare in contrasto con le finalità perequative del fondo. Senza contare che la sentenza n. 63/2024 della Corte costituzionale ha confermato che la piena sterilizzazione degli effetti derivanti dall’avanzare del criterio perequativo in base ai fabbisogni standard in luogo del criterio della spesa storica è in contraddizione con l’obiettivo stesso della riforma del federalismo fiscale. Al momento attraverso il Fsc transitano altre risorse, pari a 2.326 milioni, che sono sottratte alla redistribuzione. La permanenza di flussi finanziari non perequati nell’ambito del Fsc, sottolinea Arachi nel testo dell’audizione, “appare in contrasto con le disposizioni dell’articolo 119 della Costituzione e altera significativamente gli esiti redistributivi”.

Vediamo intanto cosa accadrebbe con una quota di risorse perequata sulla base di fabbisogni standard e capacità fiscali al 100%, rispetto all’attuale 52,2%. Uno scenario, questo ipotizzato, dall’Upb che dà anche un quadro della portata e della direzione delle distorsioni prodotte dalla mancata perequazione. In sostanza si evidenzia “la discrepanza fra la distribuzione storica delle risorse e quella giustificata dal confronto fra i fabbisogni standard e le capacità fiscali”. L’applicazione di una percentuale di perequazione standard del 100 % nel Fsc 2024 avrebbe comportato una redistribuzione di risorse pari a 664 milioni. La distribuzione storica dei trasferimenti tende a favorire i piccoli Comuni e le grandi città. La maggior parte di questi avrebbe ricevuto minori risorse qualora fosse stata pienamente applicata la perequazione, con riduzioni medie tra i 15,6 e i 32 euro pro capite nel caso di enti con meno di 5.000 abitanti e fra i 5,2 e i 6,9 euro in presenza di più di 100.000 abitanti. Roma Capitale fa eccezione: con la perequazione integrale avrebbe ottenuto circa 46 euro pro capite in più. Sono invece sono penalizzati principalmente i Comuni di medie dimensioni che con l’applicazione della perequazione standard avrebbero ottenuto maggiori risorse pari in media a poco più di 8 euro pro capite.

Dal punto di vista territoriale i criteri storici avvantaggiano il Nord, che con l’applicazione integrale della perequazione avrebbe visto ridurre i trasferimenti in media fra i 10,3 euro pro capite del Nord-Est e i 13,2 del Nord-Ovest, a discapito del Centro e del Sud, che con la perequazione integrale avrebbero ottenuto maggiori risorse, rispettivamente, per circa 14,2 e 10,2 euro pro capite. Se le poste non perequate venissero assegnate sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali – il secondo scenario considerato da Upb – i Comuni del Sud guadagnerebbero 21,1 euro pro capite, mentre in particolare quelli del Nord Est che in media perderebbero 12,9 euro pro capite. Il terzo scenario simula l’effetto congiunto dei due precedenti: ne discende che la mancata applicazione integrale dei criteri standard penalizza in media significativamente il Sud, per 31,9 euro pro capite, e in misura inferiore il Centro, per circa 4,9 euro pro capite, mentre favorisce il Nord-Ovest, per 17,2 euro pro capite, e soprattutto il Nord-Est, per circa 23,3 euro pro capite.

Il Quotidiano del Sud.
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