Gaza, la strategia di Biden sta pagando: tregua (e ostaggi liberi) più vicina, l’asse sciita lacerato

RMAG news

Si sta palesando, con gli avvenimenti di queste ultime ore, un possibile successo della diplomazia (quella ufficiale e quella segreta) di Joe Biden, con il raggiungimento non della pace che resta una utopia in Medio Oriente, ma di una tregua a Gaza e in generale di quello che in gergo si chiama “flemmatizzazione” (rallentamento, contenimento) del conflitto tra i soggetti nemici, i quali restano tali ma ripongono – e mi scuso per l’immagine da Far West, certo inadeguata alla tragedia in corso – la pistola nella fondina.

Questo è reso oggi possibile dai contrasti esplosi dentro il cosiddetto “asse della resistenza sciita” e della perdita di sintonia operativa con Hamas, a sua volta lacerato da dissidi interni nella stessa Gaza (in precedenza la divisione era tra l’asse militare nella Striscia e l’Ufficio politico a Doha in Qatar, decapitato dalla uccisione da parte di Israele e risorse iraniane a Teheran del leader politico Ismail Haniyeh, 31 luglio). Queste notizie, attinte da fonti primarie, sono ordinate per semplificarne la lettura in due capitoli e una conclusione.

1) Primo scenario: Libano. Abbiamo assistito domenica scorsa a una (per fortuna!) recita. La risposta di Hezbollah all’eliminazione nel quartiere roccaforte di Al Dahiya Al Janubia (zona sud di Beirut) di Fuad Shukr, capo militare e numero 2 dell’organizzazione filo-iraniana, è stata poco più di una finzione. Sono stati lanciati 350 razzi Katiusha che, secondo una battuta che circola tra i miliziani sciiti inferociti per la debolezza dell’azione, hanno colpito “il più grosso pollaio di Israele, uccidendo un paio di galline”, altro che devastare va Tel Aviv la sede del Mossad. Questo fiasco programmato è stato l’esito di una doppia mossa concertata tra Iran e Stati Uniti. La guida suprema Ali Khamenei ha imposto al segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah di evitare qualsiasi atto che potesse scatenare una reazione devastante di Bibi Netanyahu. A sua volta la Cia ha indicato al Mossad che alle 4 e 30 del mattino sarebbero partiti i razzi da un elenco di postazioni che l’aviazione israeliana ha provveduto a far saltare per aria. Il discorso di Nasrallah annunciato solennemente per le 17 di domenica (ore 18 italiane), così da celebrare i risultati trionfali della vendetta per l’omicidio di Shukr, è stato una totale delusione per i miliziani di Hezbollah: ha annunciato che “tutti possono rientrare a casa”, ed ha elencato successi che in Libano tutti sapevano fasulli.

Nasrallah è legato a filo doppio all’Iran, e obbedisce sia per legame religioso alla guida suprema di Qom sia per dipendenza economica al regime degli ayatollah. Per dare un segnale fortissimo agli alleati del Paese dei Cedri, il neopresidente Masoud Pashkian ha comunicato e già attuato il dimezzamento – su richiesta specifica della Cia – delle risorse assegnate a Hezbollah. L’Iran non è pronto ad una guerra a spiegamento totale di forze con Israele, cui è militarmente inferiore sotto ogni punto di vista, e prima vuole ultimare – se gli sarà consentito – il programma nucleare. E perciò ha vietato azioni pesanti di Hezbollah che possano scatenare una guerra in Libano che induca Israele a prendere la rincorsa per ulteriori allargamenti a Est del conflitto. In realtà Hezbollah rigurgita di armi e di soldati bene addestrati, i quali scalpitano. Si sentono in grado di sostenere una guerra. Le milizie scelte (Radwan), addestrate in Iran a turni di sei mesi Anche con “master” nell’uso di esplosivo, annoverano 17mila soldati, tra i 25 e i 40 anni, e sono l’avanguardia di altri 40mila acquartierati in gran parte sopra e sotto i palazzi di Al Dahiya. La città armata si sviluppa infatti simmetricamente, su otto piani comunicanti tra loro, e fino a 80 metri in profondità, nel sottosuolo, con tunnel che consentono il passaggio anche di camion: una rete di 100 km che arriva fino alla valle della Bekaa. Le riserve alimentari sono previste per sopportare un anno di assedio.

I miliziani di Radwan hanno nel loro seno gruppi spionistici in grado – sul modello delle Brigate rosse – di penetrare in Israele e di fornire elementi per attacchi kamikaze, come l’ultimo fallito attentato alla sinagoga di Tel Aviv 8 giorni fa. I militari di Hezbollah e le loro famiglie sono stati infatti finora assolutamente privilegiati rispetto ai comuni cittadini libanesi. A Beirut un direttore di banca ha uno stipendio di 500 dollari, causa il disfacimento finanziario del paese, la paga del soldato sciita ammonta a 1500 dollari. E il loro vasto quartiere – 700 mila abitanti – trabocca di ogni ben di Dio, cibo, medicinali, utensili, mentre nel resto della capitale (in tutto 2,4 milioni di abitanti) si fa la fame, e si va a Beirut Sud per la borsa nera. C’è un dato che spiega i differenti livelli di vita. In tutta Beirut si raccolgono quotidianamente 350 tonnellate di rifiuti. Da sola Al Dahiya ne produce 200. C’è un’altra ragione che spiega la determinazione americana nel voler tenere a bada l’Iran. Il clamoroso attentato del marzo 1983 che provocò 63 morti nell’ambasciata americana della capitale dei cedri ebbe per capi proprio Fuad Shukr e un iraniano poi passato in diplomazia. Gli Houti sono rimasti delusi per la fiacchezza della risposta di Hezbollah, così come i gruppi della jihad sciita in Iraq.

2) Lo scenario di Gaza. Yahya Sinwar, capo di Hamas, è in gravissima difficoltà interna. La sua tattica prevedeva l’ordine da realizzarsi immediatamente dell’uccisione dei 50-60 ostaggi israeliani (molti anche con doppio passaporto) qualora fosse ucciso. Questo per preservare la propria vita. Americani e Israeliani si sono dichiarati indisponibili a tutelare costui. Da qui il maturare nei delegati di Gaza in contatto con chi sta trattando per la tregua di lasciare Sinwar al suo destino. Si sta concordando una mossa decisiva. Rilasciare senza pretese tutti gli ostaggi per guadagnare il consenso universale alla fine di invasione e bombardamenti, mettendo con le spalle al muro Netanyahu e la sua pretesa di procedere in una guerra senza fine, e contemporaneamente lasciando di fatto nudo Sinwar. Il quale ha cercato di radunare in unico gruppo i sequestrati israeliani del 7 ottobre per tenerli sotto il suo controllo. Ma è stato disobbedito, gli restano il fratello Muhammed e un nucleo di fedelissimi nel suo bunker.

Conclusione (provvisoria e sperabile). Siamo a un momento decisivo, stavolta per davvero. La strategia di Biden è stata finora di largo respiro: giocare ampliando il quadro della trattativa, coinvolgendo cioè tutti gli attori ottenendo e garantendo la “flemmatizzazione” del conflitto, spegnendo i focolai più pericolosi di guerra. Intanto se ne accende un altro. E riguarda l’alleanza tra Houthi dello Yemen e Al Shabaab di Somalia per chiudere il mare verso Suez… Ma la tregua a Gaza sarebbe già qualcosa di enorme.

Please follow and like us:
Pin Share