Elezioni in Francia del 1936, così il fronte popolare fermò i fascisti

RMAG news

La notte del 6 febbraio 1934 tutti i gruppi della destra radicale francese organizzarono una manifestazione di protesta in Place de la Concorde per protestare contro la rimozione del prefetto di Parigi Jean Chiappe, di estrema destra, deciso tre giorni prima dal presidente del consiglio appena insiediatosi Edouard Daladier. Le manifestazioni si risolsero in violenti scontri in diverse zone di Parigi. I manifestanti uccisi furono 17, tre giorni dopo Daladier si dimise e al suo posto si insediò l’ex presidente della Repubblica Gaston Dumergue, alla guida di un governo formalmente di unità nazionale ma che in realtà escludeva sia i socialisti che i comunisti. Il Front Populair destinato a vincere le elezioni due anni dopo nacque di fatto quella notte. Gli storici sono oggi dell’opinione che non fosse nelle intenzioni dei gruppi di estrema destra, molti dei quali apertamente fascisti, tentare il colpo di mano per abbattere la Repubblica nella notte del 6 febbraio.

Il colonnello Francois de la Rocque, leader della Croce di Fuoco, il gruppo più forte, aveva ordinato ai suoi militanti di non partecipare alla battaglia, anche se molti disobbedirono. In ogni caso l’intera sinistra interpretò gli eventi di quella notte come il segno che la minaccia fascista era ormai alle porte anche della Francia. Anche perché nei due anni successivi le violenze e le manifestazioni di antisemitismo proseguirono senza sosta. Pochi giorni dopo gli scontri, il 13 febbraio, militanti del gruppo Action Francaise e della sua ala paramilitare, i Camelots du Roi, aggredirono e quasi linciarono il leader socialista Leon Blum, odiato come leader della sinistra e come ebreo. La spinta verso la creazione di un’alleanza antifascista fu del segretario del Partito comunista francese Maurice Thorez, con una serie di articoli sul giornale del partito L’Humanité. Il Comintern, l’Internazionale comunista pilotata dal Pcus, aveva del resto appena modificato radicalmente la propria strategia, passando dal rifiuto di ogni alleanza con la sinistra moderata alla ricerca di fronti comuni, i Fronti Popolari appunto, in funzione antifascista.

In Francia le divisioni della sinistra erano all’origine dell’instabilità che segnava la Terza Repubblica, già flagellata dalla crisi economica seguita al crollo del 1929. Dalle elezioni del 1932 erano usciti vincenti i socialisti-radicali, formazione di centrosinistra alleata con diversi partiti minori, e la Sfio socialista. I due partiti avevano dato vita a un cartello comune, dal quale erano rimasti fuori i comunisti: l’indicazione di Mosca, in quel momento, era ancora rifiutare ogni alleanza in nome della lotta contro “il social-fascismo”. Il cartello si divise ancora prima di formare un governo. I socialisti-radicali con i loro alleati minori governarono da soli, con un appoggio esterno della Sfio che però si esaurì di fronte ai tagli alla spesa decisi dal governo nel tentativo di fronteggiare la crisi. Lo scandalo Stavisky divampò in una situazione già vicina all’esplosione. Stavisky, banchiere e grande truffatore, era un immigrato ebreo proveniente dalla Russia. Aveva emesso buoni non rimborsabili per oltre 200 milioni di franchi e la destra accusava il governo presieduto dal socialista radicale Camille Chautemps di complicità col truffatore, nel frattempo morto ufficialmente per suicidio.

Proprio le manifestazioni di piazza della destra, nel gennaio 1934 avevano costretto Chautemps alle dimissioni e portato al meteorico governo Daladier. Il Front Populair, composto dai tre partiti principali della sinistra e da numerosi partiti minori, vinse le elezioni del 3 maggio 1936 conquistando 386 seggi su 608. Il governo fu presieduto da Blum, primo socialista e primo ebreo a guidare la Francia. Daladier e Chautemps entrarono nell’esecutivo. I comunisti appoggiarono il governo dall’esterno , senza ministeri. Nel Front, oltre ai partiti, avevano un ruolo centrale diverse organizzazioni antifasciste e soprattutto il sindacato Cgt. Il governo Blum tentò un’operazione riformista quasi senza precedenti a tutto campo. In 73 giorni varò 133 leggi, al ritmo di quasi due al giorno. Le riforme più ambiziose arrivarono poco più di un mese dopo le elezioni e furono il frutto di una mobilitazione operaia partita subito dopo l’insediamento del nuovo governo. Dal 26 maggio prima a Le Havre e subito dopo in tutto il Paese era iniziato uno sciopero generale accompagnato dall’occupazione di molte fabbriche.

Le trattative tra la Cgt e il governo iniziarono il 6 giugno e si conclusero già il giorno dopo con la firma degli accordi di Matignon. Garantivano i pieni diritti sindacali e aumenti salariali tra il 7 e il 12%, che tuttavia in alcuni casi, come per le lavoratrici donne di Verdun, arrivarono al 400%. Ancora prima che le trattative iniziassero Blum aveva presentato disegni di legge, che furono approvati entro lo stesso mese, che portavano a 40 ore l’orario di lavoro settimanale e introducevano per la prima volta in Francia due settimane di ferie pagate. Il governo Blum, nella sua breve esperienza, varò molte altre riforme tra cui la nazionalizzazione dell’industria bellica, un ambizioso programma di opere pubbliche, l’innalzamento della scuola dell’obbligo sino a 14 anni. Le riforme del Fronte Popolare non raggiunsero però i risultati sperati. Gli aumenti salariali furono completamente rimangiati dall’inflazione, il tasso di disoccupazione restò altissimo, soprattutto la diminuzione dell’orario di lavoro si rivelò esiziale in una fase segnata dal riarmo tedesco e dunque dalla necessità di un riarmo anche francese che invece segnò il passo anche in conseguenza della diminuzione dell’orario di lavoro.

La guerra di Spagna divise la maggioranza e Blum, sotto la minaccia di una guerra civile anche in Francia, rinunciò a fornire aiuti alla Repubblica. Il conflitto con i comunisti sui mancati aiuti alla Repubblica spagnola e le manovre dei socialisti radicali, orchestrate da Daladier, portarono nel giugno del 1937 alle dimissioni di Blum, sostituito dal socialista radicale Chautemps ma a quel punto, anche se il nuovo governo nazionalizzò le ferrovie rispettando il programma elettorale del Fronte, la spinta si era già esaurita. Nel gennaio 1938 Chautemps estromise i ministri socialisti dal governo. In marzo Leon Blum tornò a guidare il governo ma solo per un mese prima di essere sostituito da Daladier. Dopo l’accordo di Monaco che consegnava la Cecoslovacchia ai tedeschi, in settembre, i comunisti abbandonarono per protesta contro l’annessione l’alleanza, segnando la fine ufficiale di un Front Populaire che di fatto già non esisteva più. Durante l’occupazione tedesca, nella guerra mondiale, Blum fu deportato a Buchenwald. Dopo la guerra guidò di nuovo un governo di transizione, nel dicembre 1946, per meno di cinque settimane.

Please follow and like us:
Pin Share