Il piano segreto di Sinwar per sfuggire agli attentati di Israele: “Morirò insieme agli ostaggi”

RMAG news

Partiamo dall’ultima ora. Che cosa sta accadendo mentre scriviamo questa nota nei due punti dove si sta decidendo della vita e della morte di tanti innocenti: uno, il sancta sanctorum della Gaza sotterranea; due, il bunker intangibile del governo di Tel Aviv.

A Rafah, Yahya Sinwar – ci viene riferito da una fonte prossima al suo gruppo di fedelissimi – è come sempre pronto a tutto, sa che i margini per non finire martire con tutta la sua famiglia si fanno ristrettissimi. Ma non vuole liquidare sé stesso e i propri cari a poco prezzo. Si porterebbe dietro tutti gli ostaggi e quanti nemici oserebbero affacciarsi nei suoi pressi. Indossa un giubbotto esplosivo ad alto potenziale così come il figlio maggiore Ibrahim e suo fratello e vicecapo Muhammed; ci sono presso di lui anche la moglie e gli altri due figli. Si è assicurato che con lui muoiano tutti i circa cinquanta-cinquantacinque ostaggi sopravvissuti. Stavolta è infatti sicuro – dopo i segnali che ritiene di aver dato sia alla Cia sia a Netanyahu – di riuscire a ottenere obbedienza anche dalla restante galassia guerrigliera di Hamas, ma non solo di Hamas (Jihadisti, Fatah), che si era frantumata in fazioni con capi e capetti convinti di poter salvare la pelle ciascuno grazie al proprio patrimonio di sequestrati.2. Yahya è diviso tra due sentimenti contrastanti. Il furore: per essere stato a suo giudizio ingannato, e oltretutto reso ridicolo descrivendolo come travestito da donna (ciò che è vietato dal Corano). L’euforia: per aver provocato la ribellione di buona parte degli israeliani al loro premier, gettando tra i piedi del suo arcinemico Bibi Netanyahu i sei ostaggi assassinati con un colpo in testa. Li ha fatti ritrovare con il sigillo dell’esecuzione secondo i rituali di Hamas. Lo ha fatto per mandare un ultimatum scritto con il sangue non solo allo Stato ebraico, ma soprattutto – uccidendo un prigioniero specialissimo – a Joe Biden e alla Cia. Gli americani avevano garantito – sostiene Sinwar – che le cose sarebbero andate in modo diverso per un patto intrecciato a luglio.I sei giustiziati appartenevano al gruppo di una trentina di ostaggi che il capo militare e politico di Gaza ha selezionato tra tutti gli ostaggi radunati nei tunnel sin dal 7 ottobre: la crème dei prigionieri, quelli ritenuti più preziosi, “merce pregiata”, perché individuati quali militari o agenti sotto copertura di Israele ma anche della Cia. Tra essi, eccolo il prigioniero speciale: Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, ebreo americano, con doppio passaporto. Ha perso un braccio nel blitz per difendere un amico. Non è scappato, un eroe di sicuro. I terroristi l’hanno curato con devozione, prima, e poi torturato sapendolo agente operativo della Cia. Era nell’elenco che l’intelligence Usa ha consegnato a luglio ai delegati di Sinwar.

3. Perché Sinwar si ritiene tradito, e dunque in diritto di farla pagare al capo nemico e al suo primo alleato, abbattendo come agnelli persone inermi? Costoro erano nella lista di coloro che avrebbero dovuto essere rilasciati, secondo accordi presi con americani e qatarini nel corso del mese di luglio, in cambio di quel che poi doveva accadere e non è accaduto.

4. I lettori ricorderanno quanto raccontato – non smentito e non confermato da organi governativi perché appartiene al novero di “ciò che non deve esistere” – sulle prime pagine dell’Unità in una serie di articoli a partire dal 29 giugno. Hamas aveva catturato, nel corso di una incursione finita male, una dozzina di unità delle forze speciali americane in missione per trarre in salvo alcuni ostaggi relegati nei tunnel. Era seguita una trattativa, che aveva avuto successo sì, ma monco.

I soldati del commando Usa erano stati consegnati agli egiziani e portati a casa dalla Cia (il successo), ma c’era un secondo atto che effettivamente la Cia ha provato a realizzare, ma poi ha desistito. L’agenzia statunitense si sarebbe dovuta fare parte diligente per realizzare uno scambio tra reclusi palestinesi – tra cui i due Barghouti – e i circa cento ebrei in cattività a Gaza, attuando una definitiva tregua per Gaza. Con la garanzia americana davanti al mondo che le truppe israeliane sarebbero uscite dai territori palestinesi, compreso il corridoio di Philadelphia che collega la Striscia all’Egitto. E l’impegno formale ad evitare qualsiasi futuro attacco aereo o missilistico.

