GLI SCISMI E LE DOTTRINE DEI SEPARATI IN CHIESA

GLI SCISMI E LE DOTTRINE DEI SEPARATI IN CHIESA

Il Quotidiano del Sud
GLI SCISMI E LE DOTTRINE DEI SEPARATI IN CHIESA

La storia delle divisioni teologiche (scismi) del cristianesimo, le lacerazioni che hanno condizionato e cambiato la vita non solo della Chiesa ma anche dei non credenti

Nel luglio 2024, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò è stato scomunicato per “scisma” dal Dicastero per la Dottrina della Fede, a causa del suo rifiuto di riconoscere l’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II. Lo scisma – il termine deriva dal greco antico “Schisma”, che significa “divisione” o “frattura”- è un evento “lacerante”: accade però anzitutto nei sentimenti, negli affetti, nell’anima. La Chiesa cattolica, infatti, prima di essere una “organizzazione giuridica governata da un monarca assoluto” è, essenzialmente, una comunione teandrica (umano-divina): “nel gioco salvifico” c’è di mezzo Dio stesso, agape eterna, che ha rivelato il suo volto di Padre, ricco di misericordia, nell’Incarnazione del Figlio, Gesù di Nazareth e, con il Figlio suo, ha mandato lo Spirito santo per abitare nel cuore dei fedeli ed esserne la forza interiore che anima il dono della propria vita in gesti d’amore corporei, attraverso i quali si offre testimonianza alla fede.

LA CHIESA COMMUNIO FIDELIUM

Già prima del Concilio Vaticano II, R. Guardini poteva affermare: «un processo di incalcolabile portata è iniziato: il risveglio della Chiesa nelle anime […] Le profonde formule della teologia tornano a rivelare l’enorme importanza che hanno per la vita spirituale di ogni giorno». La Chiesa è pertanto “comunione di persone”, communio fidelium. Ciò significa che lo Spirito si comunica alla Chiesa solo attraverso le persone, agendo attraverso quanti si aprono alla sua azione e diventano testimoni del Vangelo. Da qui nasce un “nuovo popolo di Dio” che supera qualsiasi riferimento etnico alla razza o ideologico alla classe sociale. Se uno scisma è una divisione, la lacerazione è una ferita che raggiunge queste misteriose profondità della comunione in cui consiste la Chiesa, benché riflettano esteriormente le tensioni interne alla Chiesa cattolica riguardo a questioni dottrinali, liturgiche e di autorità. 

GLI SCISMI NELLA CHIESA: IL GRANDE SCISMA DEL 1054

Non è mai questione di parole o di nomi, oltre ogni apparenza. Prendiamo l’esempio dello scisma di Oriente noto anche come Grande Scisma, che nel 1054 divise in due l’unica Chiesa cristiana: la Chiesa cattolica occidentale e la Chiesa ortodossa orientale. È uno scisma che ancora perdura. Il Patriarca Fozio proclamò la famosa “tessera” dell’ortodossia: “dal solo Padre”. Intendeva affermare contro i fratelli latini che “lo Spirito santo procede solo dal Padre e non dal Figlio”. La questione dottrinale è denominata appunto Filioque. Gli Occidentali avevano cominciato a recitare il Credo (solennemente nella messa famosa di intronizzazione di Carlo Magno) aggiungendo la formula Filioque nella parte che riguardava la processione dello Spirito santo, stabilita dal Concilio di Costantinopoli del 381. Effettivamente in quel Concilio il Filioque non c’era.

Perciò, la Chiesa orientale non accettò questa modifica, ritenendola non conforme alla tradizione apostolica. Per il latini invece, la dottrina era “tradizionale” perché fondata biblicamente in molti passaggi del Vangelo nei quali il legame tra la missione dello Spirito santo e la missione del Figlio è strettissima: Gesù annuncia che dopo di Lui verrà un altro consolatore, che “prenderà del mio e ve lo darà”; per Gesù, lo Spirito che verrà dopo la sua ascesa in cielo, “porterà i credenti alla verità intera” (ma la verità intera è Gesù: “Io sono la via la verità e la vita”); infine, la missione dello Spirito è quello di forgiare la vita di Gesù nei cristiani, e attraverso i cristiani di universalizzare la “salvezza di Cristo” nel mondo.

IL NODO DEL FILIOQUE

Perciò, per gli Occidentali, Costantinopoli ha omesso il Filioque, ma il Filioque era “implicito”, perché sarebbe dentro la dottrina evangelica che non è mai un insegnamento intellettuale, ma è storia della salvezza, dunque modo di vivere una nuova vita, animata dalla presenza dello Spirito santo che dal di dentro urge l’amore tra i fratelli, la comunione nella pace delle comunità cristiane e la testimonianza martiriale alla giustizia e alla verità.

