“Io, vittima di stupro, ti fanno credere che è meglio raccontare e poi ti abbandonano”: la lettera che ha sconvolto la Spagna

RMAG news

Conchi Granero ha scritto una lettera, è stata pubblicata dal quotidiano El País, che ha sconvolto la Spagna. Un atto di accusa, che non assolve nessuno, indirizzato alla sua avvocata d’ufficio, a pochi giorni della sentenza di condanna del suo stupratore, che si scaglia contro un sistema che qui emerge in tutta la sua ipocrisia. Due anni di carcere per l’attenuante della “disabilità psichica”, sconto di pena concesso anche perché l’accusato in aula ha chiesto scusa alla vittima, e 8.500 euro di danni. Ma questa è soltanto una parte, la prima parte della storia.

“Ti fanno credere che sia meglio raccontarlo, perché è eticamente ciò che dovresti fare per proteggere le altre donne da questi eventi, ma ti abbandonano … Le persone che avrebbero dovuto aiutarmi come vittima mi hanno lasciata sola … Il sistema ti lascia nuda davanti a lupi feroci che ti fanno solo sentire ancora più spaventata”, è questa la verità di Conchi Granero che ha sconvolto la Spagna. Quante campagne, quanta informazione, quanti spot, quanta retorica a buon mercato spazzata via dalla lettera di una vittima?

La storia di Conchi Granero

19 febbraio 2020: la ragazza, oggi 25 anni, entra volontariamente in un ospedale psichiatrico a Barcellona. Soffre di anoressia nervosa, la colgono pensieri suicidi. Conosce un ragazzo, per tre settimane nella clinica a causa di sintomi psicotici derivati dal consumo di cannabis. Vanno insieme in bagno a fumare. Lui le chiede di fare sesso, lei risponde di no. E scatta la violenza. Lui “le ha tirato giù le mutande con la forza” e “l’ha penetrata vaginalmente in due occasioni” mentre la ragazza lo supplica di smettere perché “le faceva male”, si legge nella sentenza del Tribunale di Barcellona. E infermiere che non la credevano, poliziotti che le hanno chiesto di vedere le sue foto su Instagram.

Dura quattro anni e mezzo il cammino della ventenne per avere Giustizia. Non vuole che la si chiami vittima, una definizione che “mi fa male, perché mi fa sentire vulnerabile. Sono molto più di una ragazza che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Alla vigilia della sentenza aveva pronosticato uno stato d’animo che lasciava trasparire tutta la sfiducia verso il sistema ma anche la consapevolezza del suo percorso. “Con molte probabilità non mi troverò d’accordo con la sentenza, ma sarò in pace con me stessa e questo è tutto quello che mi interessa (…) La cosa importante è sentire che ci ho provato, che sono stata coraggiosa e che non avrò mai il dubbio su quello che sarebbe successo, perché sono già delusa del sistema”.

Lo stupro come violenza collettiva

In Triste Tigre, uno dei casi letterari dell’anno, edito in Italia da Neri Pozza, vincitore del Premio Strega Europeo, la scrittrice Neige Sinno ha raccontato degli abusi subiti dal suo patrigno quando era solo una bambina. E ha cercato di spostare l’attenzione su un aspetto spesso trascurato: lo stupro come una questione collettiva più che privata. Per l’abitudine di lasciare le vittime isolate, finendo per ri-vittimizzarle, che poi è lo stesso motivo per cui le stesse non raccontano, non denunciano o non lo fanno per anni.

“Il sistema ti lascia nuda davanti ai lupi feroci che ti fanno sentire ancor più impaurita, senza offrirti nessun tipo di sostegno. Devi badare a te stessa da sola, e difenderti anche da tutti quelli che dalla loro posizione privilegiata si fregiano dell’appellativo di tutori della giustizia […] Provo tristezza quando sento dire che è colpa tua, perché ti sei esposta al rischio, l’hai provocato con l’abbigliamento, non sei stata prudente, non hai saputo reagire, hai sorriso, sei stata cordiale, sei giovane e bella, e hai detto che non volevi, però è chiaro che ‘no’ non basta. Non basta nulla, quando vivi in una società marcia e destinata al fallimento”. Secondo il dato del ministero degli Interni in Spagna vengono denunciati ogni giorno otto stupri.

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