Intervista a Simona Malpezzi: “Veti e ricatti a sinistra sono un regalo alla destra”

RMAG news

Simona Malpezzi, senatrice Pd, ex capogruppo a Palazzo Madama e vicepresidente della commissione bicamerale infanzia e adolescenza: il campo largo è imploso. Temete possa incidere sul risultato che, a molti appariva scontato, delle prossime elezioni regionali?
Nessun risultato è scontato ma è chiaro che, da una parte, ambiamo ad essere premiati dagli elettori per gli anni di buon governo dell’Emilia-Romagna e, dall’altra, a essere individuati come l’alternativa capace di garantire discontinuità dopo le fallimentari esperienze del centrodestra in Liguria e Umbria. La rottura consumata dal M5S rischia di compromettere il lavoro di tessitura svolto dai nostri candidati per costruire coalizioni larghe e inclusive aperte alle forze progressiste, riformiste, moderate e civiche. Peraltro, non è mai una buona idea non ascoltare i territori e imporre diktat da Roma. Governiamo molte amministrazioni insieme con coalizioni ampie nate a livello locale. Con i veti pregiudiziali e i ricatti non si va da nessuna parte e si fa soltanto un grande regalo alla destra che è il vero avversario. A meno che l’obiettivo non sia provare ad indebolire il dovuto e necessario protagonismo del Partito Democratico.

Continuate a credere quindi che si possa costruire un’alleanza di governo? Conte è stato chiaro: o lui o Renzi.
Costruire un’alleanza è un lavoro paziente che va fatto con generosità e serietà. Ribadisco che non sono accettabili in alcun modo diktat, personalismi e tatticismi di sorta. Noi abbiamo davanti un governo che con l’autonomia differenziata sta mettendo a rischio la coesione nazionale, che ha aumentato le tasse, che ha fatto cassa sui pensionati, che ha cancellato una misura di sostegno alla povertà, che non è in grado di spendere le risorse fondamentali per la crescita del PNRR, che non ha varato una misura utile per frenare il calo del potere d’acquisto dei cittadini, che ha ridotto gli investimenti nella sanità pubblica. E ora si appresta a varare una legge di bilancio che colpirà famiglie, lavoratori, pensionati e le piccole e medie imprese. Dovevano abolire le accise sulla benzina, le alzeranno. Dovevano abbassare le tasse, le incrementeranno. Dovevano aiutare le famiglie, rimoduleranno l’assegno unico. La parola sacrifici è ufficialmente entrata nel vocabolario degli ex imbonitori. Di fronte a tutto questo abbiamo il dovere di costruire un’alternativa di governo, partendo dai temi su cui siamo già uniti: dal salario minimo alla difesa della sanità pubblica, dal contrasto all’autonomia sbagliata di Calderoli agli investimenti in istruzione, da un sistema fiscale più equo fino alla promozione di politiche industriali all’altezza della tradizione del nostro Paese. Quindi, se continuiamo a fare questioni personali sui nomi senza stare sui temi facciamo il gioco della destra che, peraltro, è divisa su autonomia, cittadinanza, politica estera, extraprofitti.

Abbiamo parlato di temi, quali sono le priorità del Pd in vista del lavoro di tessitura a cui faceva riferimento?
La priorità del Pd è fare il Pd. Un gioco di parole per affermare con chiarezza un principio imprescindibile che chiama in causa la nostra stessa natura. Siamo un partito di centrosinistra, plurale a vocazione maggioritaria: ciò significa essere capaci di rappresentare tutta la società, senza affidare ad altri questo compito, comprese le sensibilità moderate, il mondo cattolico, i ceti produttivi, i lavoratori dipendenti come le partite iva. Peraltro, solo in questo modo il Pd potrà essere il baricentro di una coalizione larga in grado di costruire un’alternativa di governo. Ce lo hanno detto le ultime europee: il successo ottenuto dalle nostre liste è il frutto del pluralismo delle candidature, capaci proprio di rappresentare un partito che si è aperto a tutti i mondi. Gli elettori ci hanno indicato la strada.

Parlava di divisioni a destra. Sulla cittadinanza Forza Italia fa sul serio?
Forza Italia sta tentando di dare un volto più moderato a una coalizione schiacciata all’estrema destra, ostaggio di Salvini che voleva chiudere i porti invece ha chiuso le stazioni ferroviarie. Ormai il leader della Lega si è ridotto a fare il PR dei peggiori estremisti europei. snaturando il suo stesso partito. La proposta di FI, da quello che leggiamo sui giornali, ha il solo merito di aprire un dibattito: a breve scopriremo se hanno bluffato e si ritireranno in buon ordine. Noi abbiamo sostenuto il referendum, ma, soprattutto, abbiamo le nostre proposte in Parlamento e siamo pronti a lavorare con chi è davvero disponibile a fare un passo concreto e non a prendere in giro le legittime aspettative di tante ragazze e ragazzi. Per il Pd è assurdo far crescere bambine e bambini nelle nostre scuole e contemporaneamente dir loro che sono stranieri. Parliamo di chi vive ogni giorno all’interno della comunità scolastica in un rapporto quotidiano che riguarda ogni aspetto della vita. Non è possibile che siano discriminati come accade ora, sottoposti alle incertezze degli effetti di un’altra legge: quella Bossi-Fini che rende semplicissimo trasformare i loro genitori da lavoratori in irregolari, stoppando il cammino verso la cittadinanza. Tra l’altro la piena integrazione della seconda e terza generazione di immigrati è urgente e cruciale per un Paese che invecchia sempre di più. Approvare una nuova legge, fuori da contrapposizioni politiche strumentali e ideologiche, semplicemente fotografando la situazione attuale, sarebbe un segno di grande civiltà con effetti benefici per il nostro Paese. E gli italiani con l’adesione alla raccolta firme hanno dimostrato di essere più avanti dei legislatori.

