“La sinistra che non si occupa di lavoro e salute non serve a nulla”, parla Pierfrancesco Majorino

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Pierfrancesco Majorino, membro responsabile Politiche migratorie e Diritto alla Casa nella Segreteria nazionale del Partito Democratico: Naufragio di Cutro. Falso, omissione in atto d’ufficio e strage come conseguenza di altro reato. Sono i capi di imputazione per i quali la procura della repubblica di Crotone ha deciso di richiedere il rinvio a giudizio dei sei indagati, quattro uomini della guardia di Finanza e due della guardia Costiera. Un naufragio che poteva essere evitato, e così i 98 morti.
Quelle vite spezzate sono il drammatico esito di politiche sciagurate. Quelle della destra che pensa all’immigrazione come alla grande invasione da evitare, da respingere. Costi quel che costi.
Ma non basta dolersene. Serve una nuova fase anche a livello europeo di politiche che garantiscano vie d’accesso legali e sicure. E serve poi il coraggio di rivedere la Bossi Fini. Noi abbiamo la nostra proposta proprio per questo. La gente sui barconi non ci deve salire. Per non salirvi sono indispensabile forme di regolarizzazione più agevoli e trasparenti. È una battaglia difficile ma la vogliamo condurre.

Il 2024 è stato ed è un anno elettorale. A mente fredda, senza più torsioni di bottega interna, qual è il messaggio politico di fondo che viene dal voto in Gran Bretagna e in Francia?
Potrei cavarmela con una battuta: innanzitutto viene un forte messaggio di speranza. E questo accade in un’epoca nella quale tutti rischiavamo di abituarci al piano inclinato dei successi della destra. Ovviamente non bisogna semplificare troppo e non ridurre i problemi che ha ora, ad esempio, il Fronte Popolare in Francia, né tantomeno ritenere che saranno solo rose e fiori, o magicamente solo Bread and Roses. Ma di certo il voto dice che sì, si può fare. Le piazze francesi che all’italiana urlavano “siamo tutti antifascisti” o alcune immagini di ragazzi sorridenti a Londra sono di per sé del vero e proprio ossigeno. Che in poche settimane ha ribaltato un immaginario altrettanto potente di segno opposto. Quello dei Bardella che lasciavano presupporre che di lì a poco avrebbe “ceduto” anche la Francia travolgendo l’Europa. Ecco quindi, che ce lo dobbiamo dire: i progressisti hanno tenuto, vinto o rivinto dove sembrava difficilissimo poterlo fare anche solo un anno fa. Ma al contempo ci siamo andati molto vicini. Abbiamo evitato un burrone. Non una sconfitta. Molto di più. Un burrone politico e sociale. Quindi ora la partita che si è aperta è davvero essenziale. E l’Italia, il PD e le altre forze di centrosinistra, giocano un ruolo fondamentale. Anche perché se penso innanzitutto al nostro risultato, avevamo già dimostrato, prima degli altri, di essere “ancora vivi”.

C’è chi riferendosi alle elezioni britanniche e al successo del Labour Party di Keir Starmer, ha sostenuto che la sinistra vince se fa fuori i massimalismi.
Eviterei di usare l’accetta della schematizzazione. Tra riformismo e radicalità. La verità è che devono stare assieme. E questo possiamo dircelo, il PD lo aveva compreso sin dall’atto della sua fondazione. Lo dico anche a prescindere dagli anni immediatamente successivi ad essa. Radicalità e pragmatismo devono essere due facce della stessa medaglia, altrimenti la sinistra diventa velleitaria testimonianza o semplicemente un ufficio di collocamento di ceto politico. A ben vedere dalle parti di Keir Starmer, poi, si possono notare anche altre cose. La prima è che la sua biografia politica non è di per sé legata alla parte più moderata del Labour, ha un tracciato abbastanza originale. E poi se guardo agli annunci di questi primi giorni noto una forte voglia di protagonismo dello Stato nei servizi e perfino nell’economia. Insomma, il Labour di Starmer che mette al centro l’interesse pubblico mi pare davvero iniziare in modo diverso dal blairismo. Blairismo che, quello sì, per me è stata la culla di tante derive da evitare.

Sempre in questa chiave di lettura, si sostiene l’impraticabilità del modello francese del Nuovo Fronte Popolare in Italia. Cosa è che non va in Mélenchon?
Io di Mélenchon non amo alcuni toni. O alcune leggerezze, o forse meglio alcune ambiguità calcolate, sulla collocazione internazionale. Ma anche in questo quadro starei attento a banalizzare tutto “all’italiana”. Detto questo in Francia la cosa più interessante mi pare la riscossa della sinistra socialista, il senso di riscatto impresso da Glucksmann ad esempio. O le proposte in termini di transizione ecologica – socialmente desiderabile per dirla con Langer – dei verdi francesi.

