I BRUTTI SINTOMI DEL PERBENISMO

I BRUTTI SINTOMI DEL PERBENISMO

Il Quotidiano del Sud
I BRUTTI SINTOMI DEL PERBENISMO

I brutti sintomi del perbenismo, da non confondere con il conformismo: due modi di vivere l’appartenenza a un gruppo con conseguenze molto diverse

Talvolta può indurre in errore, confondendosi con una generica forma di conformismo sociale, dove l’apparenza di rispettabilità è più importante dell’autenticità dei comportamenti e delle intenzioni. Ma non è sempre vero, anzi. Spesso, chi persegue un atteggiamento perbenista è in realtà una persona che giudica e critica gli altri per il loro comportamento, mentre si sforza di presentare sé stessa come moralmente superiore.

Nell’immaginario collettivo, il termine “perbenismo” indica un atteggiamento o un comportamento che ostenta una moralità e una rispettabilità eccessive, spesso in modo ipocrita o non sincero. Questo atteggiamento si manifesta attraverso il rispetto rigoroso delle convenzioni sociali e delle norme morali, spesso con un’eccessiva enfasi sulla correttezza formale e una mancanza di tolleranza verso comportamenti considerati “devianti” o “inappropriati”.
Possiamo riassumere in quattro indicatori le caratteristiche principali del cosiddetto perbenismo.

In primis la moralità ostentata vale a dire mostrare eccessivamente la propria moralità, spesso per ottenere approvazione sociale. In aggiunta, il conformismo, cioè l’adesione rigida alle norme sociali e morali senza mettere in discussione la loro validità. Ancora, l’ipocrisia, tipica di chi si comporta in modo moralmente corretto in pubblico, ma agisce diversamente in privato. Infine, non meno importante, l’aspetto del giudizio, ovvero criticare e giudicare severamente chi non rispetta le stesse norme morali o sociali. Gli esempi di perbenismo potrebbero essere moltissimi, sia a livello individuale che di gruppo.

A partire dalla politica, con qualche personaggio che parla incessantemente di valori morali e familiari, ma che viene poi scoperto a comportarsi in modo contrario a questi valori, fino a qualche gruppo sociale che si fa vanto del fatto di essere inclusivo e tollerante, ma che emargina chi non si conforma ai suoi standard. Ma vanno qui annoverate anche tutte quelle persone che criticano aspramente i comportamenti “scorretti” degli altri, ma che trascurano o nascondono le proprie mancanze. Il perbenismo è insomma un fenomeno complesso che riflette le tensioni tra l’apparenza e la realtà, tra la conformità sociale e l’autenticità personale.

La critica al perbenismo spesso mette in luce l’importanza di vivere in modo autentico e di accettare le differenze degli altri senza giudizio, e a volte emerge direttamente dalla cultura popolare. Basta pensare alla letteratura e al cinema, con molti romanzi e film che hanno esplorato proprio il tema del perbenismo, mostrando le contraddizioni e le ipocrisie della società, spesso rappresentandolo attraverso personaggi che ostentano una falsa moralità, solo per essere smascherati. Trattandosi di un tema di così vasta portata – e che riguarda moltissimi aspetti della vita quotidiana delle persone – gli studi che hanno dedicato attenzioni al tema del perbenismo e ai suoi effetti sono naturalmente moltissimi.

All’inizio del nuovo millennio, per esempio, Monin e Miller nel loro “Il riconoscimento morale e la razionalizzazione della cattiva condotta” esaminano  come le persone possano usare la propria buona condotta morale come “credito” per giustificare comportamenti eticamente discutibili successivi, un fenomeno questo certamente correlato al perbenismo. Lo psicologo statunitense Robert Cialdini, dal canto suo, analizza come le norme sociali e la pressione conformistica influenzano i comportamenti individuali, spesso portando a una maggiore enfasi sull’apparenza di moralità e correttezza, mentre Irving Janis esplora come il desiderio di conformità all’interno dei gruppi possa portare a decisioni irrazionali e comportamenti ipocriti. Molti anche gli studi che hanno approfondito aspetti legati ad atteggiamenti culturali e diversità.

A metà degli anni ’90 del secolo scorso, Harry Triandis ha analizzato come le diverse culture gestiscono la tolleranza e l’intolleranza, esplorando come il perbenismo può emergere in contesti culturali che enfatizzano proprio la conformità e il rispetto delle norme sociali. Hechter e Opp, invece, hanno analizzato come le norme sociali variano tra culture e come il rispetto di tali norme può portare a comportamenti di facciata che nascondono la vera diversità di opinioni e comportamenti. Come si vede, insomma, una mole di lavori molto interessanti per cercare di comprendere l’atteggiamento perbenista.

Anche la sociologia si è occupata in maniera approfondita di analizzare il perbenismo, attraverso diverse teorie e concetti sociologici che esaminano la moralità, la conformità sociale, l’ipocrisia e la costruzione dell’identità sociale. Nella Teoria del conformismo sociale, per esempio, si esamina come e perché gli individui aderiscono alle norme e ai valori della loro società. Émile Durkheim ha discusso del concetto di “coscienza collettiva”, ovvero il complesso di credenze e valori condivisi che legano insieme una comunità. Il perbenismo può essere visto come un’estensione di questa adesione alle norme sociali, spesso portata all’estremo.

