Il pentito Mantella racconta la masso-mafia

Il pentito Mantella racconta la masso-mafia

Il Quotidiano del Sud
Il pentito Mantella racconta la masso-mafia

VIBO VALENTIA – I rapporti ’ndrangheta-colletti bianchi, la masso-mafia, argomenti particolarmente interessanti quelli affrontato ieri dal pentito Andrea Mantella al maxiprocesso “Maestrale” presso l’aula bunker di Lamezia. Il collaboratore, assistito dagli avvocati Manfredo Fiormonti e Maria Greco, rispondendo alle domande del pm della Dda, Antonio De Bernardo, si è focalizzato in particolare sull’Asp di Vibo e, per quanto riferitogli da Salvatore Tulosai e Paolino Lo Bianco, ha raccontato che “quest’ultimo si avvaleva di professionisti quali Michele Soriano, Michele Comito, Franco Zappia, Fabio Lavorato e Miceli. Il “Licio Gelli” vibonese però è Antonino Daffinà, gestore del potere occulto a Vibo Valentia, insieme al compare Pantaleone Mancuso, alias “Vetrinetta”, che proprio per via dei suoi contatti con lo Stato deviato, veniva soprannominato “Laudonio”, ossia prendeva il nome dell’allora procuratore capo di Vibo”. Per dovere di cronaca c’è da specificare che nessuno di questi personaggi risulta indagato. Referenti di “Vetrinetta” sarebbero stati “oltre al magistrato anche il dott. Alfonso Luciano.

Prima di essere arrestato dall’operazione “Asterix”, il pentito ha raccontato di essere stato informato da “Domenico Bonavota del blitz” e che a riferirlo a questi era stato il “dottore Luciano il quale lo aveva saputo da Laudonio. Io mi trovavo a Pizzo quando ricevetti la telefonata da Paolino Lo Bianco il quale mi disse di recarmi presso la paninoteca “Da Rocco” e, una volta insieme, mi aggiunse di essere stato informato che nella lista degli arrestati c’era anche il suo nome. A quel punto, specificò che in tutti i modi bisognava intervenire attraverso la fazione di “Vetrinetta” e, tramite il dottore Luciano, presso Laudonio, per poterci salvare e mandare in carcere i pesci piccoli. Il piano, però, non andò in porto a causa della presenza dell’allora sostituto procuratore Peppe Lombardo”.

Restando sulle figure dei sanitari, il collaboratore ha evidenziato che nell’ospedale di Vibo Valentia, secondo quanto riferitogli sempre da “Lo Bianco e Tulosai”, Pantaleone “Vetrinetta” si “appoggiava al primario di chirurgia Miceli e al cardiologo Michele Comito, quest’ultimo legato a Daffinà. Miceli si mise a disposizione in occasione del mio finto ricovero in ospedale per farmi evitare il carcere, mentre da Comito – ha specificato il teste – non ho personalmente mai ricevuto alcun favore, mentre Carmelo Lo Bianco sì perché lui si metteva a disposizione quando occorreva”.

LA MORTE DI FEDERICA MONTELEONE E LA PRESUNTA COPERTURA DELLA MASSO-MAFIA

Nei racconti di Andrea Mantella anche la dolorosa vicenda della morte di Federica Monteleone, avvenuta il 26 gennaio del 2007, dopo le complicazioni di una operazione di appendicectomia all’ospedale di Vibo di una settimana prima, e il teste parla del sistema di masso-mafia che si sarebbe messo in moto per coprire i responsabili: “Quando vi fu la morte di Federica Monteleone, per proteggere gli errori fatti si mise in atto una rete di copertura. Luciano, “Vetrinetta” e Pasqua si attivarono per far fare delle consulenze che escludessero responsabilità dei dottori e della ditta che aveva eseguito l’impianto elettrico in modo tale da non far risultare la presenza del cortocircuito. E questo me lo riferì Paolino Lo Bianco che lavorava in ospedale e sapeva tutto. Pasqua e Luciano, tra l’altro “fratelli” di loggia massonica, erano consapevoli che questa azione di insabbiamento era stata chiesta dal clan Mancuso. Si erano attivate e, per quanto ho contezza, hanno salvato il salvabile”.

