“La sinistra ha fatto errori ma sta tornando forte, la destra è folle”, intervista a Laura Boldrini

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In forme nuove, ma con una violenza, ideologica e fisica, che non può non inquietare e chiamare, si sarebbe detto un tempo, alla “vigilanza democratica”. L’Unità ne discute con Laura Boldrini, già presidente della Camera, parlamentare Dem e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.

Presidente Boldrini, la butto giù seccamente. Il pericolo “nero” esiste ancora?
Se mi sta chiedendo se penso che torneranno i fez e l’olio di ricino, la risposta è no. Ma il fascismo si presenta sotto tante forme e ridurlo a questo significa non sapere leggere la realtà o volerla manipolare. Del resto, ben prima che ci ritrovassimo con il governo più a destra della storia repubblicana, Umberto Eco parlava di “fascismo eterno”. Eco individuava alcuni “elementi distintivi”, per semplificare molto, davanti ai quali bisogna interrogarsi. Mi riferisco, ad esempio, al culto maniacale della tradizione, accompagnato dal rifiuto della modernità, alla paura delle diversità, al rifiuto della critica, all’ossessione per i complotti. Questo solo per citarne alcuni a cui aggiungo il ricorso alla violenza fisica contro gli avversari politici. Sono tutti elementi che riscontriamo ogni giorno, a vari livelli: pensi agli attacchi alla magistratura o alla stampa, ai diritti delle donne e delle persone Lgbtqia+, al continuo richiamo alle radici cristiane strumentalmente usate come cifra politica e, infine, alle aggressioni come quella a Roma contro i ragazzi di Sinistra universitaria che tornavano dalla manifestazione delle opposizioni, a giugno scorso, o quella a Torino al giornalista de La Stampa Andrea Joly. Davanti a tutto questo la risposta alla sua domanda è sì, il pericolo “nero” esiste ancora.

Lei ha usato parole molto severe nei confronti del presidente del Senato, seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, per come ha trattato l’aggressione del cronista de La Stampa Andrea Joly da parte di militanti di CasaPound. Prima il busto di Mussolini, poi le parole su via Rasella, ora la vicenda torinese. Come dire, un indizio è un indizio, etc.
Tentare di riscrivere la storia è uno di quegli elementi che deve farci tenere alta l’attenzione e La Russa è un maestro in questo. Le dichiarazioni su via Rasella furono incommentabili, contrarie a qualsiasi documento storico su un fatto più che accertato. La risposta sull’aggressione a Joly che da una parte La Russa ha condannato, ma aggiungendo che non si era identificato come giornalista, la dice lunga sull’idea che ha di libertà, di libertà di stampa, e dell’uso della violenza. Chiunque abbia sentito quelle parole ha pensato: “Quindi se non fosse stato un giornalista, sarebbe stato legittimo pestarlo perché riprendeva qualcosa che succedeva per strada?”. Le spiegazioni successive sono apparse posticce e rabberciate. Per non citare il fatto che l’organizzazione che La Russa fa così fatica a condannare, CasaPound, è la stessa che lui in persona ha legittimato partecipando ad un loro evento del 2019 e dichiarando quanto essere definito “fascista” fosse un complimento. Potremmo relegare tutto questo e diversi altri episodi, quasi a boutade se non parlassimo del presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, e di una figura di grande peso nella maggioranza di governo. Questo fa diventare le uscite di La Russa molto gravi. Io trovo inaccettabile che chi rappresenta le istituzioni, per di più a così alti livelli, non solo non si dichiari antifascista come la nostra Costituzione, ma sbandieri richiami al fascismo come se fosse normale.

