Decreto flussi, la riforma che non cambia niente

RMAG news

Il Decreto legge sull’immigrazione emanato dal Governo in data 2 ottobre e non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, recante “Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di capolarato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionale” ha le stesse due caratteristiche di fondo che caratterizzano l’intera esuberante produzione normativa dell’attuale Esecutivo: da un lato si tratta di uno zibaldone nel quale vengono frullate materie del tutto diverse tra loro, senza che vi sia alcuna organicità nell’intervento di riforma.

Dall’altro lato si continua a modificare incessantemente la normativa in materia di asilo/protezione internazionale, ed in particolare le disposizioni sulle procedure accelerate di frontiera, il trattenimento, i respingimenti, differiti o no, al fine di comprimere sempre di più l’esercizio del diritto d’asilo. Il decreto legge era stato annunciato come un testo finalizzato alla sola riforma della logora programmazione dei flussi di ingresso per lavoro, ma anche questa volta non è stato solo così, come era del tutto prevedibile. Mi limito in questo articolo ad esaminare la riforma degli ingressi per lavoro, rinviando ad una seconda parte l’analisi delle nuove misure in materia di asilo. Il Governo, incalzato dalla realtà economica di un Paese con crescente carenza di manodopera, qualificata e non, ha deciso, non sappiamo se con riluttanza o meno, di apportare delle modifiche alla logora normativa sugli ingressi per lavoro; alcune modifiche potrebbero portare limitati miglioramenti, rimanendo tuttavia inalterato il quadro generale, sostanzialmente malato e privo di cure adeguate per le ragioni che illustrerò di seguito.

Le modifiche del nuovo Decreto legge

La prima misura che può portare a dei miglioramenti consiste nel prevedere nel corso dell’anno una pluralità di finestre temporali (il famigerato click day) nelle quali presentare da parte dei datori di lavoro le richieste di nulla osta al lavoro, introducendo nello stesso tempo una nuova procedura di “precompilazione dei moduli di domanda sul portale informatico messo a disposizione dal Ministero dell’Interno”. E’ lo stesso Governo ad annunciare quale sia la direzione verso cui punta questa modifica normativa, che è quella di abolire in futuro (probabilmente prossimo perché la realtà dell’economia non aspetta) il click day e consentire la presentazione delle domande nel corso dell’anno senza irrazionali cesure temporali. Il Governo non lo ammette ovviamente, ma di fatto inizia timidamente ad avvicinarsi a una delle proposte di riforma da sempre proposte dalle associazioni (si pensi alla campagna Ero Straniero e molti altri) che finora erano sempre state sdegnosamente scartate.

La seconda misura di un certo interesse, presentata come “sperimentale” (ma in realtà non del tutto nuova) consente nel prevedere l’ingresso nel 2025 “al di fuori delle quote” di diecimila “lavoratori da impiegare nel settore dell’assistenza familiare o sociosanitaria” a favore di disabili e grandi anziani. Allo scadere dei primi dodici mesi, durante i quali rimane vincolato all’attività assistenziale per cui ha fatto ingresso (anche con diverso datore di lavoro) il lavoratore straniero potrà cambiare settore lavorativo, pur nei limiti generali delle quote di ingresso. Anche in questo caso la drammatica realtà di un Paese in cui non si trovano lavoratori in grado di assistere un numero elevato (e che va crescendo a ritmi velocissimi) di anziani e di malati, fa la sua irruzione sfondando il muro dell’ideologia della chiusura.

La terza modifica normativa di un certo interesse è rappresentata dalla modifica dell’art. 18 del TU Immigrazione con l’introduzione di una nuova tipologia di permesso di soggiorno per “gli stranieri vittime di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” da rilasciare alle vittime. Si tratta di una scelta riformatrice che in sé sarebbe molto positiva e che indica che c’è una certa consapevolezza dell’esistenza di un vasto mondo di lavoratori in condizioni di sfruttamento e marginalità. La norma però prevede che a tale permesso possa accedere solo colui “che “contribuisca utilmente all’emersione dei fatti e alla individuazione dei responsabili”. Un’impostazione premiale assai discutibile in quanto molti lavoratori sfruttati, pur collaborando alle indagini, potrebbero tuttavia non apportare contributi significativi alle indagini e per questa ragione del tutto indipendente dalla loro volontà, rischiano irragionevolmente di rimanere esclusi dalla protezione.

