Intervista a Enrico Morando: “Salari fermi, ma profitti vanno su: serve un conflitto per la redistribuzione”

RMAG news

Enrico Morando, leader dell’area liberal del Partito democratico, tra i fondatori dell’associazione di cultura politica Libertà Eguale, già viceministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni: Elly Schlein sfata un tabù a sinistra: si può parlare di patrimoniale. Lei come la vede?
Certo che se ne può parlare. Lo si è fatto in passato, quando il prelievo fiscale sui patrimoni era, in Italia, pressoché inesistente. E lo si può fare nel presente, purché sia chiaro che questo prelievo si sia fatto molto più significativo. Il patrimonio degli italiani è in larga misura costituito da immobili. Su questa componente, grava oggi l’IMU, un’imposta sul valore del patrimonio tutt’altro che trascurabile. Mentre l’aliquota di prelievo sui guadagni da capitale è allineata -in Italia- ai valori medi europei, con l’eccezione -a mio avviso sempre meno giustificabile- dell’aliquota sul guadagno dei possessori dei titoli di Stato (uniformarla all’aliquota generale non porterebbe soldi in più all’erario, ma eliminerebbe distorsioni nell’allocazione del risparmio). Tutto ciò mi fa dire che la tassazione dei patrimoni (e dei guadagni da patrimonio) c’è e colloca l’Italia -tra i Paesi dell’Unione Europea- nei pressi del prelievo medio. Sempre guardando agli altri grandi paesi europei, l’Italia si distingue invece -a mio avviso in negativo- per l’esiguità delle imposte di successione: il gettito annuo è molto basso (e non perché siano più piccoli i patrimoni che passano di mano). Qui, da liberalsocialista, penso che si possa e si debba intervenire con una riforma equilibrata, che potrebbe garantire un gettito aggiuntivo (non enorme, ma significativo), che dovrebbe essere utilizzato per ridurre l’Irpef sul reddito da lavoro delle donne. Senza far derivare da questa riforma un solo euro di aumento di gettito, dobbiamo finalmente riuscire a portare a termine la riforma del catasto. Il mantenimento dello status quo genera ingiustizie intollerabili a danno di chi ha di meno. Con i governi di centro-sinistra dello scorso decennio ci abbiamo provato: al MEF avevamo approntato il testo del decreto legislativo delegato. Tutto era stato studiato in modo che il gettito complessivo non aumentasse. Moltissimi avrebbero pagato di meno. Molti un po’ di più.

Cosa non ha funzionato?
A bloccare tutto fu la domanda canonica: dove si concentrano questi “molti“? Risposta onesta: nelle città più grandi. Conclusione: rinviamo… al giorno di San Maipiù (in Italia c’è sempre un’elezione amministrativa da cui può dipendere la sopravvivenza del Governo). E quelli erano Governi che avevano ambizioni riformiste. Ora, nel Governo in carica, si ribellano addirittura all’aggiornamento dei dati catastali delle seconde case ristrutturate a spese dello Stato col superbonus 110%…

Da riformista doc, come immagina una politica economica che sia altro e di più di una buona amministrazione del denaro pubblico?
Due soli esempi, per dare l’idea. Questo è un Paese in cui lo Stato chiede ai cittadini contribuenti di sopportare una pressione fiscale elevata (nella comparazione internazionale, la somma italiana di tutti i tributi più tutti i contributi in rapporto al Pil è nella parte più alta della graduatoria), per pagare in interessi sul debito più di quello che lo Stato stesso spende per finanziare il sistema pubblico di istruzione. Quindi, primo: il debito pubblico va ridotto, perché dobbiamo spendere di più (oltre che meglio) in istruzione e salute. Quelli che si assicurano sul mercato sia la formazione, sia la tutela della salute, possono non curarsi del debito. Quelli che noi vogliamo rappresentare, non possono fare altrettanto. Dobbiamo dirglielo e comportarci di conseguenza. Capisco l’obiezione: ma se facciamo risanamento della finanza pubblica, non possiamo sostenere la crescita, e ricadiamo dalla padella del debito pubblico nella brace della recessione. Ma a questa obiezione non si risponde facendo più debito. Si risponde attraverso la politica fiscale espansiva -e orientata all’aumento della produttività- dell’Unione Europea. Paesi con bilanci sani, politica fiscale anticiclica dell’Unione, messa finalmente in grado di produrre i beni comuni che ci servono. Secondo: il deficit e, di conseguenza, il debito lo abbiamo fatto, in questi anni, per cercare disperatamente di sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, in un contesto di produttività (del lavoro e dei fattori) stagnante. Quindi, per il presente e per il futuro, bisogna organizzare un concorso di risorse pubbliche e private (a proposito: il risparmio italiano ed europeo sostiene gli investimenti in alta tecnologia…degli USA) per realizzare incrementi di produttività. In questo contesto, in Italia, dobbiamo mettere al centro delle nostre iniziative il tema della democrazia economica: i salari sono restati al palo, mentre i profitti volavano. Va rianimato un sano conflitto per la redistribuzione. Va messa su basi più solide la contrattazione, perché quella di primo livello ritarda per anni il rinnovo dei contratti e quella di secondo livello è troppo limitata e non assume -anche dove c’è- l’obiettivo di un salto di qualità nella partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.