È possibile, tuttavia, per questioni di “modi dire”, di “forme espressive” dell’unico mistero trinitario, dividersi tra fratelli, irrimediabilmente? Cosa c’è davvero sotto? C’è il modo con cui il mistero della Chiesa si incarna nel mondo. Y. Congar, teologo cattolico che partecipò come consulente al Concilio Vaticano II inviò al suo collega ortodosso Losky un biglietto con una citazione di san Tommaso d’Aquino in cui il “sommo teologo” evidenziava come nella questione del Filioque c’è in gioco il primato del sommo Pontefice, il vescovo di Roma, che essendo successore dell’apostolo Pietro è “capo del collegio apostolico”, portando su di sé la “sollicitudo omnium ecclesiarum” con un primato non tanto di onore, ma dotato di giurisdizione. In fondo, questo biglietto di Congar sembrava consolare Losky che accusava la Chiesa cattolica romana di eresia filioquista.

LA FRATTURA MAI SANATA

Il Patriarca d’Occidente poteva essere “il primo”, ma solo il “primo tra pari” (primus iter pares). Incettabile per la Chiesa latina. Si tratta, dunque, del modo di essere presenti nel mondo nella testimonianza evangelica, in quanto Chiesa carismaticamente configurata e gerarchicamente organizzata, il vero motivo dello scisma e non tanto la dottrina trinitaria su cui per altro in alcuni Concili, detti di riconciliazione, (penso a quello di Firenze del 1439) si misero pure d’accordo.

La receptio non avvenne però nel popolo di Dio – la frattura non è mai stata completamente sanata – perché la questione non era nominalistica. Riguardava il modo in intendere la salvezza che Gesù Cristo ha portato nel mondo e realizza attraverso la comunione della Chiesa. Le due Chiese svilupparono tradizioni teologiche, liturgiche e amministrative separate, influenzando profondamente la storia religiosa e culturale dell’Europa e del Medio Oriente. Le alleanze politiche e le rivalità tra l’Impero bizantino e i regni occidentali contribuirono ad acuire le tensioni, spesso a fomentarle, rendendo possibili la frattura della cristianità e la sua durata nel tempo.

GLI SCISMI NELLA CHIESA: L’INTRUSIONE DELLA POLITICA

L’intrusione della politica e dei problemi cosiddetti temporali, nelle questioni ecclesiali, rafforza le polarizzazioni e orienta gli attori della lite a mantenere le proprie posizioni scismatiche. Si pensi a “Io qui sto e non mi smuovo” di Martin Lutero. È legittima una domanda: cosa sarebbe stato lo scisma luterano senza l’appoggio dei “principi tedeschi” i quali si opponevano strenuamente al tentativo dell’imperatore Carlo V di unificare l’impero, valorizzando proprio il cattolicesimo – la “comunione cattolica” – come forza unificante?

La Riforma protestante riuscì in Germania perché venne asservita agli scopi di autonomia politica dei principati tedeschi, perciò sotto l’adagio – “la religione del re è la religione del popolo”- si diffusa ampiamente: Lutero nel 1517 pubblicò le sue 95 tesi a Wittenberg, criticando alcune pratiche simoniache come la vendita delle indulgenze, sosteneva che la salvezza fosse un dono gratuito di Dio, ottenibile solo attraverso la fede, senza bisogno delle opere buone o dell’intercessione della Chiesa.

L’IMPATTO DELLA RIFORMA SULLA SOCIETÀ EUROPEA

La Riforma ebbe un impatto profondo sulla società europea, segnando la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna. Non tutti i mali vengono per nuocere, si dice. La Controriforma, infatti, con il Concilio di Trento fu “occasione provvidenziale” (si dice Kairòs= tempo propizio), per una nuova autocoscienza della Chiesa, per una “verifica pastorale” che puntasse a recuperare la spiritualità del Vangelo e rilanciasse l’evangelizzazione, attraverso – solo per fare un esempio- l’istituzione dei “seminari”, quali luoghi formativi del clero.

La reazione al luteranesimo comportò una maggiore consapevolezza della sacramentalità della Chiesa, oltre ogni soggettivismo nell’interpretazione della Scrittura, scoprendo l’importanza della gerarchia della Chiesa fondata sul sacramento dell’ordine, per la celebrazione del sacramento dell’eucarestia che doveva essere vissuta in un sano “realismo” come memoriale dell’evento di morte e risurrezione di Gesù Cristo e non solo come “ricordo della sua ultima cena”. Negli scismi si parte sempre dalle critiche (doverose) a “comportamenti morali” di chierici e laici, poi però si discutono questioni dottrinali (problematiche), per arrivare infine al vero grande problema – soggiacente ad ogni scisma- la disobbedienza ecclesiale (inammissibile), nel voler riconoscere il “primato del Pontefice romano”, discusso e contestato genericamente come “centralismo romano” (Papa e Curia romana).

