I danni della prova di forza della Meloni sul premierato

RMAG news

Dunque a questo siamo: per la nostra presidente del Consiglio, a proposito della riforma costituzionale sul cosiddetto premierato, “o la va o la spacca!”. Il che è doppiamente sbagliato.

Innanzi tutto è sbagliato in punto di metodo perché contrario a quello spirito costituente che dovrebbe ispirare le forze politiche quando si vuole cambiare la Costituzione così da pervenire a regole condivise e, perciò, durature, come si conviene ad un testo in cui vi sono le fondamenta dei nostri diritti e delle nostre istituzioni democratiche.

Evidentemente il fallimento dei precedenti tentativi di riforma Berlusconi e Renzi non ha insegnato nulla. Con l’aggravante, in questo caso, che Renzi almeno inizialmente il dialogo l’aveva cercato con il cosiddetto patto del Nazareno, poi infranto a seguito dell’elezione di Mattarella (alla quale, secondo Quagliariello, Berlusconi non era contrario).

Qui, invece, l’impressione, rafforzata dalla battuta della Nostra, è che si punti direttamente e speditamente alla prova di forza del referendum costituzionale dell’anno prossimo, confidando nel consenso elettorale.

Un azzardo, appunto, perché il vento elettorale finora in poppa può girare, soprattutto quando si tratta di modificare la Costituzione, tema sul quale gli elettori nutrono storicamente una certa diffidente resistenza.

Resistenza che l’opposizione potrebbero facilmente alimentare utilizzando due carte: l’attacco ai poteri di Mattarella (la personalizzazione non è casuale) e l’abbinamento all’autonomia differenziata, nettamente invisa al Sud.

Poiché nel diritto la forma è sostanza, questo errore di metodo sul percorso di riforma si riflette sul suo merito. Come evidenziato dalla stragrande maggioranza dei commentatori (non solo costituzionalisti) che hanno messo in evidenza i nodi irrisolti della riforma in discussione:

● con quale maggioranza verrà eletto il presidente del Consiglio? A turno unico, come preferirebbe il centro destra, magari con la soglia (incostituzionale) dell’appena 40% dei voti (e non degli aventi diritto)? Oppure, in caso di mancato raggiungimento del quorum, con turno di ballottaggio, come preferirebbe il centro sinistra, per ricompattarsi?

● in che modo al presidente del Consiglio eletto sarà garantita la maggioranza dei seggi in ciascuna delle due Camere, onde evitare quanto accaduto in Israele? Una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza? Oppure riproponendo il Mattarellum, con il 75% dei seggi assegnati con il maggioritario e utilizzando il restante 25% come premio di maggioranza (una sorta di maggioritario al cubo)? Con quante schede si andrà a votare: una unica per Camera, Senato e Premier? Due: la prima per il Premier e una delle due Camere; la seconda per l’altra? Tre: una per ciascuna elezione?

In caso di scheda unica o doppia il voto potrà essere disgiunto o sarà bloccato, per cui si potrà/non si potrà distinguerlo tra Premier e Camere? E che accade se dalle elezioni uscissero Camere con maggioranze politiche diverse/opposte?

Tutte questioni, com’è evidente, strettamente correlate tra loro – alcune delle quali (come il quorum) da risolvere direttamente in Costituzione – e che comunque, in un’ottica di sistema, andrebbero affrontate e risolte contestualmente (non a caso la riforma Renzi era abbinata all’Italicum) e che invece il centro destra rimanda a data da destinarsi solo per coprire le sue attuali divisioni.

Se la legge elettorale sta al premierato come la buccia al frutto, davvero non si comprende perché essa debba essere approvata dopo anziché essere esaminata contestualmente, privando gli elettori (cui tanto ci si appello) di un decisivo elemento di giudizio.

● Dicevamo del voto disgiunto, oggi previsto nelle elezioni comunali e regionali. Se fosse esteso all’elezione diretta del Premier, vi sarebbe il rischio che sia eletto il candidato le cui liste e candidati collegati non solo non hanno ottenuto la maggioranza dei seggi ma che addirittura sono state sconfitte dall’eventuale coalizione avversa.

Il rischio che venga eletto Premier chi ha preso più voti ma meno seggi in una o entrambe le Camere è peraltro già presente, perché il voto dei quasi 5 milioni di italiani iscritti all’Anagrafe residenti all’estero – sulla cui validità a seguito di inchieste penali in passato si è fondatamente dubitato – inciderà molto più della loro rappresentanza parlamentare (12 seggi) fino al punto da poter essere determinanti.

● Infine, se rafforzi politicamente il presidente del Consiglio devi contestualmente rafforzare i cosiddetti contropoteri affinché il sistema rimanga in equilibrio e ciascun potere limiti l’altro.

Il che significa: mettere in sicurezza i quorum che altrimenti potrebbero essere facilmente raggiunti dalla maggioranza di governo per eleggere i Presidenti delle Camere, per modificare le regole del gioco parlamentare; introdurre in Costituzione limiti più rigorosi per limitare il cronico abuso dei decreti legge; dare garanzia costituzionale allo statuto dell’opposizione, consentendo, in tale prospettiva, il ricorso diretto di minoranze parlamentari qualificate alla Corte costituzionale contro leggi ritenute incostituzionali.

Significa soprattutto rafforzare l’autorevolezza e il peso politico dei parlamentari, non più eletti tramite liste bloccate ma attraverso collegi uninominali che permettano agli elettori di giudicarne l’operato affinché non abbia più a ripetersi una delle pagine più vergognose del Parlamento italiano quando affermò che Ruby era la nipote di Mubarak.

Di tutto questo, non c’è traccia negli interventi parlamentari dei deputati del centro destra, salvo – e gliene va dato merito – il senatore Pera cui si deve la messa in sicurezza degli atti di garanzia del presidente della Repubblica, sottratti al potere di controfirma.

L’auspicio è che il radicalizzarsi del confronto sia dovuto all’attuale legge elettorale e che quindi, dopo di essa, maggioranza ed opposizioni possano con minori pregiudizi confrontarsi in Parlamento.

Altrimenti il rischio è, per l’appunto, “o la va o la spacca”. E, visti i precedenti, non è detto che “vada”, aggiungendo così, a causa della mancanza di dialogo, un’ulteriore tappa ai finora inutili tentativi di riforma del debole parlamentarismo italiano.