Nel suo libro  La vita quotidiana come rappresentazione Goffman esplora invece come gli individui presentano sé stessi agli altri per gestire le impressioni sociali. All’interno di questa teoria del ruolo, il perbenismo può essere visto come una “performance” in cui l’individuo cerca di apparire moralmente superiore o perfetto agli occhi degli altri, nascondendo le proprie imperfezioni o comportamenti non conformi. Merton ha invece sviluppato la teoria dell’anomia per spiegare come le discrepanze tra le aspettative culturali e le reali capacità degli individui di raggiungere tali aspettative possono portare a comportamenti devianti.

Nel contesto del perbenismo, le persone possono ostentare una moralità eccessiva come risposta alla pressione di conformarsi a standard sociali irraggiungibili. Nelle sue analisi, Giddens ha invece sviluppato la teoria della strutturazione, che esamina l’interazione tra struttura sociale e agenzia individuale. In quest’ottica, il perbenismo può essere visto come il risultato delle pressioni strutturali della società che spingono gli individui a conformarsi a determinati modelli di comportamento, limitando la loro agenzia e autenticità.
Approccio differente quello proposto da Bourdieu nella sua teoria della dominazione simbolica. Bourdieu ha esplorato come le élite culturali utilizzano il capitale simbolico per mantenere il loro potere e legittimità. In questa prospettiva, quindi, il perbenismo può essere interpretato come un mezzo attraverso il quale le persone cercano di accumulare capitale simbolico, presentando sé stesse come moralmente superiori e rispettabili per ottenere riconoscimento e status sociale.

Va comunque detto che, proprio perché la realtà sociale è multiforme e complessa, vi sono anche interpretazioni contrastanti. Ciò significa che, sebbene il termine perbenismo abbia generalmente una connotazione negativa, associata all’ipocrisia e all’ostentazione di moralità, e come tale viene criticato, è altrettanto vero che ci sono studi e teorie che difendono gli aspetti positivi di comportamenti conformi e rispettosi delle norme sociali, interpretabili come forme di perbenismo in senso lato. Secondo la teoria del controllo sociale, il rispetto delle norme sociali e l’adesione a comportamenti conformi (che possono includere aspetti del perbenismo) sono essenziali per mantenere l’ordine e la coesione sociale.

Travis Hirschi  nel suo lavoro “Causes of Delinquency” sostiene che il legame degli individui con la società, attraverso l’adesione a norme e valori condivisi, è fondamentale per prevenire il comportamento deviante. In questo senso, il perbenismo potrebbe essere visto proprio come un modo per rafforzare tali legami e promuovere la stabilità sociale. Dal canto suo, Durkheim ha sottolineato l’importanza delle norme e delle regole sociali per mantenere la coesione sociale e prevenire l’anomia. Dal punto di vista funzionalista, comportamenti che potrebbero essere etichettati come perbenismo potrebbero quindi essere intesi come finalizzati a rafforzare la solidarietà sociale e a stabilire un senso di ordine e prevedibilità nella società.

Anche i numerosi lavori di Putnam che discutono l’importanza del capitale sociale, cioè delle reti di relazioni sociali, fiducia e norme reciproche, per il benessere individuale e collettivo, possono essere orientati in questa direzione. Comportamenti associati al perbenismo, come il rispetto delle norme sociali e l’adesione a valori condivisi, possono contribuire a costruire e mantenere il capitale sociale, promuovendo una maggiore cooperazione e fiducia nella comunità. Ma attenzione anche al livello individuale, perché alcuni studi psicologici suggeriscono che il conformismo e l’adesione a norme sociali che possono includere aspetti del perbenismo, possono avere effetti positivi non solo sulla coesione di gruppo ma anche e soprattutto sul benessere individuale.  L’adesione alle norme sociali potrebbe quindi facilitare l’integrazione sociale e al contempo ridurre l’ansia e l’incertezza in situazioni sociali.

Non bisogna però lasciarsi influenzare da qualche possibile effetto positivo. Perché come ricordato in apertura, il perbenismo coincide solo in parte con il conformismo. Una cosa è accettare norme e valori di un gruppo, di una società, e rinforzare così senso di appartenenza e forme di comunità che hanno, se ben spese, valenze certamente positive, altro è il perbenismo fine a sé stesso. Perché rivela sempre una tendenza a considerare l’altro come moralmente inferiore. Perché introduce distanze che vanno esattamente nella direzione opposta a quella di creare comunità, o perlomeno considerano comunità gruppi talmente esigui da rasentare l’individualismo. Il pensiero perbenista ha avuto manifestazioni – che sono tutt’altro che scomparse, fra l’altro – improntate certamente a considerazioni relative a gruppi (persino individuate come razze, spregiativamente più che con ignoranza) che dovrebbero essere sottomessi, in modo praticamente “naturale”.

Ecco perché serve sempre un modello che cambi radicalmente la trasmissione della cultura. Perché dobbiamo apprendere a come rifiutare scorciatoie mentali che facilitano la presa di decisione di problemi complessi, in favore di un approccio che certamente salvaguardi una forma sana di creare comunità, di considerare confini, di fare gruppo, che rafforzi le nostre identità singole. Senza che, tutto questo, debba necessariamente avvenire prevaricando, giudicando, catalogando. La necessità di catalogazione – che è parte importante del processo scientifico – può tranquillamente essere abbandonata quando ci rapportiamo ad altre persone. La strada è una sola, ed è anche semplice da percorrere. Va nella direzione di vivere in modo autentico e di accettare le differenze degli altri senza giudizio.

Il Quotidiano del Sud.
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