“Del Turco massacrato dai magistrati come Tortora, sua unica colpa aver contrastato i ras della sanità privata”, parla Caiazza

RMAG news

Venerdì scorso è morto Ottaviano Del Turco, ex presidente della regione Abruzzo e, in precedenza, vice segretario della Cgil, poi segretario del Psi, ministro della Finanze nel governo Amato. Aveva 79 anni. Il 14 luglio 2008 viene arrestato dalla Guardia di Finanza a seguito di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Pescara, insieme a una decina tra assessori, ex-assessori, consiglieri ed alti funzionari della Regione Abruzzo con l’accusa di associazione per delinquere, truffa, corruzione e concussione, nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione della sanità privata in Abruzzo. Poco dopo l’arresto si dimette da presidente e si autosospende da membro della Direzione Nazionale del Pd. Del Turco è stato detenuto nel carcere di Sulmona (AQ) ventotto giorni, uscendone l’11 agosto a seguito di concessione degli arresti domiciliari da scontare nel paese natale di Collelongo. “La vicenda giudiziaria ha distrutto la sua vita pubblica e privata”, ci racconta il suo legale Gian Domenico Caiazza, già presidente dell’Unione Camere Penali.

Avvocato, che ricordo ha di Del Turco?

Lo ricordo con grande affetto. Era una persona ancorata in modo forte ai suoi valori ideali e politici, un galantuomo con una bella storia politica, rispetto alla quale ha sempre continuato a manifestare una passione profonda.

Prima di diventare il suo legale vi conoscevate?

No. Non so perché abbia scelto me. Si guardò intorno, mi chiamò e io mi resi subito disponibile. È stato per me un onore difenderlo, non di certo un piacere, perché quanto successo è il ricordo più bruciante forse della mia carriera, provoca ancora oggi in me un senso di indignazione dal quale mi sento puntualmente sopraffatto.

Come mai?

È una vicenda giudiziaria talmente grossolana ed eclatante che, sebbene totalmente ridimensionata, distrutta in tutti i suoi costrutti, comunque è riuscita a massacrare questa persona, a distruggere la sua vita pubblica e privata. E il non essere riuscito a sottrarlo del tutto alle conseguenze di quella follia è una cosa che mi crea ancora adesso rabbia. Ottaviano, come Tortora, si è ammalato per quanto gli è accaduto. E io non ho mai percepito come in questa vicenda la violenza che un’istituzione dello Stato può esercitare quando non rispetta le proprie regole.

Che sbaglio fece Del Turco?

Ottaviano Del Turco commise un solo – ma fatale – errore, nella sua esperienza di governatore dell’Abruzzo: ritenersi più forte dell’immenso potere esercitato dalla sanità privata in quella Regione. In tre anni al governo della Regione – come alla fine hanno dovuto prendere atto, dalla Corte di Appello in avanti, gli stessi suoi giudici- la Giunta Del Turco, semplicemente accertando irregolarità ed illegittimità retributive del più vario genere, aveva revocato alle cliniche private abruzzesi qualcosa come un centinaio di milioni di euro. Ottaviano, una volta, ragionando su quello che stava succedendo mi disse come ritenesse incredibile che, nonostante la sua esperienza politica, fosse stato così imprudente da sottovalutare i suoi accusatori. Mi disse proprio: “li ho presi di petto e loro mi hanno fatto un mazzo così”. Lui credeva di arrivare in Abruzzo e sistemare la sanità e invece i potenti delle cliniche private hanno sistemato lui.

Ripercorriamo la vicenda giudiziaria.