La scomunica è prassi ordinaria e viene comminata per tanti motivi, per Apostasia (=abbandonare pubblicamente la fede cattolica), per Eresia (promuovere pubblicamente dottrine contrarie alla fede cattolica), per Scisma (=rifiutare l’autorità del Papa e separarsi dalla Chiesa cattolica). Si deve sapere per altro che la scomunica non è vista come una punizione definitiva, ma come una misura correttiva con l’obiettivo di portare la persona al pentimento e alla riconciliazione con la Chiesa.

GLI SCISMI NELLA CHIESA: I CASI CONTEMPORANEI

Rispetto ai grandi scismi del passato, quelli contemporanei – quello all’arcivescovo Marcel Lefebvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X e anche quello di Viganò, per esempio, non menzionando qui lo scisma della Chiesa cinese (1957) – sono collegati alle riforme del Concilio Vaticano II, in particolare quelle riguardanti la liturgia e l’ecumenismo. Hanno qualcosa di curioso, per la loro matrice “vacantista”: i vacantisti credono nell’infallibilità pontificia e nel primato del Papa, ma non riconoscono questi attributi ai papi post-conciliari; alcuni di loro considerano papa Pio XII (morto nel 1958) l’ultimo papa legittimo, mentre altri accettano Giovanni XXIII (morto nel 1963) ritengono che i papi successivi abbiano aderito all’eresia del modernismo e, quindi, la sede papale sia vacante.

Il loro rifiuto coglie il cuore della riforma della Chiesa cattolica avvenuta con il Concilio Vaticano II. Il resto sono dettagli pretestuosi. Ciò che di fatto si nega in modo radicale è l’utopia di una comunione ecclesiale che promuova la “civiltà dell’amore” nella fratellanza universale e nell’amicizia sociale (Cfr., Fratelli tutti di Papa Francesco).

IL CAMBIAMENTO È AVVENUTO E NON SI TORNA INDIETRO

Il cambiamento ormai è avvenuto e non si torna indietro, se non per incarnare sempre meglio il Vangelo: la Chiesa che “si desta nelle anime”, come auspicava Guardini la Chiesa, ora è percepita meno come societas perfecta e più come “corpo mistico di Cristo”, in cui ogni persona è una “cellula viva” (1 Cor 12,12) che intrattiene con gli altri un rapporto di comunione interiore e non una relazione formale e solo giuridica; la comunità viene maggiormente sentita e vissuta senza per questo restare chiusa in se stessa, anzi aperta e in dialogo con gente e movimenti anche di altra ideologia, nella comune responsabilità per le questioni calde che affliggono l’umano. L’apertura della Chiesa è anche ricerca di un rapporto con chi crede diversamente (protestanti, ortodossi), con chi crede in Dio (non cristiani), ma anche con i non credenti tout court, con i pagani, con coloro che erano ritenuti “fuori”.

L’APERTURA DELLA CHIESA

Insomma, la Chiesa non è più come “un fortezza nel mondo”. Un nuovo amore e una nuova fiducia nella Chiesa porta anche il Magistero a cercare “ciò che unisce e non ciò che divide” (Giovanni XXIII): nella convinzione che tutto questo non indebolisce la Chiesa, ma le dà nuovo slancio missionario per costruire la “civiltà dell’amore”.

Il “mondo”, infatti, non è solo ciò che è estraneo ed ostile, e per il quale il cristiano non deve avere amore: «se uno ama il mondo non è in lui l’amore del Padre» (1 Gv 2,15). Il “mondo” è anche l’oggetto della cura amorevole del Padre, il quale «ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito» (Gv 3,16), mentre all’uomo, sin dalla Genesi, ne ha affidato la responsabilità e la cura (Gen 2,15). Tutto questo mondo e le società in cui la Chiesa vive – in tutti i settori e in tutte le dimensioni dell’esistenza storicizzate dell’uomo- sono il campo della missione e della testimonianza cristiana.

Il Messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato – Agisci e spera con il creato- del 1° settembre 2024 ha dimostrato come l’impegno a realizzare la fratellanza universale e l’amicizia sociale non è solo etico, ma eminentemente teologico: si tratta infatti della “rivelazione dei figli di Dio” che anche il creato attende, gemendo come nelle doglie del parto (cfr., Rm 8). È questa è utopia e non utopismo: accadrà, oltre ogni scisma, perché in questa testimonianza non solo soli. Sono infatti cristiani, in quanto abitati dallo Spirito santo e urge da dentro di loro la vera carità.

*Vescovo, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia

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