Israele, quanto vittimismo: “Nessuno si chiede: ha commesso crimini di guerra?”

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Una voce controcorrente. Fuori dal coro dell’indignazione di stato per le richieste avanzate dal procuratore capo della Corte penale internazionale dell’Aia. La voce è quella di Gideon Levy.

“Finalmente – scrive Levy su Haaretz – la giustizia; i primissimi segni dell’inizio di una giustizia tardiva, parziale, ma pur sempre una misura di giustizia. Non c’è da rallegrarsi se il primo ministro e il ministro della Difesa del proprio Paese stanno per diventare ricercati in tutto il mondo, ma è impossibile non provare una certa soddisfazione per l’inizio di un po’ di giustizia.

Nel crogiolo vittimistico degli israeliani, negli infiniti pannelli di autocritica in TV, nelle grida su un mondo antisemita e sull’ingiustizia di accomunare Israele ad Hamas, manca una domanda fondamentale e fatidica: Israele ha commesso crimini di guerra a Gaza? Nessuno osa affrontare questa domanda critica e chiave:

Ci sono stati o non ci sono stati crimini? Se sono stati commessi crimini di guerra, uccisioni di massa e per fame, come suggerito dal coraggioso procuratore Karim Khan (alla cui nomina Israele ha partecipato dietro le quinte, avendo ritenuto sospetto il suo predecessore), allora ci sono dei criminali responsabili. E se ci sono criminali di guerra, il mondo ha il dovere di consegnarli alla giustizia. Devono essere dichiarati ricercati e arrestati”.

L’indignazione manifestata dal governo israeliano si fonda anzitutto sulla equiparazione tra il Primo ministro e il ministro della Difesa dell’ “unica democrazia in Medio Oriente” e i capi di un’organizzazione criminale terroristica.

Riflette in proposito Levy: “Se Hamas ha commesso crimini di guerra – e su questo non ci sono dubbi – i suoi criminali devono essere consegnati alla giustizia. E se Israele ha commesso crimini di guerra – e su questo non sembra esserci discussione nel mondo, tranne che in Israele, che si autoinganna con spirito suicida – anche i responsabili devono essere assicurati alla giustizia.

L’accorpamento non implica una simmetria morale o un’equivalenza legale. Anche se Israele e Hamas fossero stati accusati separatamente, Israele avrebbe sollevato un putiferio contro il tribunale. L’unica argomentazione che si sente ora in Israele è che il giudice è un figlio di puttana. L’unico mezzo suggerito per impedire la sua dura sentenza è quello di danneggiare la Corte penale internazionale dell’Aia. Convincere le nazioni amiche a non sostenere le sue sentenze, imporre sanzioni (!) ai suoi giudici. Questo è il modo di pensare di ogni criminale, ma uno Stato non ha il diritto di pensarla così.

I due tribunali internazionali, in cui Israele e gli israeliani sono sotto processo, meritano il rispetto dello Stato, non il suo disprezzo. L’oltraggio alla corte da parte di Israele non farà altro che aumentare la lista di accuse e sospetti nei suoi confronti. È meglio che Israele, in questo momento difficile, si guardi finalmente dentro e veda il proprio ritratto.

Meglio che incolpi se stesso per qualcosa, qualsiasi cosa, piuttosto che incolpare il mondo intero. Il giorno dopo la Corte penale internazionale, Israele deve riorganizzarsi per fare i conti con l’introspezione nazionale, cosa che non ha mai fatto prima. Ogni israeliano deve chiedersi: Come siamo arrivati a questo?

Non è sufficiente incolpare Netanyahu, il principale responsabile, né è sufficiente sbiancare il tutto con argomentazioni evasive sull’hasbara, consulenze legali errate e commenti estremi da parte di funzionari israeliani. Il problema è molto più profondo: Per 57 anni Israele ha mantenuto un regime di malefatte e malvagità e ora, finalmente, il mondo si sta svegliando e comincia ad agire contro di lui. Riuscirà anche a svegliare almeno alcuni israeliani dal loro incurante e distorto senso della giustizia?”.