A Parigi, per festeggiare la vittoria nel secondo turno delle elezioni legislative contro l’estrema destra di Marine Le Pen, in migliaia hanno intonato “Bella ciao”. E in Italia?
Mi hanno molto colpita le immagini di quella piazza che cantava “Bella ciao” in italiano, mentre qualche giorno prima, davanti a Montecitorio, un esponente di spicco della maggioranza dichiarava a favore di telecamere, che «Bella ciao è peggio della X-Mas» gesto che un suo collega aveva fatto in aula il giorno prima. Un canto di libertà è peggio del simbolo di uno squadrone della morte, collaborazionista dei nazisti, responsabile della deportazione di ebrei, dell’uccisione di partigiani e perfino, qualche decennio dopo, di un tentativo di golpe? Siamo alla follia. “Bella ciao” è ormai universalmente riconosciuta come un simbolo di chi si è battuto e si batte per la democrazia e la libertà. Bisognerebbe essere orgogliosi che arrivi dalla storia del nostro Paese che noi stessi, spesso, diamo per scontata o sottovalutiamo. La Francia ha dimostrato grande maturità ed è stata capace di mobilitarsi in massa per fermare l’avanzata di Le Pen e Bardella, riuscendoci. Quella che Bardella ha definito “l’alleanza del disonore”, per me è stata, invece, l’alleanza dell’onore. L’onore che è servito a tutelare la storia e la tradizione francesi.

Senza memoria non c’è futuro. Ma a volte non le sembra che anche a sinistra una memoria storica sia stata “smarrita”?
La memoria storica dei valori e dei principi della sinistra è stata ritrovata. Sì, è vero, sicuramente in passato ci sono stati alcuni errori e alcuni scivoloni, che abbiamo pagato cari. Penso, ad esempio, al non aver governato la globalizzazione prevedendo paletti e correttivi per evitare le disuguaglianze che negli anni si sono accentuate nel nostro paese e non solo. Penso anche al “Jobs act” e all’abolizione dell’articolo 18: non è un caso, però, se anche la segretaria del Pd ha firmato i referendum della Cgil per abolire quella riforma sbagliata.
Il lavoro stabile, sicuro e dignitoso è tornato centrale a sinistra com’è giusto che sia. Così come la sanità e la scuola pubblica. Parliamo, in sostanza, dei diritti garantiti dalla Costituzione nata dalla resistenza e che, a volte, sono passati in secondo piano. Su questi temi il Pd sta facendo una campagna serrata e su questi temi sta cercando di costruire l’alleanza più ampia possibile che sia un’alternativa seria e credibile alle destre guidate da Giorgia Meloni.

So che a lei non piacciono formule “agropolitiche”, come il “campo largo”. Ma fuori di metafora, se è vero che esiste ed esisterà sempre il rovello delle alleanze, non è altrettanto vero che stare tutti insieme “contro” e non “per” vuol dire condannarsi a perdere?
Per battere queste destre bisogna cercare il massimo dell’unità possibile ed è un’unità che deve basarsi su proposte reali e concrete: il salario minimo, la sanità pubblica, la lotta al cambiamento climatico sono solo alcune. Le alleanze sono difficili da fare e da mantenere: su questo nessuno si fa illusioni. E proprio perché unirsi solo sul “contro” è un percorso di corto respiro, bisogna essere consapevoli che si tratta di un processo che richiede impegno e caparbietà, caratteristiche che la segretaria Schlein ha dimostrato di avere.

Estate, tempo di feste dell’Unità e anche di bilanci di una intensa stagione elettorale. Come ne esce il Pd di Elly Schlein?
Ne esce molto bene: il risultato delle europee è andato oltre ogni aspettativa e le amministrative non sono state da meno. Il Pd ha fatto una campagna elettorale molto chiara, parlando di temi che le persone conoscono perché li vivono ogni giorno nella loro vita quotidiana, proponendo soluzioni concrete e reali. Alle feste dell’Unità stiamo raccogliendo le firme per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata, la cosiddetta legge “spacca Italia”, sia con i banchetti sia online. La risposta è già molto buona: specialmente grazie a internet sono state raccolte oltre 300mila firme nei primi cinque giorni, segno che le persone hanno colto la gravità di questa riforma scellerata che peggiorerà la vita delle persone, da sud a nord, e che vuole ridurre l’Italia a venti piccoli stati semiautonomi, che si fanno concorrenza tra loro e che non sono per niente in grado di contare in uno scenario internazionale dominato da superpotenze globali. Sarà un’estate di mobilitazione su diversi fronti. È la chiave giusta: tornare tra le persone, casa per casa, strada per strada, festa per festa.

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