MANTELLA, LA MASSO-MAFIA E FRANCESCO MASSARA

Sull’ex dirigente del servizio veterinario dell’Asp, Andrea Mantella ha riferito di aver “avuto buoni rapporti”, aggiungendo che “fu uno di quelli che mi aveva avvisato che la Guardia di Finanza, su mandato dell’allora procuratore di Vibo, Mario Spagnuolo, andò nel suo ufficio per acquisire alcuni documenti sui bovini che avevo nelle mie stalle e che sdoganavo in Francia, avvertendomi di stare attento poiché avrebbero potuto sequestrarmi tutto”; inoltre “mi chiese sostegno elettorale non mi ricordo per quale occasione e quindi delegai qualcuno per cercargli voti”.

L’imputato, vittima “di atti intimidatori”, sarebbe stato poi “intimo amico di Armando, Domenico e Ottavio Galati di Comparni”, ed avrebbe avuto rapporti con “Giuseppe Accorinti che in una circostanza voleva picchiarlo nel suo studio perché non gli aveva evaso una pratica di macellazione di alcuni bovini e fu lo stesso Massara, nel 2010, a raccontarmelo perché in quel periodo lo frequentavo sistematicamente”.

BOCCARDELLI

Questi era “un massone di una loggia coperta”, ha raccontato il collaboratore che insieme a questi e al boss Diego Mancuso ha condiviso un periodo detentivo nel 2015: “A vederlo sembrava una persona trasandata e ricordo che stava notte e giorno con Diego Mancuso a giocare a carte e al quale diceva che quando sarebbe stato scarcerato, sarebbe andato a vivere in Calabria”. Diego Mancuso che il pentito copriva quando questi doveva chiamare col cellulare: “Tossivo quando vedevo che un operatore si stava avvicinando”.

MANTELLA, LA MASSO-MAFIA E VITO PITARO

Sull’ex consigliere regionale, avvocato del Foro di Vibo, Andrea Mantella ha affermato essere “un massone politico che fa parte di una loggia particolare, occulta, e su questa persona dovete fare degli approfondimenti”, ha detto, annunciando al pm di “essere a disposizione in tal senso”.

L’ASSUNZIONE E L’APPROCCIO PER INTERPOSTA PERSONA CON BRUNI

La vicenda prende spunto dalla foto della moglie di Salvatore Galati e madre di Fortunato. Andrea Mantella ha infatti raccontato di essersi “impegnato presso l’allora presidente della Provincia per farle avere un contratto migliore finalizzato a consentirle di sostenere le spese personali e familiari visto che marito e figlio erano detenuti”. Furono comunque due i canali: da un lato “Armando Galati si rivolse a Paolino Lo Bianco e questo perché lui era inserito nell’ambito della sanità e, avendo conoscenze con ambienti della masso-mafia – secondo Mantella – era più facile ottenere risposte. Lui tra l’altro era inquadrato come ascensorista ma in realtà l’ascensore non l’ha mai usato perché aveva attacchi di panico”.

A sua volta, il pentito, che ha riferito di aver appreso della vicenda in questione dalla cugina Marina Morgese, mamma di “Mommo” Macrì, aveva attivato i suoi canali “alternativi interessando per interposta persona l’allora presidente Bruni; con Domenico Cugliari, alias “Micu i Mela” sono andato a trovare a Sant’Onofrio l’ingegnere Ruffa che faceva da ponte con il presidente dell’Ente. Tra l’altro, la figlia di Bruni era fidanzata con Francesco Fortuna tant’è che quando catturarono quest’ultimo, dopo un periodo di latitanza, la trovarono con lui all’interno di un appartamento. Quindi, per via di questo legame sentimentale, il presidente Bruni si metteva a disposizione con il gruppo dei Bonavota”.

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