Gli impostori, l’arte dell’inganno

Gli impostori, l’arte dell’inganno

Il Quotidiano del Sud
Gli impostori, l’arte dell’inganno

Gli impostori e l’arte dell’inganno: l’attenzione dei sociologi sulla spiacevole sensazione che si prova nell’essere ingannati

Una delle sensazioni più spiacevoli da provare, tanto a livello individuale quanto collettivo, è certamente quella della consapevolezza di essere stati ingannati. Scoprire che qualcuno abbia perpetrato un inganno – cercato, voluto o meno – alle nostre spalle è qualcosa che ferisce in modo violento. Spesso ponendo le basi per decisioni drastiche e definitive.
La sociologia dell’inganno è un campo di studio che si occupa di analizzare una parte rilevante di questo fenomeno. Con particolare riferimento alle dinamiche sociali e culturali legate all’inganno e alla manipolazione. Diversi studiosi e discipline hanno affrontato temi rilevanti in quest’area, che accomuna la sociologia, la psicologia sociale, l’antropologia e la comunicazione. Erving Goffman, per cominciare, noto per il suo lavoro sulla presentazione del sé nella vita quotidiana, trattando il tema della gestione delle impressioni, esplora esattamente come le persone possano manipolare le proprie presentazioni pubbliche anche per influenzare la percezione degli altri. Il che include, naturalmente, tattiche ingannevoli. Anche le analisi sulla devianza e le “carriere deviate” di Howard Becker includono discussioni sull’inganno e sull’uso di pratiche ingannevoli come parte di stili di vita devianti, allargando così lo spettro delle situazioni nelle quali si possa perpetrare l’inganno a danno di altri.

Alcuni importanti studi antropologi hanno invece esplorato come le diverse culture percepiscono e gestiscono l’inganno, incluso il ruolo di miti, rituali e tradizioni orali nel formare la comprensione dell’inganno. Così come studi sulla propaganda, la pubblicità e i media digitali esaminano come l’inganno è utilizzato per influenzare l’opinione pubblica e manipolare le masse. Un tema questo caro anche a Foucalt, che con i suoi lavori sul potere e sulle tecniche di controllo sociale offre uno spaccato conoscitivo molto rilevante per comprendere come le informazioni e la verità possono essere manipolate per esercitare il potere. E se il sociologo statunitense David Riesman ha analizzato come i cambiamenti nella struttura sociale influenzano il comportamento individuale, inclusi aspetti di conformismo e manipolazione sociale, diversi studi di psicologia sociale hanno esplorato temi come la dissonanza cognitiva, la conformità e la persuasione, tutti rilevanti per comprendere le dinamiche dell’inganno.

Ma negli studi di carattere sociologico, molta attenzione è naturalmente riservata alle forme di inganno collettivo, attutate quasi sempre per questioni legate all’esercizio del potere. A partire dal sociologo francese Jacques Ellul, che trattando del tema politico della Propaganda ha analizzato già negli anni ’60 del secolo scorso come la stessa può essere utilizzata per influenzare il comportamento collettivo e plasmare le percezioni della realtà. Una situazione che l’avvento dei social ha riproposto in maniera certamente amplificata, come è possibile notare anche in questi tempi difficili. Tema questo caro anche a studiosi come Noam Chomsky e Edward Herman, che a loro volta hanno esplorato come i media possono essere utilizzati per manipolare l’opinione pubblica e mantenere il controllo sociale.

Sul tema della manipolazione collettiva a fini politici esistono peraltro numerosi filoni di analisi, a partire dagli scritti di David Icke, che ha ampiamente scritto su come gruppi di élite possono manipolare la realtà per il controllo sociale, influenzando le percezioni collettive delle comunità, oppure quelli di Graham Hancock, che ha a sua volta esplorato temi di inganno collettivo e manipolazione della conoscenza nel contesto delle sue ricostruzioni storiche delle società anche antiche. D’altro canto, con la sua teoria della dissonanza cognitiva, Leon Festinger ha spiegato come le persone reagiscono quando vengono confrontate con informazioni che contraddicono le loro credenze preesistenti, un meccanismo che può portare all’accettazione di inganni collettivi.
Strettamente intrecciati con l’approccio sociologico, gli studi di Psicologia delle Masse, a partire da Sigmund Freud, che nei suoi scritti esamina come le dinamiche di gruppo influenzino il comportamento individuale e collettivo, mentre Gustave Le Bon esplora come gli individui, all’interno di una massa, possono essere influenzati e manipolati, arrivando ad una situazione di possibili comportamenti collettivi irrazionali.

Uno degli esempi storici forse più importanti nella prospettiva di un inganno su larga scala tramutatosi in isteria collettiva è probabilmente quello noto come l’episodio della Caccia alle Streghe di Salem  nel 1692-1693. Questo evento ha coinvolto una serie di processi per stregoneria che hanno avuto luogo nella colonia di Massachusetts, in cui un clima di paura e isteria collettiva ha portato all’accusa e alla condanna di numerose persone innocenti. Nella località degli Stati Uniti allora denominata Salem Village (ora Danvers), Massachusetts, nel 1692 tutto iniziò con una serie di strani comportamenti e malesseri manifestati da alcune ragazze del villaggio. I sintomi includevano convulsioni, grida incontrollate e comportamenti apparentemente inspiegabili.
Questi sintomi furono attribuiti a stregoneria, in parte a causa delle credenze puritane prevalenti e della paura del soprannaturale. Le ragazze accusarono diverse persone della comunità di essere streghe. Le accuse si basavano spesso su prove inconsistenti o su confessioni ottenute sotto pressione e generarono un clima di isteria che si diffuse rapidamente, un clima di paura e sospetto che portò all’arresto e al processo di oltre 200 persone. Alla fine, 19 persone furono impiccate, una persona fu schiacciata a morte sotto dei massi, e molte altre morirono in prigione.

