Intervista a Walter Massa: “L’apartheid in Palestina è peggio anche di quello del Sudafrica”

RMAG news

Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci: “Riconosceteci finché la Palestina esiste ancora”. È l’appello disperato che il ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese, Riyad al-Maliki, ha lanciato dalle colonne de l’Unità. Se non ora, quando?
Ho letto l’accorato appello di Riyad al-Maliki sul vostro giornale e ammetto di aver provato prima di tutto un senso di profonda vergogna per l’indefessa ipocrisia del nostro paese e dell’Europa intera rispetto alla situazione del popolo palestinese. Non sta a me richiamare i numeri delle vittime civili, dei feriti, del numero di giornalisti e personale sanitario e delle organizzazioni non governative uccisi dall’avvio della sanguinosa campagna militare nel territorio della striscia di Gaza; lo ha fatto con chiarezza il ministro, ma qui siamo già oltre con la decisione di inviare ufficialmente l’esercito in Cisgiordania a dare manforte ai coloni per una azione che difficilmente potrà non essere definita “di pulizia etnica” con buona pace dei nostri commentari negazionisti.
Dobbiamo agire – nel nostro caso continuare a farlo – deve agire la comunità internazionale che nella sua complessità sta scegliendo di dare un segnale politico importante riconoscendo lo Stato palestinese e deve farlo il nostro governo insieme all’Europa. Ecco, leggendo le parole del ministro Riyad al-Maliki credo che sia nuovamente tempo di una grande e unitaria manifestazione nazionale per il riconoscimento dello stato palestinese e per il cessate il fuoco. Mi auguro si possa già discuterne nelle prossime ore, senza veti e senza infingimenti politicisti.

Alla mattanza di Gaza si aggiunge la colonizzazione forzata da parte d’Israele della Cisgiordania. Questo giornale l’ha denunciato: il governo peggiore nella storia d’Israele sta cancellando la Cisgiordania per realizzare il “Regno di Giudea e Samaria”. E il mondo sta a guardare.
Segnalavo prima questo fatto – per così dire – nuovo. C’è un estremo tentativo di escalation messa in campo da Netanyahu e dal suo governo che dà proprio l’impressione di essere attuata per sopravvivenza, la sua e quella della sua maggioranza fascista e razzista, in attesa del voto americano. L’invio ufficiale dell’esercito in Cisgiordania, con la evidente scusa di smantellare Hamas anche in quella parte di territorio in realtà controllata ancora significativamente da Al-Fatah, dopo anni e anni di abusi, la sistematica costruzione di una comunità elitaria rappresentata dai coloni che hanno letteralmente potuto fare ciò che hanno voluto, arrivando con il tempo a costruire insediamenti per oltre 700mila persone, distruggendo tutto ciò che confliggeva con questo progetto, segregando la comunità palestinese in un condizione di inferiorità manifesta che da moltissimi ormai viene definita di apartheid, segna appunto un salto di qualità nell’operazione teorizzata e attuata dalla destra israeliana da sempre contraria alla possibilità di uno stato palestinese. E il mondo, come dice lei, guarda questo sterminio di massa – non si hanno in realtà dati precisi sulle operazioni dei coloni e dell’esercito nei territori della Cisgiordania -, questa violenza sistematica contro la comunità palestinese probabilmente, per impunità, peggiore di quella che abbiamo conosciuto in quel Sudafrica noto alle cronache e alla storia per l’apartheid. Ma c’è un fatto nuovo…

Quale?
C’è stata nei giorni scorsi la più grande manifestazione contro il governo israeliano dal 7 ottobre. C’è stata la proclamazione del primo sciopero nazionale (stoppato solo dai tribunali e dalla brutalità che ben conosciamo delle forze dell’ordine israeliana) che ha visto a Tel Aviv scendere in piazza centinaia di migliaia di donne e uomini che chiedevano la fine della assurda guerra militare ad Hamas e il salvataggio degli ostaggi rimasti prigionieri nella Striscia. È un fatto straordinario in una comunità – quella israeliana – che in questi mesi ha subìto una fortissima narrazione tossica e mainstream – alimentata da quasi tutta la stampa – circa la bontà del progetto militare di annientamento di Hamas. Ci si sta rendendo finalmente conto che con la scusa di distruggere Hamas in realtà si è voluto dar seguito al progetto di distruzione di qualsiasi ipotesi di autonomia palestinese. E se ne è resa conto anche la società civile israeliana che dobbiamo sostenere e non lasciare sola.