Infine il testo risulta assai confuso su un altro aspetto dirimente, ovvero la definizione delle misure di accoglienza ed assistenza cui potranno accedere le vittime dello sfruttamento, in modo da consentire concretamente alle stesse di allontanarsi da coloro che li sfruttano. La normativa appare dunque piuttosto mal congegnata e rischia di rimanere solo un proclama che una realtà. Tutte le altre numerose modifiche previste dal decreto legge sono finalizzate a introdurre controlli e verifiche sia sulla natura non truffaldina della domanda di nulla osta al lavoro (controllo a monte dell’ingresso del lavoratore straniero) che sull’effettiva stipula del contratto di lavoro (controllo successivo all’arrivo del lavoratore straniero). La loro efficacia nel contrastare il vasto mondo degli abusi e dei trucchi su cui vive il sistema attuale degli ingressi per lavoro andrà verificata nell’attuazione pratica, senza preclusioni. Il sottoscritto nutre tuttavia molti dubbi che l’introduzione di disparati vincoli e procedure di controllo (ad esempio prevedere la firma digitale del datore di lavoro sulla domanda di nulla osta) possano produrre di per sé effetti di grande portata in assenza di un vero quadro di riforma generale del sistema degli ingressi per lavoro.

La modesta riforma voluta dal Governo non intacca in alcun modo il problema di fondo che ha permesso nel tempo la solida costruzione di un sistema reale degli ingressi che quasi nulla ha a che fare con il sistema legale. L’assenza di un meccanismo che consenta l’effettivo incontro, in Italia, tra la domanda e l’offerta di lavoro da parte dei cittadini stranieri rimane il grande e irrisolto problema. Nessun datore di lavoro, italiano e straniero, che non sia parente del futuro lavoratore o ne abbia comunque avuto una conoscenza diretta, può ragionevolmente vincolarsi ad assumere qualcuno che non ha mai conosciuto, né sperimentato in concreto tramite una prova lavorativa. La gran parte dei lavoratori stranieri che vengono assunti tramite il decreto flussi si trovano in Italia e non certo nei loro Paesi di origine e già lavorano in nero, in condizioni di più o meno grave sfruttamento, con lo stesso datore di lavoro che fingerà di chiamarli dall’estero, o con altri datori di lavoro, realizzando di fatto un’emersione dal lavoro nero. Il tutto corredato dagli aspetti grotteschi che da sempre caratterizzano tale finzione, ovvero la necessità che il lavoratore straniero vincitore della agognata lotteria si rechi nel suo paese di origine (dove fingeva di trovarsi) per prendere, presso le nostre rappresentanze diplomatiche, il visto di ingresso per lavoro e così arrivare, o meglio ritornare, in Italia e finalmente incontrare quello sconosciuto datore di lavoro che l’ha chiamato a lavorare con sé.

L’irrazionalità del meccanismo previsto dalla norma vigente nel disciplinare gli ingressi degli stranieri extra UE per motivi di lavoro è il primo motore che produce ciò che il Governo vorrebbe contrastare con le nuove normative, ovvero il fenomeno della compravendita di un finto contratto di lavoro da parte dello straniero che, nella mancanza di strade legali accessibili, cerca con questa strategia di venire in Italia evitando le rotte della speranza (o meglio le rotte della morte). Invece di spegnere questo motore si inseguono dei palliativi privi di efficacia. Il piano di riforma su cui sarebbe necessario ed urgente operare è quello di un cambiamento del paradigma di fondo su cui poggia la normativa vigente che preveda l’introduzione di una nuova misura che consenta la possibilità di fare ingresso nel nostro Paese per “ricerca di lavoro” a seguito di una rigorosa verifica dell’identità della persona che richiede il visto in ingresso, nonché del suo possesso di mezzi economici idonei a coprire la durata del soggiorno in Italia e l’eventuale ritorno nel Paese di provenienza.

Tali mezzi possono essere forniti, in tutto o in parte da terzi che agiscono con funzione di sponsor sia privati che pubblici. Non si tratta di proposte peregrine, bensì di proposte precise ed articolate sul piano giuridico che sono all’attenzione della politica da molto tempo ma che rimangono inascoltate. Modificare solo gli aspetti procedurali dell’attuale sistema degli ingressi per lavoro allo scopo di non cambiare nulla nel suo impianto di fondo irrazionale e criminogeno: in ciò sta la totale mancanza di visione di un Esecutivo che pare non adeguato a gestire i grandi cambiamenti della nostra società.

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