La sconfitta del PCI e del riformismo: così la borghesia abbandonò la sinistra per abbracciare il liberismo reaganiano

RMAG news

In un recente articolo, pubblicato su questo giornale il 14 di agosto, ho sostenuto la tesi secondo la quale la lotta armata, alla fine degli anni settanta, diede una spinta all’ondata di riforme (guidate dal Pci di Berlinguer) che trasformarono l’Italia. Ho ricordato che nella brevissima stagione che va dall’uccisione di Aldo Moro alla fine dell’anno 1978 (poco più di sette mesi) in Italia furono aboliti i manicomi, fu varata la riforma sanitaria più poderosa di tutta la storia, fu introdotto l’aborto, sebbene governasse in solitudine il partito cattolico della Dc, nettamente contrario all’aborto, fu stabilito l’equo canone sull’affitto delle case – e dunque fu dato un colpo micidiale alla proprietà privata – furono cambiati i patti agrari e il diritto di famiglia, e poi furono realizzate alcune altre riforme minori.

In quell’articolo parlavo di “riformismo armato” che si affiancava e sosteneva il riformismo politico dei comunisti. L’accostamento delle due parole non deve fare scandalo. È ovvio che il termine riformismo è un termine positivo e il termine armato no. Anche perché quelle armi portarono all’uccisione di alcune centinaia di persone. La formula “riformismo armato” però risponde ai fatti che accaddero. A mio giudizio non è affatto vero che il terrorismo spinse a destra il paese. Successe il contrario: paralizzò la destra e aprì un varco all’azione di massa del Pci. Non credo che nella storia della Repubblica italiana ci sia mai stato un periodo così forte e intenso di riforme radicali. Ed è singolare che questo trionfo riformista, che cambiò l’assetto sociale ed economico del paese, sia avvenuto sulle gambe di due forze che consideravano la formula “riformista” più o meno un insulto (Raccontava Alfredo Reichlin che una volta lui disse a Berlinguer:Enrico, parliamoci chiaro, in Italia i riformisti siamo noi…”. E Berlinguer rispose: “Alfredo, è vero. Ma a me non lo farai mai dire che siamo riformisti…”). Cosa successe negli anni successivi? Successe che le Brigate rosse furono sconfitte e sparirono. Il Pci fu messo all’angolo e iniziò il suo declino. Perché?

Sulle Brigate rosse è presto detto. La loro forza era determinata esattamente dalla forza del Pci. Era persino proporzionale alla forza del Pci. Sia perché il Pci, che aveva assunto posizioni più moderate, lasciava ai movimenti e alla lotta armata un grande spazio. Sia perché le conquiste sociali del Pci e dei sindacati davano respiro alla lotta armata e una prospettiva al socialismo. Senza quella prospettiva il terrorismo non poteva sopravvivere. In molti hanno sostenuto che l’azione del terrorismo tolse spazio ai movimenti di massa che si stavano sprigionando alla sinistra del Pci e che avrebbero potuto trascinare i comunisti su posizioni più avanzate. È anche la tesi che sosteneva il manifesto, in particolare Rossana Rossanda, e in parte anche i leader dell’autonomia operaia (che furono i primi a parlare di “riformismo armato”: ma in termini spregiativi.) Non credo che sia così. I movimenti di massa, di sinistra, che riempirono le piazze intorno al 1977 e negli anni successivi, erano movimenti senza sbocchi. Che restarono a metà strada e non avevano strategia. Erano puramente difensivi. Non erano oggettivamente schiacciati dalle Br e dal Pci, come si diceva, erano schiacciati dalla loro mancanza di strategia. Toni Negri è stato un filosofo robusto. Non un politico né uno stratega.

Più complesso capire perché il Pci non riuscì in nessun modo a capitalizzare i successi del 1978. Io credo per due ragioni fondamentali. Una che riguarda la politica interna e l’altra la situazione internazionale. E credo che proprio dal fondersi di queste due ragioni nacque una sconfitta di proporzioni catastrofiche. In Italia il Pci perse la sua funzione di cerniera tra Stato e Lotte. Era questa funzione che gli assegnava un ruolo importantissimo, anche di garanzia della tenuta democratica e di protezione degli altri partiti. È proprio pensando a questa sua funzione che ipotizzo il ruolo di supporto che le Br fornirono oggettivamente a Berlinguer. Il Pci era lo Stato, aveva ormai lo Stato nella sua ideologia, aveva sostituito lo stalinismo con lo statalismo, ma al tempo stesso aveva una tale potenza politica, teorica e di massa, che riusciva ad essere l’unica struttura in grado di reggere e di respingere e di assorbire l’assalto della lotta armata.

Questa funzione si esaurisce quando un pezzo fondamentale della borghesia italiana, quella che in sostanza si radunava intorno agli Agnelli e alla Fiat, decide di svoltare a destra. Era stato proprio quel pezzo di borghesia, dal ‘68 in poi, a scommettere sul Pci per cementare il dominio borghese, concedendo riforme e conquiste sociali in cambio della sicurezza delle gerarchie e dello status quo. Fu personalmente Gianni Agnelli, nel 1975, a firmare l’accordo sulla “Scala Mobile”, che stabiliva il punto unico di contingenza, e cioè un meccanismo di aumento degli stipendi, automatico e uguale per tutti, che in pochi anni avrebbe portato a un fortissimo appiattimento salariale (La scala mobile era legata all’inflazione, e l’inflazione, in quegli anni, era a due cifre). All’inizio degli anni 80 la Fiat cambia strategia. Decide di andare allo scontro. Su che basi prende questa decisione? Sulla analisi della situazione internazionale.

Prima la vittoria di Margaret Thatcher in Gran Bretagna, che chiude in cantina i laburisti, poi la vittoria di Reagan che pone fine anche al repubblicanesimo “sociale” di Nixon e dichiara la Divinità del liberismo. La borghesia italiana aderisce a questa svolta. E il Pci perde il vero punto di riferimento, che non era la sinistra democristiana (anche se così sembrava) ma era la borghesia illuminata. Non ha più la borghesia e non ha più il nemico a sinistra. Perde improvvisamente la sua funzione storica. Deve cambiare. Berlinguer decide di partire lancia in resta. Esce dalla maggioranza, attacca i socialisti, minaccia addirittura l’occupazione della Fiat. Guadagna qualche voto. Ma il Pci non è più il Pci.

Agnelli ha vinto, e in un tempo brevissimo riesce a indirizzare a destra tutti i partiti alla destra del Pci. Compreso il partito socialista. La stagione del riformismo è finita. È finita col declino del Pci.
C’è una sola cosa che non funziona perfettamente in questa operazione. Si chiama Bettino Craxi. Che decide di entrare nel gioco ma mantiene per sé una golden share: l’autonomia della politica. Alla quale non sa rinunciare perché è nel suo Dna. L’establishment lo capisce. Lo sopporta. Persino lo supporta, finché non ha l’occasione di tagliargli la testa. Ma questa di Craxi è una storia a parte che racconteremo un’altra volta.

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