Chi denuncia il genocidio in atto nella Striscia di Gaza e chiede sanzioni contro chi ne è responsabile, viene subito tacciato di antisemitismo. Il marchio d’infamia.
Le cose cambiano e si evolvono, guardi. Anche le più bieche e pretestuose narrazioni mainstream, pilotate ad arte contro il dissenso, di fronte all’escalation della barbarie militare israeliana, hanno subìto un duro colpo. Al netto del fatto che non ci è mai importato più di tanto di come ci hanno definito nel tempo alcuni media al servizio della maggioranza di governo, e le confesso che non ci importerà nemmeno dopo, la bussola per noi è sempre stato il Diritto internazionale. Pensato, voluto e realizzato con un intento solo: costruire un mondo di pace, contro la barbarie sistematica della guerra e contro l’uso sconsiderato delle armi come unico strumento per dirimere le controversie tra paesi o tra comunità. Siamo stati, siamo e saremo da questa parte della storia che per noi è e rimane la parte giusta per costruire un mondo migliore e diverso da quello che stiamo vivendo.

Haaretz, il più diffuso quotidiano d’Israele assieme a Yediot Ahronot, ha bollato come “fascisti” ministri come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. L’Unità ne ha dato conto. Ma questa parola, “fascisti”, è bandita dalla stampa mainstream.
Non è una novità, purtroppo. Sulla qualità dell’informazione in questo secolo ci sarebbe da aprire un capitolo enorme. Dovremmo farlo prima o poi, coinvolgendo in primis gli operatori dell’informazione. Del resto, sulla libertà di stampa questo paese e l’Europa ha di che riflettere. Pensiamo al silenzio relativo alla e tragedie del Mediterraneo solo per citare l’esempio più eclatante. E in Israele la situazione non è poi tanto diversa. Si criminalizza il dissenso, si attuano azioni, scelte e iniziative di chiaro stampo autoritario, di repressione violenta e di razzismo, come nell’evidente caso della Cisgiordania e di Gaza, con strumenti di distruzione di culture e storie in modo sistematico e poi, di fronte alle sacrosante accuse di fascismo, si nega tutto, con apparente vergogna. Qualcuno più autorevole di me, tra il serio e meno serio, ha definito questa pratica “fascismo puccioso”. Fa riflettere e la sostanza che ne viene fuori è preoccupante.

Il pacifismo ha una visione delle relazioni internazionali e delle regolazioni dei conflitti che confligge con la “diplomazia delle armi” che domina, ad esempio, sul fronte ucraino. Il pacifismo denuncia e propone. Eppure, nel migliore dei casi, viene classificato come “imbelle testimonianza”, nel peggiore, come utile idiota al servizio di Putin o di Hamas.
Lo dicevo prima: delle classificazioni di una certa stampa non m’interessa. Di fronte ad un mondo che ha nuovamente scelto l’uso delle armi come unico strumento per la risoluzione delle controversie internazionali occorre un fronte opposto e alternativo. Di prospettiva e possibilmente ampio. Non devo giustificare questa posizione poiché si rifà pienamente allo spirito con cui sono nate la nostra Costituzione, la dichiarazione dei Diritti dell’uomo e il Diritto internazionale. E molte altre iniziative internazionali e nazionali. Sono altri che devono giustificare perché si sono schierati, spesso acriticamente, dalla parte delle armi e della distruzione, spesso giustificandola con giravolte talmente subdole da far accapponare la pelle. Pensiamo alle fasi di “esportazione della democrazia”, a quella della presunta “superiorità occidentale”, giusto per ricordare le più recenti al nostro tempo. Noi non facciamo testimonianza; a differenza dei teorici da bar e da salotto, riconosciamo il diritto alla difesa e ci facciamo concretamente carico dell’accoglienza dei cittadini ucraini in fuga dalla violenza militare russa. E lo abbiamo fatto. Al tempo stesso non smettiamo di chiedere e lavorare per una de-escalation, per l’affermazione della diplomazia, perché non è pensabile teorizzare e prospettare una nuova vera e propria guerra che regoli magari conti millenari. E poi come è possibile giustificare il riarmo mondiale solo ed unicamente a vantaggio dell’occidente e dei suoi alleati/adepti. Vede che razza di ipocrisia ci tocca assumere ogni giorno? Quella stessa ipocrisia nauseabonda che nelle risoluzioni scrive e s’impegna per la soluzione “dei due popoli e due stati” e poi non riconosce uno dei due stati. Neppure come atto simbolico.

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