In Francia hanno festeggiato la vittoria contro l’estrema destra intonando Bella Ciao.
È stato commovente. E lo è stato anche perché è un canto che è diventato diverse cose insieme, ma è soprattutto, mi pare tra tutte una: la voglia di tante ragazze e di tanti ragazzi di dirsi liberi e antifascisti. Mi sbaglierò ma ho l’impressione che nella nuova generazione europea ci sia una forte polarizzazione. Si stanno esprimendo un nuovo pensiero antifascista, un’impostazione davvero sanamente radicale e liberatoria e dall’altra un’adesione di una parte di mondo giovanile all’ ”internazionale nazionalista” della destra radicale. Sarà molto interessante osservare il prossimo voto in Germania anche da questo punto d’osservazione, per non dire di quello americano che ci sta facendo giustamente tremare le vene ai polsi. La mia impressione è che questa frattura “dentro” la generazione, e non “tra” le generazioni, a differenza di pochissimi anni fa non ponga più gli “esclusi socialmente” di per sé a destra. In altri tempi si sarebbe detto “c’è un recupero a sinistra”. Poi ovviamente la questione della nuova generazione (e in questo quadro il voto francese è interessantissimo perché in netta controtendenza) porta con sé in questa epoca storica porzioni significative di non voto. Ma, appunto dalla Francia, ci viene detto: una sinistra forte, con un messaggio netto sui temi del lavoro o che non ha paura di chiedere pace a Gaza, può farcela. Non dico che sia di per sé una scommessa vinta. Dico che ora si ha l’impressione che ce la possiamo giocare.

Lavoro, salute, sussidiarietà. Su questo la sinistra in Italia si gioca il futuro?
Assolutamente si. Aggiungo un concetto che mi è carissimo: radicalizzando sulla questione sociale – mi faccia mettere in questa cornice anche il diritto alla Casa e quello allo studio – facciamo tre cose molto importanti. La prima: ci riconquistiamo la scena che la destra nazionalista ci aveva rubato rinchiudendoci, innanzitutto per nostre responsabilità, nei salotti buoni delle ztl. La seconda: affrontiamo nella dimensione concreta e reale, dalle liste d’attesa al salario al sostegno agli affitti questioni che non possiamo condannare alla loro inevitabile “complessità”. Ci stiamo, in altre parole, costringendo a semplificare i messaggi. Questo è utile perché non è un fatto comunicativo ma politico: ci costringe a scegliere. La terza e la più importante: restituiamo il senso alla nostra esistenza pubblica, alla nostra “funzione storica”. La sinistra che non si occupa di lavoro o salute semplicemente non serve a niente.

Quando sente riparlare di “campo largo” e delle nuove avances di Renzi, che fa?
Dico che è più importante parlare del recupero di centomila (centomila!) case popolari vuote in Italia. O di ventiquattro mesi di lista d’attesa a cui la mia efficientissima Lombardia costringe una bambina o un bambino per una visita in neuropsichiatria infantile. Anche qui per non girarci attorno: condivido molto l’impostazione di Elly Schlein. L’alleanza deve essere la più ampia possibile. Sempre. Ma per costruirla ci vuole l’intransigenza più forte possibile sui contenuti, sul merito. Le questioni sociali, le questioni ambientali, o i temi “scomodi” dei diritti delle persone a migrare o di chi nasce in Italia ad essere formalmente riconosciuto come italiano: questo è il vero campo che mi interessa. Quello delle idee.

A proposito di elezioni. Quelle più attese sono le presidenziali americane. È iniziata la rincorsa di Kamala Harris. Partita aperta?
Dobbiamo tutti sperarlo. E non solo per “loro”. Ma per noi, per il mondo. Trump in questo momento è una tanica di benzina sul fuoco delle democrature, dell’involuzione autoritaria. Il fatto che da noi ci sia chi fa il tifo per lui, per Trump, fa comprendere che una deriva ungherese è sempre dietro l’angolo. L’istituzionalizzazione dell’egoismo, del negazionismo climatico, la beatificazione del patriarcato. La pietra tombale sul multilateralismo. Trump, con le battutine sul sorriso di Kamala Harris e le balle sui migranti, è il peggio. Speriamo nella forza dei democratici.

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