Israele, il Paese che celebra il passato per sfuggire alle colpe del presente

RMAG news

Israele, il “paese delle cerimonie”. Un paese che trasforma una ritualità in fine politico. Da sempre. Ancor più dopo il 7 ottobre. Annota, su Haaretz, Gideon Levy: “Ogni mattina alle 8, la scuola elementare che frequentavo faceva l’appello in cortile e uno degli studenti, a volte io, si metteva all’altoparlante e recitava il Salmo quotidiano, ad esempio: ‘Oggi è il quinto giorno della settimana, in cui i Leviti nel Tempio recitavano…’. Per otto anni le nostre giornate sono iniziate così, con una cerimonia religiosa/nazionale in una scuola apparentemente laica di Tel Aviv. Allo stesso modo, la lezione di ‘benvenuto al sabato’ era l’ultima lezione di ogni venerdì. Per questo, ci vestivamo di blu e bianco – i colori nazionali, che erano anche i colori dell’abbigliamento festivo. In seconda elementare abbiamo avuto una cerimonia di ‘consegna della Torah’ durante la quale abbiamo ricevuto la nostra prima Bibbia dal preside. Il giorno di Tu Bishyatwe abbiamo avuto una cerimonia di piantagione di alberi e il giorno di Shavuot abbiamo avuto una cerimonia di offerta dei primi frutti”.

Una ritualità tramandata di generazione in generazione. “La nostra infanzia è stata piena di cerimonie, tutte nazionali o religiose/nazionali. Pensavamo che fosse normale. Non conoscevamo nessun’altra realtà. Erano i giorni in cui si formava lo spirito di squadra della nazione e le cerimonie dovevano servire proprio a questo. Con il senno di poi, alcune erano forzate, persino ridicole. Che il nostro spirito di squadra sia stato forgiato o meno, la pletora di cerimonie fa comunque parte di Israele. Ha più cerimonie di qualsiasi altro paese, così come ha più memoriali. Forse non c’è una festa ogni giorno, ma c’è una cerimonia ogni giorno. L’esercito, ovviamente, è il leader in questo: giuramento delle nuove reclute al Muro occidentale o a Masada, cerimonie di laurea per i corsi e la Marcia dei berretti, a cui ora partecipano anche i genitori”. Ma l’eccesso stravolge il senso originario di una ritualizzazione che si trasforma in esibizione propagandistica.

Annota Levy: “Se la ritualizzazione della vita poteva essere comprensibile in un paese giovane ed esitante, è diventata patetica e ridicola in un paese che si avvicina agli 80 anni. E in questi giorni ha raggiunto nuove vette. Uno yahrzeit (anniversario) per una guerra che non è ancora finita: è qualcosa che non abbiamo mai visto prima”. Un mai visto che racchiude in se l’oscuro presente d’Israele. “Un paese – rimarca Levy – che già sanguina e si sfregia è ora in subbuglio per delle sciocchezze: chi è a favore della cerimonia organizzata dalla ministra dei Trasporti Miri Regev e chi è a favore di quella organizzata dalla modella e conduttrice televisiva Rotem Sela. Il cantante Shlomo Artzi parteciperà alla cerimonia alternativa e cosa canterà Aviv Geffen? Il cantante Eden Ben Zaken parteciperà alla cerimonia ‘governativa’? La gente andrà a quella di Ofakim o a quella di Tel Aviv? Si svolgeranno con o senza pubblico? Che aspetto avrà la cerimonia e chi sarà il conduttore?”.

Le conclusioni a cui giunge il grande giornalista israeliano sono intrise di un’amara ironia: “Era da molto tempo che non si assisteva a un dibattito così appassionato. Eppure tutto ruota intorno a una cerimonia per una guerra che non è ancora finita. Il clamore in Israele si concentra sempre sulla questione più marginale, superficiale e vuota. Qualsiasi cosa pur di non affrontare le questioni veramente fatidiche che nessuno vuole affrontare. Perché è importante tenere una cerimonia il 7 ottobre? C’è qualcuno che non se lo ricorda? E qualcuno ha imparato qualche lezione da questo evento? Per le famiglie in lutto, il lutto è ancora al culmine. Tutti gli altri israeliani sono impegnati nelle loro vite. E la disperazione regna su tutti. E allora cosa facciamo? Ignoriamo tutto e andiamo in guerra per una cerimonia. Se non fosse così triste, sarebbe divertente, grottesco, una commedia che potrebbe essere stata scritta da Hanoch Levin”.

“La triste verità” – chiosa Levy“è che dal 7 ottobre, Israele si crogiola senza sosta nel 7 ottobre. Non c’è un telegiornale che non si crogioli ancora una volta in quel giorno, il giorno più lungo della storia di Israele, il giorno che non è ancora finito. Ma anche questo ha lo scopo di reprimere, negare e sfuggire a ciò che conta davvero. Ci crogioleremo nel passato e non dovremo pensare a come uscirne. Faremo le vittime fino in fondo e non dovremo occuparci delle vittime dei nostri orribili crimini. Il 7 ottobre non ha bisogno di una cerimonia. È ancora vivo e vegeto, morto e in ostaggio. È sempre presente. Ma quando la cerimonia è la cosa più importante, quando è l’esperienza che dà forma alla nostra coscienza, è chiaro che le persone qui fuggono dalle notizie. Le persone non vogliono guardare in faccia la realtà, preferiscono concentrarsi sulla cerimonia. Che ci sia una cerimonia, o due, o dieci, è questo l’importante in questo momento?”.

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