5. Gli americani hanno provato a convincere Israele? Sì. L’esercito e i servizi militari oltre che lo Shin Bet (intelligence interna) erano d’accordo. Il premier Bibi Netanyahu no, con il Mossad a cavallo tra le due posizioni. Ha vinto Netanyahu. Ha attaccato Teheran e Beirut con due omicidi mirati dei numeri due di Hamas (l’inutile Ismail Haniyeh) e di Hezbollah (il potente Fuad Shukr). Gli Usa hanno consegnato per dimostrare la loro buona volontà le spie del Mossad agli ayatollah.

6. Sinwar ha preso atto che l’Iran e i suoi alleati sciiti, questi ultimi a malincuore, dopo aver agitato la spada, l’hanno ringuainata. I suoi servizi gli hanno fatto sapere che sia Usa sia Qatar e persino l’Iran concordavano nella necessità di far fuori il più spietato tra i terroristi palestinesi, cioè lui, Yahya, colto e puro, il più furbo e il più crudele, convinti che in tal modo sarebbe tutto finito, e avrebbero affidato agli Emiratini la ricostruzione e la sicurezza della Striscia, lasciando fuori Israele. E questa volontà perché pagasse uno solo aveva trovato acquiescenti anche molti appartenenti al consiglio di Hamas e sui pianeti e pianetini della galassia jihadista.

7. Biden e Harris hanno bisogno della pace, o almeno di una tregua durevole in Terra Santa. In chiave elettorale, ovvio. Questo esigeva di mantenere almeno una parte dell’accordo stipulato a luglio con Hamas. La tregua umanitaria. Il minimo sindacale comprendeva anche l’abbandono del corridoio detto di Philadelphia che separa la Striscia dall’Egitto. Del resto, anche la vita degli ostaggi dipende dall’apertura di quel canale per far arrivare viveri e medicinali, date le condizioni di assoluta penuria in cui vivono sia i carnefici che le vittime

8. O si apre quel corridoio o tanto vale farsi saltare tutti per aria. Sinwar ha deciso allora di sottoporre a un esperimento il nemico. Tra i prigionieri sotto il suo diretto controllo ce n’era uno che egli considerava in fondo un buon musulmano, bigotto come lui, Quid Faran al-Qadi. Lo vedeva pregare cinque volte al giorno Allah, un beduino israeliano, un dipendente di kibbutz. Ha deciso di liberarlo, gesto simbolico. Lo ha fatto ritrovare. Il ministro della Difesa Yoav Gallant e i servizi segreti interni capeggiati da Ronen Bar hanno protestato a gran voce quando Netanyahu giovedì notte ha fatto votare il consiglio di guerra che mai e poi mai avrebbe consentito di abbandonare il corridoio, e anzi, avanti con le incursioni anche durante le vaccinazioni antipolio.

9. Gli sventurati ebrei giustiziati, tutti giovani, nessuno di essi infatti raggiungeva i quarant’anni, erano, compreso il povero americano, un decimo dei sopravvissuti. Sinwar ha inteso in tal modo, offrire implicitamente una possibilità di ripresa della trattativa agli americani. Un colpo alla testa sparato a bruciapelo è il marchio degli omicidi a sangue freddo di Hamas. Non sono stati giustiziati per un atto mosso da ira o paura improvvise, ma appartengono al linguaggio terribile del terrorismo e in particolare del leader non più solo militare ma anche politico di Gaza.

10. Che fare? La partita è in mano a Biden. Sa di dover costringere Netanyahu ad aprire all’unica chance per evitare il peggio non solo a Gaza ma in uno scenario più vasto. Non si tratta di cedere. Ma di applicare gli standard delle guerre asimmetriche, quelle con chi ha valori distanti dai nostri. Ho scritto lo scorso 29 giugno. “Davanti all’insolubilità nei tempi brevi della questione, la strada per salvare gli ostaggi ed evitare nuove stragi è quella di una trattativa, tralasciando interlocutori che promettono e non contano, e arrivando direttamente a un dialogo con Sinwar. Ci sono opposizioni morali a questo? O piuttosto manca a livello di diplomazia segreta chi è capace di farlo? Provarci, sarebbe un dovere”. Provarci!

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