Elezioni europee, tutte le sfide di partiti e leader: numeri e “soglie” per determinare vincitori e vinti

RMAG news

Lo ha promosso a pieni voti persino Putin. Quella dichiarazione che descrive la posizione del governo italiano “più moderata rispetto a quella di altri governi europei e a questo diamo la giusta attenzione” e il riconoscimento che “in Italia non monta una russofobia da cavernicoli” è in buona parte una promozione per il ministro degli Esteri.

Certo, c’è Salvini che a Putin fa da sponda da sempre ma appunto quello era un dato acquisito. È altrettanto vero che la politica di Tajani gode del pieno beneplacito della premier, con la quale però il russo ha il dente parecchio avvelenato, in seguito al suo brusco voltafaccia.

La prudenza del ministro degli Esteri invece ne esce senza dubbio premiata. Soprattutto perché, all’opposto esatto dell’alleato-rivale leghista, Tajani non paga l’applauso con il pollice verso degli Usa e della Nato che invece continuano a fidarsene assolutamente e a ragion veduta.

Da quando ha preso il posto dell’insostituibile Silvio, il leader di Forza Italia ha centrato una mossa dopo l’altra, tanta da resuscitare un partito sulla cui sopravvivenza nessuno scommetteva un soldo, semplicemente occupando lo spazio rimasto vuoto nella mappa della politica italiana: quello della Democrazia cristiana.

A differenza dei leader centristi, che saranno pure moderati come si dichiarano ma si comportano spesso come forsennati estremisti, Tajani incarna il ruolo alla perfezione.

Offre agli elettori l’immagine di una destra davvero moderata, distinta dagli alleati nei toni e a volte anche nella sostanza, però leale. Tra tutti i leader che in questa prova si giocano parecchio è quello che almeno in partenza può sentirsi relativamente sicuro.

Come tutti anche lui ha fissato un asticella ma, a differenza di tutti gli altri, non ha giocato al ribasso. Al contrario si è prefissato un obiettivo molto alto, un risultato a due cifre in realtà difficilmente raggiungibile.

Può farlo perché sa che anche se lo mancherà, potrà probabilmente cantare vittoria comunque e a ragion veduta: se alla fine ci sarà davvero un testa a testa con la Lega per lui sarà comunque un successo pieno, senza stare a guardare quale tra i due partiti si aggiudicherà un mezzo puntarello in più. Perché appena un anno fa sarebbe stata inimmaginabile la competizione.

La situazione del competitor è opposta: lui di quel mezzo puntarello in più ha bisogno, perché si gioca la partita su due elementi chiave: migliorare anche se di pochissimo il risultato rispetto al 2022 – ed è già un’impresa per un partito che sino a un mese fa era dato in picchiata netta – ed evitare il sorpasso forzista, il cui rilievo simbolico sarebbe immenso.

Tra i due litiganti la terza non gode. Giorgia era partita pensando a una prova tutta in discesa, con sondaggi ubertosi e la previsione di migliorarli con la sua candidatura acchiappa-voti.

Rischia di ritrovarsi più o meno allo stesso livello del 2022 e nelle condizioni date, con lei direttamente in campo, sarebbe nella migliore delle ipotesi una battuta d’arresto, nella peggiore il segno di un molto preoccupante cambio di vento. Del quale si avvantaggerebbero entrambi gli alleati, ma Tajani molto più di Salvini.

Nel panorama della destra, infatti, il partito moderato azzurro è il solo appetibile per una fascia d’elettorato che diffida del radicalismo degli altri due partiti e non digerisce le radici missine della premier.

Il sogno di Tajani è restituire a Forza Italia il primato nella destra e in prospettiva è un traguardo molto difficile ma non impossibile. Sempre che nel valzer di Bruxelles non finisca per toccare a lui la presidenza della Commissione, come non è affatto escluso.

Ha già detto che anche in quell’eventualità, che finge di considerare molto remota ma in realtà ci spera, non lascerebbe la guida di Fi. Più facile a dirsi che a farsi, però.

Dall’altra parte della barricata il Pd potrà dirsi soddisfatto a partire dal 20% e per i 5S sarebbe un brutto colpo scendere al di sotto del 13%. Ma per Elly il dato più rilevante sarà lo scarto che separa il suo partito da quello della rivale premier e dal Movimento dell’alleato ex premier.

Se arriverà a pochi punti da FdI il quadro sarà per tutti quello di un inseguimento con buone possibilità di vittoria, se staccherà di molto Conte gli avrà tolto molte velleità di avere l’ultima parola nelle scelte della futura e inevitabile alleanza: a partire da quella sul futuro candidato premier.

Per i partiti più piccoli, Stati uniti d’Europa, Azione e Avs tutto si riduce a un esito binario: o passano la soglia di sbarramento, e allora ci sarà comunque da brindare, oppure no.

Ma chi, come Michele Santoro con il suo Pace Terra e Dignità, parte con pochissime chances di varcare quella soglia, come potrà dirsi almeno parzialmente soddisfatto?

Tutto sommato sì, se farà segnare almeno il 2%. Magra soddisfazione, però, se per raggiungerla impedirà ad Avs di raggiungere il quorum e Ilaria Salis di salvarsi dalle galere di Orbàn.