Le fake del Corriere sul premierato, e Antonio Polito fa la majorette della Meloni

RMAG news

Il Quirinale mette in guardia dalla tempesta di fake news russe che minaccia la tenuta della vulnerabile democrazia italiana. Anche se non proviene da Mosca, una falsità che strattona l’ordinamento costituzionale è certamente quella spacciata dal fronte interno, gestito dalla grande stampa. Ogni volta che può (quindi giorno e notte), Antonio Polito se la prende con l’opposizione, che grida al pericolo autocratico e invoca prima la piazza e poi il referendum contro il premierato elettivo, trascurando – così egli afferma – che lo stesso meccanismo sussiste in Francia e in Gran Bretagna, dove “non risulta di derive autoritarie”.

La confusione sulle forme di governo (cosa c’entra l’Eliseo con Westminster?) non evoca solamente la crassa ignoranza che regna nel foglio della borghesia un tempo illuminata, ma alimenta una fabbrica manipolatoria che intende incidere sui processi politici. Polito viene chiamato in servizio su questioni di ingegneria istituzionale in qualità di giornalista che ha lavorato a lungo sul Tamigi. Quale osservatore diretto delle cose di Sua Maestà, è ritenuto più attendibile di altri nel penetrare negli ingranaggi del potere del numero 10 di Downing Street.  La sua figura di ambasciatore, che ha in dote la conoscenza del vero stato delle democrazie, si contrappone ai “moderni viaggiatori” stigmatizzati da Vico poiché con “mostruosi ragguagli”, di ritorno da esotiche escursioni, “narrano che popoli del Brasile, di Cafra ed altre nazioni del mondo nuovo vivano in società senza alcuna cognizione di Dio”. Tali blasfeme “novelle di viaggiatori”, con il loro relativismo, esponevano a rischio gli assoluti dell’occidente cristiano. Al rientro dalle sue missioni estere, Polito invece assicura che in qualunque angolo del pianeta, da Berlino a Washington, i parlamenti e i governi funzionano esattamente come la destra radicale vorrebbe imporre anche in Italia.

Le opposizioni si rassegnino al disegno della statista ribattezzata da Polito il “cigno europeo”: ovunque si trovino liberaldemocrazie, da Parigi a Londra, domina sempre il premierato elettivo, congegno magico che dà lo scettro al popolo ed esclude “i giochi di Palazzo” (Meloni). Peccato che in Regno Unito non viga alcun premierato elettivo. Invece delle “novelle di viaggiatori” alla Polito, occorrerebbe ascoltare la cronaca degli ultimi anni. Nessuno ha mai eletto direttamente David Cameron, che solo attraverso dinamiche parlamentari – i famosi “giochi” – ha inaugurato il suo gabinetto di coalizione con i Liberal Democratici. Ai medesimi ludi in aula irrisi da Giorgia hanno fatto ricorso Theresa May e Boris Johnson, i quali hanno guidato governi di minoranza che contavano sul confidence and supply – simile al nostro “appoggio esterno” – del Partito Unionista Democratico. Non è poi bastato a Johnson prevalere nelle urne per resistere, tra scandali e festini, alla defenestrazione che ha incoronato Liz Truss, a sua volta sostituita in fretta da Rishi Sunak.

La leggenda del parlamento sciolto automaticamente per la caduta del primo ministro non ha alcun riscontro oltremanica. Non supportati da dati storici sono anche i suggerimenti di Sabino Cassese, il quale sostiene il governo nero-verde e insiste sulla necessità della stabilità degli esecutivi, che per lui richiede un volto durevole a Palazzo Chigi, insomma una personalità seduta in modo continuativo al tavolo dei Grandi: a Londra ci sono stati, con il prossimo che sarà nominato a luglio, ben sei primi ministri in appena nove anni. L’intera parabola della Truss si è compiuta dal 6 settembre al 25 ottobre 2022, meno di cinquanta giorni in totale, poco più di Fanfani nel 1954 e di Tittoni nel 1905, che però crollarono perché non avevano ottenuto la fiducia parlamentare. Per invitare le opposizioni al silenzio anche sul terreno delle formule elettorali distorsive, Polito argomenta che in Inghilterra si manifestano ampie maggioranze parlamentari raggiunte con suppergiù il 30% dei consensi. Egli non dice che tutto ciò poggia su condizioni che nulla hanno a che vedere con la volontà semplificatrice della destra meloniana alle prese con l’escogitazione di premi di maggioranza.

Nel Regno Unito non c’è nessun dono attribuito alla coalizione, non serve alcun quorum per goderne perché non esiste un conteggio nazionale delle schede, il seggio va a chi la spunta nel singolo collegio (“first past the post system”). Capita allora che si aggiudichi la consultazione la forza politica arrivata globalmente per seconda, e non la prima, oppure che delle formazioni regionali guadagnino più scranni del grande terzo partito nazionale. Per via di queste stranezze, Hans Kelsen notava che il maggioritario secco, in talune circostanze, contrastava con il principio aureo per cui a decidere è la maggioranza. L’unico assetto coerente con il valore democratico dell’uguaglianza del suffragio era per il giurista praghese quello proporzionale. Ma la destra ha approvato in prima lettura una disposizione costituzionale secondo la quale bisogna “garantire” per legge una “maggioranza di seggi in ciascuna delle Camere”, ossia un vincitore certo. E così la proporzionale, con il criterio del pari impatto delle preferenze dei cittadini che si porta dietro, diventerebbe addirittura una pratica incostituzionale. Meloni ha dunque posto la tecnica più in sintonia con i capisaldi della democrazia fuori dal perimetro della legalità costituzionale, prevedendo come canone fondamentale l’ineguale peso del voto (che affianca l’ineguale accesso ai beni primari sancito con l’autonomia differenziata).

Il referendum è l’arma più gagliarda in mano all’opposizione per scongiurare la foga distruttiva che anima il governo della Fiamma costituente. Al Corriere, ma pure a Repubblica, non a caso esortano a prestare attenzione ai pontieri per evitare una prova divisiva dinanzi al popolo. Una mediazione su tematiche istituzionali è però possibile solo entro un modello condiviso da ambo le parti. In presenza di due inconciliabili sistemi (parlamentarismo vs. premierato elettivo) nessun aggiustamento è mai concepibile. Non sono soltanto le fake news confezionate a Mosca a destrutturare la fragile repubblica in direzione di una “democrazia sovrana”. Anche le polpette avvelenate distribuite in via Solferino aiutano il tentativo di edificare un’autocrazia elettiva mediterranea.