Intervista a Pier Francesco Majorino: “Così Schlein ha riacceso la voglia di sinistra”

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Pier Francesco Majorino, responsabile immigrazione nella segreteria nazionale del Pd. Le elezioni europee hanno premiato il Partito democratico ma fuori da esso, con l’importante eccezione di Avs, il campo “largo” è ridotto in macerie.
Io credo che il risultato del Partito Democratico sia davvero importante. Riavvolgiamo per un attimo il nastro. Nell’autunno del 2022 il dibattito non riguardava alcuni punti decimali ma, essenzialmente, la sopravvivenza stessa del Pd. I sondaggi ci davano tra il 14 e il 15%, da più parti si invocava la fine della nostra forza politica, nei talk-show il giro degli opinionisti discettava allegramente della nostra morte. Ci metto anche qualche ricordo personale: io stesso ho affrontato le elezioni regionali della Lombardia, nel pieno del congresso, senza una leadership nazionale. Al Nazareno non sapevamo nemmeno chi chiamare da Milano per metterci d’accordo su come finanziare quella campagna elettorale. Ricorderò sempre una riunione fatta a Roma con un dirigente nazionale poco prima di Natale (le elezioni poi si sono svolte a febbraio), con lui sprofondato in poltrona che in pratica mi diceva “non so veramente cosa dirvi”. Insomma, eravamo un’armata in disarmo, con la narrazione potentissima della destra che andava a gonfie vele.

Ed oggi?
Oggi il quadro, in un contesto europeo evidentemente difficilissimo, per il Pd è totalmente cambiato. Non solo sul piano elettorale ma proprio su quello del clima, del “sentimento” come dice la mia amica Cecilia Strada. Il sentimento è quello di chi vuole lottare e lo fa con fiducia, con il sorriso. Da qui possono passare tante cose: a livello europeo dove la nostra delegazione parlamentare, che è di altissima qualità, sarà davvero cruciale e a livello nazionale dove può prendere corpo un’alternativa. Ovviamente non basta il Pd. In questo mi faccia dire che il risultato di Alleanza Verdi e Sinistra è molto bello. Il fatto che siano cresciuti contemporaneamente il Pd guidato da Elly Schlein e Avs, senza che ci “rubassimo” vicendevolmente i voti, indica che una parte di società pone una domanda forte, una domanda “di sinistra”. Lo trovo un aspetto incoraggiante, anche perché non mi sfugge affatto la forza attrattiva, pericolosamente persuasiva, del discorso della destra nazionalista. In altre parole, non penso assolutamente che le cose siano semplici e non rimuovo l’affermazione di Giorgia Meloni. Ma c’è anche dell’altro in Italia. E tutto ciò potrà diventare un campo alternativo di forze se tutti lavoreremo nella medesima direzione: unirsi, innanzitutto sui contenuti, e proporre un progetto alternativo che sia quello che parla il linguaggio della sanità pubblica, del diritto alla Casa, del salario dignitoso (che vuole dire certamente “salario minimo” ma pure sblocco dei contratti, a cominciare proprio dalla sanità) dei diritti, della transizione ecologica, la quale deve essere accompagnata da potenti misure di sostegno per evitare che divenga un salasso in grado di colpire i più deboli.

Si era detto che queste elezioni sarebbero state una “prova del nove” per Elly Schlein. Promossa a pieni voti?
Parliamoci chiaro: il merito principale di questo cambio di clima e del risultato politico è innanzitutto di Elly Schlein. Che ha avuto l’intelligenza di tenere assieme due cose che spesso non riescono a incontrarsi. La radicalità di alcune proposte concrete, sulle condizioni materiali, a partire da sanità e lavoro, ad una grande voglia di unità. Le liste, in questo quadro, con una polifonia di voci tra loro non conflittuali sono state questa cartina tornasole. Del resto, il Pd deve avere questa duplice funzione: essere netto e chiaro per gli obiettivi che indica ed essere composto dalla ricchezza di tante biografie diverse. Questo spirito “unitario” poi va trasmesso fuori, verso le altre forze politiche che non stanno a destra, e ovviamente mi riferisco a tutte, nessuna esclusa e senza alcun veto, e ancora di più forse verso i soggetti sociali. Per questo ritengo cruciale l’aver riannodato i fili con il sindacato o il terzo settore. Questa ricerca di unità fuori dal Pd rende tutti più credibili. Libertà è partecipazione, cantava il grande Giorgio Gaber.

