Così Pignatone pugnalò Palamara, i rapporti tra l’ex capo dell’Anm e il superprocuratore indagato

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“Una tesi che fa a pugni con la biografia di Pignatone e con una vita spesa contro la criminalità organizzata”, scrive il Corriere.La storia di Pignatone è forte di successi contro Cosa nostra, contro la ‘ndragheta e la corruzione nella Capitale e l’estrema destra di Massimo Carminati e i colletti bianchi. Tutto ciò si scontra con le accuse che vengono mosse”, sottolinea invece Repubblica. Durissimo Il Domani secondo cui la “vendetta di Mori sta andando a segno: uno dei più noti magistrati italiani viene ingoiato in un vortice”. “E’ la nuovissima-vecchissima – prosegue il quotidiano di Carlo De Benedettipista del Ros che è stata fatta propria dal procuratore di Caltanissetta”, aggiungendo poi che “l’ossessione (del generale dei carabinieri Mario Mori, ndr) è la pista privilegiata”.

All’indomani della notizia dell’indagine di Caltanissetta nei confronti di Giuseppe Pignatone, accusato di favoreggiamento a Cosa nostra, è dunque scattata la difesa d’ufficio nei suoi confronti di gran parte della stampa. Un garantismo che non ha molti precedenti. Ma se Pignatone è diventato uno dei procuratori più importanti (e intoccabili) d’Italia, al punto da essere nominato una volta andato in pensione presidente del Tribunale vaticano, un ruolo di primo piano lo ha avuto Luca Palamara che per ironia della sorte sarà poi radiato dalla magistratura proprio a seguito di una sua indagine. I rapporti fra i due iniziano a consolidarsi nel 2010. Palamara, allora presidente dell’Anm, decide infatti di intensificare la sua presenza a Reggio Calabria, la sua città di nascita e dove Pignatone in quel periodo opera in qualità di procuratore e svolge indagini contro l’ndrangheta.

In quel periodo si stanno per liberare due procure importanti, quella di Napoli e quella di Roma. Pignatone confida allora a Palamara le sue aspirazioni. L’allora presidente dell’Anm capisce che per lui Reggio Calabria è una sorta di “esilio professionale e personale: Non ama quella città, nei suoi racconti di vita e di professione c’è Palermo, casa sua, anche se lì più volte era stato tradito”. A Pignatone brucia soprattutto quanto accaduto tanti anni prima, nel 1993, quando Gian Carlo Caselli, uomo della sinistra giudiziaria e molto legato a Luciano Violante, una volta insediatosi come procuratore lo aveva relegato ad incarichi marginali. Dopo l’arrivo di Pietro Grasso al posto di Caselli, Pignatone riuscirà a riemergere con un ruolo importante nella cattura del boss Bernardo Provenzano, poi però nel 2006, ancora una volta, il Csm, stopperà le sue aspirazioni preferendogli Francesco Messineo, meno titolato di lui, quale nuovo procuratore della Repubblica. Pignatone vuole andare a Roma, dove non è mai stato, e sviluppare la lotta alla mafia anche nella Capitale.

Per far arrivare Pignatone a Roma è necessario però eliminare la concorrenza di Giancarlo Capaldo, uno degli aggiunti del procuratore uscente Giovanni Ferrara. Capaldo aveva fatto una bella marcia di avvicinamento, si era occupato di grandi casi, da Emanuela Orlandi a Finmeccanica fino al Vaticano, ed era diventato un riferimento all’interno dell’ufficio. Capaldo farà però un passo falso: andrà a una cena con il ministro dell’Economia Tremonti e con il suo braccio destro Marco Milanese, che era coinvolto nell’inchiesta Finmeccanica. L’incontro, che doveva rimanere riservato, finisce sulla stampa e la sua candidatura salta. La strada è spianta e Pignatone viene nominato dal Csm procuratore di Roma all’unanimità. Il magistrato non ha una sua squadra di polizia giudiziaria e, soprattutto, non ha un vice di cui fidarsi.

Ed ecco tornare ancora una volta in azione Palamara che si impegna a portargli a Roma come vice il suo braccio destro di sempre, Michele Prestipino, che era rimasto a Reggio Calabria come procuratore aggiunto, Con lui Pignatone avrebbe voluto cambiare l’agenda della procura di Roma, sterzare su grosse indagini contro la criminalità organizzata mafiosa, come aveva fatto a Palermo prima e a Reggio Calabria poi. Non contento, Pignatone nel febbraio del 2016, quando devono essere nominati i procuratori aggiunti di Roma, vuole a tutti i costi Paolo Ielo e Rodolfo Sabelli. E anche allora Palamara, allora potente presidente della Commissione incarichi direttivi del Csm, esaudirà senza batter ciglio i suoi desiderata. Qualcosa, però, si inceppa. A maggio del 2018 Ielo e Sabelli, con il visto di Pignatone, mandano a Perugia l’informativa della guardia di finanza sui rapporti fra Palamara e il faccendiere Fabrizio Centofanti dove si ipotizzano condotte corruttive. La sorte di Palamara è segnata. Il trojan svelerà gli accordi per le nomine al Csm e a maggio del 2019 l’indagine diventerà poi di pubblico dominio. Il resto è storia nota.

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