Ma la storia degli inganni collettivi è ricchissima di episodi differenti, che spaziano dalla volontà di ricchezze economiche a quella di ritagliarsi un ruolo preciso nel governo di una comunità. È una storia che si sviluppa, per esempio, attraverso il presunto sbarco su Marte nel 1835, la frode dei diari di Hitler una quarantina d’anni addietro, fino al Protocollo dei Savi di Sion, un testo falsificato all’inizio del XX secolo, presentato come il resoconto di un complotto ebraico per dominare il mondo.
Sì, perché un capitolo a parte nella storia degli inganni collettivi è scritto anche sul tema delle teorie del complotto, attorno alle quali hanno per esempio scritto Michael Barkun, spiegando come possono diffondersi nelle comunità e influenzare la percezione collettiva della realtà, oppure Cass Sunstein e Adrian Vermeule, che nel loro articolo “Conspiracy Theories: Causes and Cures”, discutono di come le teorie del complotto emergono e si diffondono all’interno delle società.

Una storia lunga e ricchissima, insomma, che continua imperterrita anche ai giorni nostri, alimentata da una rete comunicativa gestita anche per mezzo dei social che giocano un ruolo decisivo nel processo di radicamento di notizie false e inganni collettivi importanti e pericolosi, con il solo scopo di creare un clima sociale ritenuto poi favorevole all’emanazione di norme che potrebbero consolidare posizioni di potere. Esemplare per esempio in questa complessa vicenda di intrecci, la notizia che ha tenuto banco per moltissimo tempo durante lo svolgimento delle ultime Olimpiadi a proposito del sesso biologico di alcune atlete che hanno gareggiato.
Le domande allora diventano queste: ma perché la gente comincia a credere a qualcosa apparentemente impossibile? Cosa c’è alle spalle di questo atteggiamento? Si tratta naturalmente di qualcosa di molto complesso, che può essere spiegato attraverso diverse teorie e fattori psicologici, sociali e culturali, a partire dai cosiddetti bias cognitivi. Le persone tendono a cercare, interpretare e ricordare informazioni in modo da confermare le loro preesistenti convinzioni.

I bias di conferma possono portare gli individui a dare più peso alle prove che supportano una credenza impossibile e a ignorare quelle contrarie. Ma un ruolo lo gioca anche la cosiddetta euristica della disponibilità: le persone giudicano la probabilità di eventi in base a quanto facilmente possono ricordare esempi di tali eventi. Se un’idea o una narrazione è molto diffusa nei media, diventa più “disponibile” nella memoria e sembra più credibile. Questo conforta la tendenza all’influenza sociale che sfocia nel conformismo. Le persone tendono a conformarsi alle credenze e ai comportamenti del gruppo a cui appartengono. Se un’idea impossibile è largamente accettata nel gruppo, gli individui possono accettarla per sentirsi parte del gruppo ed evitare l’isolamento sociale. Peraltro, le dichiarazioni fatte da figure di autorità o esperti percepiti possono essere accettate senza un’analisi critica. Se una fonte autorevole sostiene una credenza, molte persone la accetteranno come vera.

Un ruolo importante lo gioca anche l’aspetto emotivo. Le credenze anche false e non verificate spesso offrono spiegazioni per fenomeni che altrimenti potrebbero sembrare incomprensibili (quando non addirittura spaventosi). Accettare una spiegazione, quale che sia, può ridurre l’incertezza e l’ansia. Discorso, questo, che diventa ancora più forte nel caso di situazioni di difficoltà (non solo economica, sia chiaro, ma anche culturale), quando le persone possono essere attratte da credenze che offrono speranza o conforto anche se tali credenze non sono realistiche. Fra l’altro, le persone hanno una tendenza naturale a credere di avere un certo controllo sugli eventi della loro vita.

Le credenze impossibili possono quindi dare l’illusione di un controllo maggiore su situazioni altrimenti incontrollabili, oltre che evitare, come detto, fenomeni di dissonanza cognitiva allorché devono fare i conti con informazioni che contraddicono le loro credenze preesistenti. Per ridurre questo disagio, possono accettare qualunque spiegazione che sembra andare nella direzione di risolvere la contraddizione. Per non dire del ruolo che credenze semplicistiche e poco faticose dal punto di vista del pensiero possono diventare parte integrante dell’identità di un gruppo. Accettarle e promuoverle può rafforzare il senso di appartenenza e solidarietà all’interno del gruppo stesso. Le persone, insomma, possono accettare credenze impossibili come una forma di resistenza contro le narrative ufficiali o dominanti, vedendole come un modo per affermare un’identità alternativa o contestare il potere costituito.

Questi fattori mostrano come le credenze apparentemente impossibili possano sorgere e persistere. La combinazione di bias cognitivi, influenze sociali, fattori emotivi, contesti culturali, dinamiche psicologiche, propaganda e bisogni di appartenenza può rendere tali credenze potenti e pervasive, anche di fronte a prove contrarie.
Lo sapeva molto bene Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del partito nazista di Hitler, al quale è attribuita la teoria secondo la quale bisogna mentire in grande, considerato che una bugia enorme e oltraggiosa è spesso più credibile di una piccola bugia, perché la gente non può credere che qualcuno abbia l’audacia di mentire su una scala così grande.

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