In Medio Oriente stiamo assistendo a una drammatica escalation verso una guerra regionale.
Siamo a un passo da un conflitto su larga scala pericoloso non solo per quell’area ma per tutto il bacino del mediterraneo. Il Medio Oriente è un’area cruciale per la sicurezza mondiale ed occorre evitare l’escalation in ogni modo. Bisogna far cessare immediatamente il fuoco, rilasciare gli ostaggi nelle mani di Hamas e avviare un processo di pace strutturato con un disegno politico duraturo che parta dal riconoscimento dello Stato di Palestina. Israele ha il diritto di difendersi, a maggior ragione dopo il 7 ottobre scorso che è stato un vero e proprio pogrom, ma la reazione non può essere sproporzionata, irragionevole e non in linea con il diritto internazionale e umanitario. Il numero delle vittime civili è spaventoso e la sofferenza cui stiamo assistendo, a Gaza, in Cisgiordania e ora anche in Libano, non è accettabile. Voglio dire però una cosa molto chiara: Israele non è Netanyahu e sono gravissimi i rigurgiti di antisemitismo a cui stiamo assistendo che devono essere condannati senza alcuna esitazione o ambiguità.

Lei è vicepresidente della commissione bicamerale infanzia e adolescenza. Il Decreto Caivano ha avuto effetti sul sistema della giustizia minorile?
Dall’ultimo dossier dell’associazione Antigone emerge un dato sconcertante: non si è mai registrato un numero così alto di minori in carcere. Attualmente sono reclusi 569 ragazzi in 17 istituti penali; nell’ultimo anno le presenze in carcere sono aumentate del 50%. Per la prima volta le carceri minorili sono alle prese con il sovraffollamento. Le norme del decreto Caivano hanno stravolto il sistema della giustizia minorile che è considerato da molti anni un modello a livello europeo. Hanno voluto ideologicamente cambiare l’approccio, passando dalla rieducazione alla esclusiva punizione. Un errore grave: chiudere in carcere i minori, spesso fragili e provenienti da contesti di sofferenza e abbandono, senza spazi adeguati, senza educatori in numero sufficiente per la costruzione di un progetto educativo, senza il personale formato per accoglierli e sostenere i loro percorsi, distrugge qualsiasi opportunità di recupero e reinserimento del minore perché mancano le comunità sui territori. Se l’articolo 27 della Costituzione stabilisce che il tempo della pena deve essere il tempo della rieducazione, come possiamo pensare che ragazzi in quelle condizioni possano essere aiutati a rieducarsi? Serve un esercito ma di educatori. Non mi stancherò mai di ripeterlo: non esistono ragazzi cattivi, come dice sempre don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria. Esistono ragazzi molto soli. Penso che il tema della comunità educante, già in discussione al Senato, che aiuta a mettere in rete tutte le agenzie educative del territorio con progettualità, possa essere una primissima risposta per la prevenzione. Spero che la maggioranza lo appoggi.

Nei giorni scorsi al Senato lei ha presentato l’appello dei pedagogisti per vietare lo smartphone prima dei 14 anni e l’uso dei social prima dei 16. Non crede che vietare sia anacronistico?
Non possiamo continuare a parlare di un allarme rispetto alla condizione degli adolescenti e poi non fare niente. Credo che regolamentare l’uso di smartphone e social non significhi essere contro la tecnologia e neppure far crescere i figli fuori dal tempo. Significa, invece, dare una risposta a un problema evidente. Negli ultimi anni tutto è accaduto molto velocemente: lo racconta bene lo psicoterapeuta Jonathan Haidt nel suo saggio, La generazione ansiosa e lo registrano le ricerche dei neuroscienziati. Lo smartphone sta cambiando il modo di interagire, genera dipendenze, porta ad alterazioni della materia bianca in aree cerebrali centrali per l’apprendimento della lettura e scrittura. Sostenere l’appello di Daniele Novara, Alberto Pellai e tanti altri significa ascoltare la scienza, impedendo che lo sviluppo cognitivo dei giovani e la loro socialità vengano alterati negativamente. Nel frattempo, il Parlamento sta portando avanti una riflessione bipartisan grazie ai disegni di legge Madia e Mennuni e di altri gruppi parlamentari che mirano a tutelare i minori nell’uso dei social media. È arrivato il momento di riconoscere un problema e cominciare ad occuparsene. Può risultare impopolare ma la politica senza il coraggio di scelte anche impopolari serve solo a se stessa e non a cambiare le cose che non vanno.

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