Gaza, quanti civili morti sono accettabili per la “guerra giusta”?

RMAG news

Danni collaterali. Da mettere in conto se servono per eliminare, o provare a farlo, il nemico sanguinario, il “fantasma di Gaza”. Quei “danni collaterali” sono civili, molti dei quali donne e bambini. Sono gazawi, e questo cancella ogni pietà o remora. Così ne scrive Gideon Levy su Haaretz: «Le trombe della vittoria suonarono immediatamente. La polvere non si era ancora posata sulle tende maciullate degli sfollati ad al-Mawasi prima che gli studios iniziassero a suonare “vittoria totale”. Nir Dvori ha dichiarato con un volto raggiante, come se avesse ordinato personalmente l’assassinio, che Mohammed Deif “era mortale” (esiste anche questo tipo di giornalismo israeliano); Almog Boker ha promesso che “si sta mettendo bene”; l’annuncio ha parlato dei “dolci momenti della vita”; e Moriah Asraf Wolberg ha infranto la sacralità del suo shabbat (salvare una vita è fondamentale) per dire: “Tutti speriamo che Deif sia morto”. Tutti noi? Quasi tutti…”».

Quel “quasi” si assottiglia, travolto da una gioia che non conosce remore né umanità. Annota in proposito Levy: «Nel periodo che intercorre tra la stesura di queste righe e la loro pubblicazione, Israele festeggerà come mai prima d’ora. Non è necessario essere un purista per capire il significato di questa gioia. Essa indica soprattutto la profondità della malattia». Una malattia che aggredisce anche la memoria. E oscura i fallimenti del passato.

«Nella catena infinita di omicidi israeliani – ricorda Levy – non è ancora arrivata un’uccisione che porti un risultato significativo al paese, se non la gioia delle masse e il loro desiderio di vendetta soddisfatto – e ancora una volta si festeggia la vittoria. I palestinesi che hanno assassinato Rehavam Ze’evi hanno ottenuto qualcosa? Israele pagherà il prezzo di questo assassinio, così come ha pagato direttamente e indirettamente, subito o alla fine, per ogni assassinio precedente. E, soprattutto, se il cessate il fuoco e l’accordo sugli ostaggi si arenano, ne conosceremo il prezzo. Non ci sono scenari più prevedibili di questi, ma Israele festeggia comunque la sua vittoria».

Già questo dovrebbe aprire una riflessione, porre interrogativi e avviare una qualche autocritica se non sulla moralità di certi comportamenti bellici, quanto meno sulla loro efficacia in materia di sicurezza.

Tuttavia, rimarca Levy, «La domanda più importante è la seguente: Quante barbare uccisioni Israele può commettere per eliminare un comandante o due, per quanto mortali e malvagi possano essere. Questa domanda non viene posta in Israele. Se qualcuno osasse sollevarla, otterrebbe la risposta automatica: “quante sono necessarie”».

«Le scene dello scorso sabato pomeriggio a Gaza mostrano il “numero necessario”: l’orrore. Jet da combattimento e droni hanno bombardato al-Mawasi, che l’esercito aveva dichiarato essere l’unico rifugio sicuro per i residenti di Gaza. Per gli israeliani che sono gonfiati dai loro media con un senso di finta vittoria: si tratta di un’area pari a quella dell’aeroporto di Heathrow a Londra, 6,5 chilometri quadrati (circa 2,5 miglia quadrate), affollata da 1,8 milioni di persone che hanno perso tutto.

Naturalmente, non ci sono rifugi antiaerei né case, ma solo tende e sabbia. L’Idf sostiene che l’area bombardata era delimitata e “boscosa” – foreste a Gaza? – e che decine di terroristi sono stati uccisi nel bombardamento, ma le immagini trasmesse al mondo mostrano tende distrutte e bambini che urlano…”».

L’inferno in terra, che l’Unità ha raccontato in questi mesi con testimonianze e rapporti delle più importanti agenzie dell’Onu e Ong internazionali.

Ad al-Mawasi, classificata dall’Idf come area sicura, «gli sfollati di Gaza – ricorda Levy – trovavano riparo dal caldo, dalla sete e dalla fame, ed è qui che i piloti e gli operatori dei droni hanno puntato i loro missili assassini. Il risultato è stato un massacro: 71 morti a partire da sabato pomeriggio, compresi bambini e squadre di soccorso, e il loro numero è destinato a salire. Centinaia di feriti sono stati portati sui cofani di auto strombazzanti, su carretti trainati da asini affamati o tra le braccia di parenti e cari terrorizzati all’ospedale Nasser, semidistrutto, che sembrava un mattatoio. Quasi nulla di tutto questo interessa a Israele. Il prezzo che gli sfollati di Gaza hanno pagato sabato è adeguato? Quanti bambini, medici, donne, anziani e semplici residenti Israele ucciderà per un solo Mohammed Deif? Quanto sangue deve essere versato per l’appetito dei vertici militari e politici di sventolare il successo? Cento morti sono certamente consentiti. Che ne dici di 1.000? Immagino che la maggior parte degli israeliani annuirebbe. 10,000? 50,000? Quanti ne può uccidere Israele prima di considerarlo un crimine ai suoi stessi occhi? Dove si ferma il massacro? La risposta è predeterminata: “Il numero necessario”. In altre parole: non c’è limite”». Così Levy.

Postscriptum. “Gaza sta morendo di sete: è la nuova arma (criminale) della guerra di Netanyahu”. Così l’Unità ha titolato in prima pagina, dando risalto ad un dettagliato rapporto di Oxfam. L’igiene e i servizi igienici sono una delle maggiori problematiche nella Striscia di Gaza. I bambini e le famiglie sono esposti alle acque reflue e ai rifiuti, causando malattie della pelle ed eruzioni cutanee diffuse. “I bambini a Gaza stanno vivendo l’inimmaginabile. Per loro, è essenziale un cessate il fuoco”. È l’allarme tratto dal profilo su X dell’Unicef Mena. A corredo c’è un video straziante che dà conto della sofferenza dei bambini di Gaza. E il mondo sta a guardare.

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