L’ordinanza di custodia cautelare che Ottaviano, incredulo, poté leggere era scritta interamente recependo senza filtri le dichiarazioni di due signori: Vincenzo Maria Angelini (poi condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per truffa ai danni della Regione Abruzzo, ndr), proprietario del più importante gruppo di cliniche private abruzzesi, e Luigi Pierangeli, presidente dell’Aiop, associazione di categoria che raggruppava tutte le restanti cliniche private diverse da quelle del gruppo Angelini. Il primo disse di essere stato concusso per 6 milioni e 400 mila euro cash in due anni, dietro la minaccia di far richiudere le sue cliniche e di avvantaggiare il gruppo concorrente, quello di Pierangeli. Quest’ultimo lo accusò di stare favorendo le cliniche di Angelini a svantaggio delle sue. Insomma, tutta la sanità privata abruzzese dava il benservito alla Giunta che aveva osato tanto. I due gruppi erano in realtà in forte competizione tra di loro; ma l’obiettivo fu infine convergente.

La procura accolse pedissequamente le dichiarazioni degli accusatori?

Questa incredibile e quasi maniacale attività di denuncia fu recepita in modo acritico dalla Procura di Pescara senza una sola obiezione. Non posso dimenticare le roboanti conferenze stampa organizzate contro gli indagati dal procuratore della Repubblica di Pescara, Nicola Trifuoggi. Le tesi degli accusatori furono infine trasfuse pari pari in un incredibile raffica di capi di imputazione per abuso in atti di ufficio, falsi ideologici e chi più ne ha più ne metta, dei quali non uno, dico non uno solo, è sopravvissuto all’impietoso giudizio di inesistenza dei fatti, ovviamente solo dopo la incredibile sentenza di primo grado che, asseverando invece senza esitazioni la bontà di quelle denunce, condannò Del Turco a dieci anni di reclusione.

Come visse Del Turco il carcere?

La cosa incredibile è la serenità o meglio la fermezza con cui ha vissuto quella terribile esperienza. Da uomo politico navigato sapeva dal primo giorno che cosa stava pagando.

Come si svolse il processo di primo grado?

Raramente nella mia carriera personale ho avvertito dal primo giorno un segnale chiarissimo, da parte del Tribunale, di una ostilità totale alle tesi difensive accompagnata da una indisponibilità ad ascoltare le nostre ragioni. Non avevo mai visto, né la vedrò in seguito, una sinergia così straordinaria tra il giudicante e il requirente. La sensazione era quella che era inutile fare il processo, intanto la condanna era stata già decisa e ogni nostro sforzo di sconfessare gli accusatori appariva esercizio ozioso.

Può raccontarci qualche episodio?

Angelini, per dimostrare a suo modo di aver portato il denaro a Del Turco, deposita le ricevute telepass di una serie di autovetture delle sue aziende, e le ricevute bancarie dei prelievi in contanti di somme dai conti correnti delle sue società. Attribuisce tutte le uscite autostradali al varco di Aielli-Celano, quale prova delle sue trasferte a casa di Del Turco.
Che non abita dentro il casello di Aielli Celano, ma a Collelongo, uno dei molti paesi ad almeno 20 km di distanza dal casello e che però torna anche utilissimo ad Angelini per raggiungere una delle vicine cliniche di Angelini, impegnando anzi la via più breve. Inoltre lui selezionò 26 uscite ad Aielli Celano, tentando di incrociarle con i prelievi, ma fu sfortunato e non ne trovò nemmeno uno coincidente. La cosa incredibile è che la né Procura di Pescara né il Tribunale fecero un plissè dinanzi alla “montagna di prove” da noi smontata durante gli interrogatori. Tutte le incredibili spiegazioni di Angelini e del suo autista venivano accettate e mai messe in dubbio.

Come andò invece la questione dei soldi nascosti nel cesto delle mele?