E qui entriamo nell’autunno caldo: elezioni regionali, legge di bilancio, referendum…
Ho già detto come cercherei di “scaldare” un po’ l’autunno. Sulle elezioni regionali, credo che faremmo bene -dopo questi giorni tribolati in cui tutto è sembrato concentrarsi sul tema delle alleanze politiche, per di più “romane”- a mettere l’accento sul presente e sul futuro delle diverse Regioni che vanno al voto: c’è da recuperare uno slancio che il sistema delle autonomie ha il larga parte perso, consentendo che l’attenzione dei cittadini finisca per rivolgersi -anche per affrontare questioni centrali come l’organizzazione del sistema sanitario- sul chiacchiericcio romano.
Sulla legge di bilancio, penso si sia fatto un grave errore, come opposizione, quando si è consentito al Governo, in primavera inoltrata, di non presentare il quadro programmatico del DEF. Col risultato che, in pochi giorni, Governo e Parlamento hanno discusso (si fa per dire…) e approvato un documento di enorme rilievo-il Piano Strutturale di Bilancio- che fissa gli obiettivi di finanza pubblica per tutta la legislatura in corso e per buona parte di quella che verrà. Le nuove regole europee danno più tempo alla stabilizzazione in cambio di riforme, investimenti e una vera revisione della spesa. Gli obiettivi quantitativi di finanza pubblica sono fissati, ma le riforme si limitano ai titoli. Eppure, ci sarebbe materia… Un piccolo esempio: è imminente la scadenza per le concessioni della rete di distribuzione elettrica. La legge Bersani detta scadenze precise: che si fa? Si fa una proroga o si procede con le gare? Infine, i referendum. Qualche settimana fa ho reagito -con Giorgio Tonini- ad una dichiarazione del Presidente del comitato promotore del referendum sulla legge Calderoli che – con parole chiare- spiegava che il vero obiettivo del referendum non è solo (e non è tanto) la legge sulle procedure approvata dal centrodestra, ma il titolo quinto della Costituzione. Se la campagna referendaria sarà condotta su queste basi (di fatto, centralismo contro autonomia), farà gravi danni, a prescindere dal suo esito.

La politica è contenuti, visioni, ma anche alleanze. Conte che si smarca, Renzi che volteggia, manovre, veti e maldipancia. Siamo alle solite?
Mah…, c’è un evidente eccesso di politicismo. Nessuno nega che ci sia bisogno di fare alleanze tra partiti anche significativamente diversi. Il centro-destra litiga ogni giorno dell’anno per cinque anni, ma alle elezioni va unito. Per batterlo, c’è dunque bisogno di una coalizione ampia. Per costruirla, non basta predicare unità, non raccogliere le provocazioni, sfumare le ragioni di divisione, ecc. Questa attività, se è l’unica cosa che si vede, somiglia pericolosamente ad un teatrino. Cosa serve? Per saperlo, basta guardare al fondamentale fattore di forza dell’avversario: la presenza -all’interno di una coalizione dove non mancano liti e duri scontri- di un partito che garantisce all’intera coalizione un asse politico e programmatico, la gran parte del consenso elettorale, la leadership. Tra i partiti dell’opposizione, solo il PD può credibilmente ambire a questa funzione. Non perché lo dico io, maniaco della “vocazione maggioritaria “. Ma perché lo hanno detto gli elettori alle Europee e lo ripeteranno nelle imminenti Regionali. Sarebbe ingenuo pensare che non abbia rilievo e non meriti impegno il lavoro di costruzione di buone relazioni con tutti i partiti della possibile coalizione. Ma, in questa fase, è molto più importante fornire solide certezze ai cittadini/elettori circa la capacità del PD di fornire risposte precise ai fondamentali problemi del Paese, dalla collocazione internazionale alle riforme costituzionali, dalle politiche per la riduzione del debito pubblico fino al rilancio della contrattazione tra le parti sociali.

Si dice: dalla politica di sicurezza a quella finanziaria, o si fa l’Europa o si muore. Ma l’Europa, dalla guerra in Medio Oriente alle grandi sfide della globalizzazione, è drammaticamente inesistente.
È vero che l’Europa è di fronte ad un bivio: o costruisce nuova sovranità, per essere coprotagonista del governo globale, o rischia il declino. Ma non sottovaluto i passi in avanti che si sono compiuti e che ci hanno avvicinato alla possibilità di farcela: quello che l’Unione ha fatto sui vaccini anti- Covid è stato letteralmente grandioso, laddove altri colossi globali hanno fallito. Non solo: con il programma Next Generation EU sono stati spazzati via anni di esitazione, si sono definiti obiettivi europei, da finanziare con l’emissione di titoli di debito europeo (sì, gli Eurobond). Anche la reazione dei Paesi europei alla scelta di Putin di aggredire l’Ucraina ha dimostrato che l’Unione -almeno potenzialmente- è in grado di darsi una politica estera… Tutto ciò costituisce qualcosa di più di un mero segnale di esistenza in vita. È la prova del permanere di enormi potenzialità. Il lavoro di Draghi e Letta ha collocato queste potenzialità in un disegno organico. Per realizzarlo, non sono i soldi che mancano. Per ora, l’Unione difetta di leadership.

Please follow and like us:
Pin Share