Faccia tosta. Balneari, sciopero dopo anni di privilegi

Faccia tosta. Balneari, sciopero dopo anni di privilegi

Il Quotidiano del Sud
Faccia tosta. Balneari, sciopero dopo anni di privilegi

Tra Ue e governo, scaricabarile per i balneari non c’è più scampo: ora arriva lo sciopero per chiedere al governo una soluzione

Sarà interessante misurare le adesioni oggi allo ‘’sciopero dei balneari’’, un’iniziativa che – man mano che passano le ore – si sgonfia e perde adesioni. “Non è giusto penalizzare migliaia di consumatori che hanno scelto gli stabilimenti balneari italiani per le loro vacanze, riconoscendone qualità e funzionalità’’. E’ quanto hanno dichiarato i rappresentanti di Assobalneari e La Base Balneare, organizzazioni a cui sono associati migliaia di operatori del settore. In questa dichiarazione ci sono concetti che oltre ad un valore politico colgono anche il significato tecnico della manifestazione.

Infatti, non si tratta di uno sciopero ma di una forma di serrata, perché coloro che incrociano le braccia (ovvero non aprono o ordinano di non aprire gli ombrelloni) non sono lavoratori dipendenti ma imprenditori. La serrata non è tutelato come lo sciopero. Mentre l’astensione dal lavoro – in presenza di uno sciopero dichiarato – è un diritto, la serrata è solo una libertà. La differenza tra queste due prerogative non è irrilevante: l’esercizio di un diritto non è sindacabile da parte di terzi; non è così nel caso di una serrata: l’impresa che vi aderisce risponde verso i terzi ovvero – come è scritto nella dichiarazione – i consumatori. Anzi è probabile che qualche solerte organizzazione di utenti decida di instaurare un ricorso nei confronti delle aziende che non mettono a disposizione stamane – sia pure per alcune ore – un servizio ai cittadini che hanno preso in affitto un ombrellone.

Ma al di là degli aspetti giuridici che vanno affidati alle organizzazioni dei consumatori che attendono queste occasioni per rendersi visibili magari provando il brivido di una class action, c’è una trappola di carattere politico da cui non si riesce ad uscire.
Ormai gli operatori balneari sono talmente disperati che chiedono al governo una soluzione. Ma negli anni passati (e sono stati tanti) hanno coinvolto nella loro resistenza verso le regole europee pezzi di politica sia a livello nazionale che locale, le quali non riescono a fare marcia indietro. Importanti partiti, coinvolti all’inizio dagli interessi di una categoria che ha un peso rilevante nell’economia del territorio, hanno finito per assumere la difesa delle concessioni semigratuite e trasmesse in eredità tra generazioni, con l’obiettivo di contrastare le direttive europee.

In sostanza, i balneari hanno caricato il moto perpetuo della politica e non riescono più a fermarla, perché ormai la difesa dello status quo è diventato un obiettivo assunto in proprio da taluni settori della politica. Quando la questione diventa un’occasione per polemica con l’Europa matrigna o con le fameliche multinazionali, i partiti fanno valere un loro indirizzo politico separato e distinto da quello degli operatori del settore, i quali dovrebbero aver capito ormai di non avere più scampo. Tutti i gradi della giustizia amministrativa si sono pronunciati contro le proroghe automatiche ed hanno sollecitato i bandi per le concessioni. I governi hanno raschiato in toto il fondo del barile, rinviato di anni l’amaro calice della legge. Manca solo che lo chieda Jeova sul Monte Sinai, poi il quadro è completo.

Peraltro quando fossero scadute le concessioni o le relative proroghe, l’operatore potrebbe essere ritenuto un abusivo e perseguito da una magistratura più solerte di quella che non si è accorta delle occupazioni abusive di Ilaria Salis. Ma le ultime parole le deve dire il governo anche nell’interesse della categoria. Il fatto è che – come in altri casi – dal centro alla periferia si diffonde il vizio italico dello scarico di responsabilità: a volte sono i Comuni che attribuiscono i ritardi al governo; altre volte – come in questo caso – succede il contrario. Intanto anche l’altra grande corporazione che vanta imprese di blocchi urbani che hanno piegato parecchi governi – quella dei taxisti – ha dovuto incassare l’abrogazione di una norma che pochi anni or sono aveva ottenuto da un governo compiacente.

La Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (Ncc). Per la Corte Costituzionale il divieto di rilasciare nuovi permessi sino alla piena operatività del registro informatico nazionale delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione Ncc ha consentito, per oltre cinque anni, “all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori”, compromettendo gravemente “la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea”.

Ma che cosa è questa direttiva ex Bolkestein che turba i sonni di categorie abituate a badare ai loro affari senza che nessuno si mettesse di traverso col pretesto (vade retro) della concorrenza? Nel suo ruolo di commissario europeo Fritz Bolkestein, liberale dei Paesi bassi, propose (nel 2004) il testo di una direttiva rivolta ad allargare il mercato interno al settore dei servizi. Si trattava di dare corso non solo ad un impegno previsto dai Trattati (addirittura da quello istitutivo del lontano 1957), ma persino ad un’incombenza assolutamente coerente con le scelte già compiute dall’Unione (rafforzate dall’allora imminente prospettiva dell’allargamento) sul piano delle grandi strategie d’ordine economico.

Già allora il mercato dei servizi rappresentava il 70% delle attività economiche europee, garantiva il 68% dell’occupazione complessiva ed era ritenuto in grado di offrire le maggiori opportunità per l’ulteriore crescita dei posti di lavoro nell’ambito di quell’economia della conoscenza posta alla base del programma di Lisbona 2000. Si stimava allora che la creazione di un mercato unico dei servizi avrebbe determinato un incremento a medio termine dello 0,6% del Pil e dello 0,3% del tasso d’occupazione, mentre l’integrazione dei mercati finanziari avrebbe prodotto una riduzione, sempre a medio termine, del costo dei finanziamenti per le imprese di circa lo 0,5% con un aumento dell’1,1% del Pil e dello 0,55 del tasso d’impiego a lungo termine. Di “tanta speme’’ oggi restano i bandi per i balneari. Ma si difende la patria (per noi l’Europa) anche montando la guardia ad un bidone di benzina

Il Quotidiano del Sud.
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