L’ennesimo colpo di teatro di Angelini che presenta una serie di foto, che raffigurano una mazzetta di denaro nelle sue mani; poi l’immagine sfocata di una persona indistinguibile che il suo fedele autista testimonierà essere lo stesso Angelini, con una innocua busta con i manici, tipo profumeria, sul vialetto di casa Del Turco; poi, quando è ormai buio pesto, una foto di una busta sempre nelle mani di Angelini un po’ stracciata piena di mele e castagne. Mai Del Turco ha negato di avere ricevuto in quegli anni Angelini a casa sua quattro o cinque volte, come decine e decine di altre persone che volevano incontrarlo; tuttavia questa roba qui è stata considerata – anche in Appello – la prova, indiretta ma certa, di una dazione di denaro ad Ottaviano. Ciò lo si pretenderebbe di desumere dalla successiva foto con le mele, inserite dal vorace Del Turco nella stessa busta che all’ingresso conteneva i soldi, “per non insospettire l’autista”, qualunque cosa ciò possa mai significare, visto che secondo l’accusa di Angelini a quella data l’autista lo aveva accompagnato per la medesima operazione almeno altre venti volte. Ottaviano si preoccupa improvvisamente di non insospettire l’autista, tornando il suo datore di lavoro alla macchina senza la busta con la quale era entrato (e chissà mai perché dovrebbe immaginare che l’autista ne sospetti il contenuto illecito!), e pretende che Angelini la riporti con sé, piena di mele e castagne.

E poi che succede?

Proiettata la foto in udienza, perfino il Tribunale deve prendere atto che la busta con le mele è diversa da quella che avrebbe contenuto i soldi. Dunque la messinscena raccontata dal nostro accusatore perderebbe ogni residua briciola di sensatezza, giusto? Non per i giudici di questa Repubblica. Anche la Corte di Appello, che demolirà i quattro quinti delle accuse ritenute provate in primo grado, manterrà la residua condanna agganciata a questa follia. E la Corte di Cassazione, che a sua volta annullerà anche il capo di associazione per delinquere che la Corte di Appello aveva incomprensibilmente mantenuto in vita, dirà: non siamo giudici di merito, non entriamo nella dinamica del fatto, ma questa è l’unica dazione rispetto alla quale vi è un principio di prova (le foto ed il racconto dell’autista) e quindi questo residuo brandello della vicenda lo dobbiamo salvare.

Può riassumere brevemente quindi come sono andati i processi?

In primo grado il Tribunale di Pescara ritenne tutte le accuse fondate, corresse solo la qualificazione giuridica: Angelini non fu concusso da Del Turco, ma lo corruppe. Dieci anni di reclusione. Senonché, la Corte di Appello de L’Aquila, in accoglimento di larga parte del nostro appello, ci assolse – e con noi i nostri coimputati – da quasi tutte (21!) le fantomatiche tangenti, facendo salve quelle in qualche modo riferibili alle leggendarie foto delle mele. Ma soprattutto, ci assolse (per insussistenza dei fatti) da tutti – tutti – i reati che avremmo commesso per favorire Angelini in cambio del denaro. Tutti. La Giunta Del Turco, ammise allora la Corte, non ha mai sviato l’amministrazione della sanità regionale in favore di nessuno. La Corte di Cassazione annullerà poi anche la associazione per delinquere (il fatto non sussiste, sancirà definitivamente il giudice di rinvio), salvando solo le dazioni riconducibili alla tragicomica storia delle foto.

A piazza Cavour non hanno avuto il necessario coraggio?

Purtroppo no, delle volte ci si autoprotegge, per quanto possibile. Hai arrestato il presidente di una Regione democraticamente eletto, e mezza sua Giunta; hai interrotto il corso democratico di una istituzione elettiva; sono state indette nuove elezioni che hanno consegnato la regione alla destra, hai coperto di ignominia uomini pubblici e le loro famiglie. Tutto questo sul nulla: ci sarebbero voluti non dei giudici, ma degli eroi con la forza di sancire che fu tutto un enorme, grossolano, imperdonabile “errore” giudiziario. Nella vicenda giudiziaria di Del Turco, questo di fatto è stato ammesso, ma salvando un pezzettino di quella indecenza, giusto un pezzettino, al quale chi ne fu responsabile possa aggrapparsi.

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