Le elezioni europee hanno registrato il più alto tasso di astensione nella storia repubblicana. Non è un campanello d’allarme, se non una campana a morto, per il nostro sistema democratico?
È una questione drammatica che non possiamo rimuovere. Toglie il fiato pensare a quanti stanno a casa. E avviene da più turni elettorali. Per una pura coincidenza la mattina del sabato ero in un ospedale della periferia milanese per una visita medica. Tra noi, in fila ad attendere, si è scatenato un poco di dibattito sulla sanità, le liste d’attesa, questi diritti che non vengono garantiti per tutti allo stesso modo. Ecco: diversi dei presenti mi spiegavano che non sarebbero andati a votare, pur condividendo tutto quel che stiamo affermando proprio in materia sanitaria. Ovviamente per un motivo: “perché tanto non cambia mai nulla”. In quella frase c’è un disincanto che colpisce e fa male ma pure una sfida enorme. Si tratta di ri-conquistare le persone. In giorni in cui sui giornali si discute di terzi e quarti poli da costruire suggerirei a tutte-i che il primo polo da ricostruire è quello che passa dalla partecipazione diretta per far vincere il cambiamento. Il fatto che il Pd di Elly abbia recuperato alcune centinaia di migliaia di astenuti alle elezioni politiche del 2022 mi pare, tra tante difficoltà, un bel segnale. Sta a noi insistere, passo dopo passo.

Francia, Germania, Austria, Belgio…Un vento di destra imperversa in Europa. Come arginarlo?
Mi permetto di insistere, un po’ ossessivamente, su un punto che mi è molto caro. Il cuore della sfida è quello rappresentato dalla questione sociale. La destra vince per più ragioni ma certamente tra di esse perché cavalca la paura. La paura non va per nulla demonizzata. E riguarda tante cose ma essenzialmente cosa sarà il domani. Bisogna con ostinazione, ed è il motivo per cui amo molto la linea attuale del Pd, stare al fianco di chi crede di non farcela con proposte e scelte. Questo non riguarda solo l’Italia, assolutamente. In maniere differenti la questione sociale irrompe ovunque, in Europa, ci sono 102 milioni di persone che vivono in condizioni di grave emarginazione o comunque di precarietà o si ritengono in una condizione “precaria”. E in generale in un mondo come quello nel quale viviamo, tanto segnato da strappi globali, epocali, che alimentano l’inquietudine, servono scelte che insistano sul piano del riscatto delle persone. Salario, qualità del lavoro – quindi capacità di realizzarsi in pieno nel lavoro, che significa anche orari, tempi, ambienti, gestione dei figli piccoli, servizi alla persona -, lotta alla precarietà, diritto alla salute: questo è il posto dove deve stare la sinistra. E per questo serve un’Europa più forte, più giusta e anche più efficace. Qualcosa che dimostri che Next Generation EU, con gli interventi solidali dovuti al Covid è stato un inizio di una fase nuova di un progetto comune, non un’eccezione che confermi la regola dell’austerità.

Invece di dibattere, si scatenano risse.
La destra italiana in buona parte è fatta da tanti apprendisti dottor Stranamore, a un certo punto, nonostante gli sforzi, il braccio teso, cioè la cultura autoritaria, viene fuori. A me le immagini di questi giorni, o le cose dette dai leghisti, il successo di Vannacci che fa la Decima, e così via, non stupiscono per niente. Bisogna tenere la barra dritta. Lo stiamo facendo in questi giorni in Parlamento e dobbiamo con serietà non spostarci di un millimetro. Noi siamo quelli di Matteotti. Andiamone fieri.